L’Ue vuole migliorare le infrastrutture di trasporto europeo, ma i bisogni del mondo militare sono preponderanti rispetto alle esigenze dei cittadini. Trasformare le reti per la mobilità in dual-use le renderà un obiettivo ancora più sensibile in caso di conflitto
L’abolizione delle frontiere interne e la libera circolazione di persone e beni è uno dei pilastri dell’Unione europea, ma a beneficiarne non sarà più solo la componente civile.
L’Ue sta investendo sempre di più nel rafforzamento delle infrastrutture di trasporto del Vecchio Continente con un nuovo obiettivo: migliorare la mobilità delle truppe e dei mezzi militari. Anche le reti di trasporto, dunque, diventano dual-use, con conseguenze positive sul piano militare ma con risvolti invece più critici su quello civile.
I progetti su cui l’Ue si sta concentrando sono due: il Ten-T e il Military Mobility. Di quest’ultimo si è tornati a parlare recentemente anche in Italia, quando Leonardo e Rete ferroviaria italiana (Rfi) hanno siglato un accordo per migliorare le capacità dell’infrastruttura italiana su rotaia. Leonardo, nello specifico, fornirà le proprie competenze nella protezione e gestione tanto della circolazione quanto dei dati.
Insieme, le due compagnie miglioreranno le capacità infrastrutturali e digitali italiane per permettere il passaggio rapido e sicuro di uomini e mezzi militari anche in situazioni di emergenza e con breve preavviso. Una sorta di Schengen militare, dunque, in cui il passaggio di truppe e materiale bellico diventa sempre più rapido e semplificato anche a livello burocratico.
Military Mobility e Ten-T
In Italia, al momento, sono tre le linee interessate dalla Military Mobility: il collegamento ferroviario del bacino portuale di Genova Sampierdarena-Parco Fuori Muro, a cui sono destinati più di 29 milioni di euro; il porto di La Spezia, dove sarà costruita anche una nuova stazione merci grazie a un contributo di oltre 9 milioni di euro; l’autostrada A7 che collega Milano e Genova, per circa 5 milioni.
Ma al Military Mobility si affianca anche il progetto Ten-T, ossia la Rete trans-europea dei trasporti pensata per sviluppare infrastrutture «coerenti, efficienti, multimodali e di alta qualità» che comprendano ferrovie, trasporto su strada, porti e vie navigabili interne. Al momento, l’Ue prevede la realizzazione entro il 2030 di nove corridoi fondamentali.
Di questi, ben quattro interessano l’Italia: il corridoio Mediterraneo, che collega il porto spagnolo di Algericas con il confine tra Ungheria e Ucraina; quello Reno-Alpi che unisce il porto di Genova con Paesi Bassi e Belgio; il Corridoio Scandinavo-Mediterraneo che dalla Finlandia arriva ai porti dell’Italia centrale e meridionale; quello Baltico-Adriatico. Nel progetto Scandinavo-Mediterraneo potrebbe essere incluso molto presto il ponte sullo Stretto, alla cui realizzazione verrebbero destinati nel caso anche fondi europei.
I due progetti Ue per la mobilità sono partiti in momenti diversi e attingono a fondi differenti, ma secondo un’analisi del Servizio europeo per l’azione esterna, Ten-T e Military Mobility interessano per il 93 per cento dei casi le stesse infrastrutture, a dimostrazione di quanto gli investimenti nella rete trans-europea avranno dei vantaggi anche a livello militare.
Le conseguenze
D’altronde il miglioramento della mobilità di truppe e mezzi è da tempo in discussione in Europa. Di Schengen militare si parlava già dieci anni fa, con l’annessione della Crimea da parte della Russia, e l’argomento è tornato in auge con l’invasione dell’Ucraina e l’ennesimo avvertimento lanciato dalla Nato sulla necessità di rendere interoperabili le reti di trasporto europee.
Uno dei problemi che vengono spesso presentati come esempio è la differenza di scartamento tra i binari dell’Europa dell’ovest e dell’est. Per passare da una zona all’altra è necessario cambiare vagoni, con un ritardo significativo in termini di spostamento verso il fianco orientale, considerato quello più esposto in caso di attacco russo.
I progetti Military Mobility e Ten-T puntano a risolvere problemi di questo tipo, ammodernando e adeguando le reti europee alle necessità del mondo militare. In teoria gli investimenti dell’Unione dovrebbero apportare benefici anche alla popolazione civile, dato che si tratta di infrastrutture dual-use, ma i bisogni militari sono considerati preponderanti rispetto alle esigenze dei cittadini.
Mentre si investono miliardi per rafforzare le linee italiane che possono servire per il trasporto di truppe e mezzi, tutte rigorosamente al nord, muoversi in treno nel nostro paese è ancora un incubo. Tra il 2010 e il 2019 sono stati inaugurati appena 70 chilometri di nuovi binari, il costo del biglietto è salito del 5 per cento negli ultimi cinque anni – a fronte di una diminuzione del 22 in Germania, Svizzera, Portogallo, Austria, Slovenia, Spagna e Irlanda – e circa il 20 per cento dei treni nel 2023 è arrivato in ritardo (dati Trenitalia). Inoltre, secondo l’ultimo rapporto dell’Agenzia Ue per le ferrovie, l'Italia è in testa per incidenti che avrebbero potuto avere conseguenze letali.
C’è poi un ultimo problema: le infrastrutture di trasporto civili trasformate in dual-use diventeranno ancora di più un obiettivo sensibile in caso di conflitto.
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