Due personal computer, due notebook, un tablet, un hard disk, un telefono aziendale, diverse chiavette Usb e altri supporti digitali. Per chi indaga sull’ormai ex dipendente del gruppo Intesa Sanpaolo, che avrebbe fatto per oltre due anni i conti in tasca ai potenti, c’è il «fondato motivo» di ritenere che in quei dispositivi informatici possa «rinvenirsi il corpo del reato». E cioè la prova che il funzionario che era in forza al distaccamento di Bisceglie della filiale Agribusiness di Barletta abbia non solo monitorato i segreti bancari di politici, magistrati, militari, vip e imprenditori, ma anche custodito quegli stessi dati ipersensibili.

Lui, l’ex bancario, è Vincenzo Coviello, 52 anni, di Bitonto, borgo di neanche 50mila abitanti in provincia di Bari. Indagato dalla procura del capoluogo pugliese è accusato di accesso abusivo ai sistemi informatici e tentato procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello stato. Dal 2022 al 2024 avrebbe, come anticipato da questo giornale, eseguito quasi 7mila controlli su migliaia di conti correnti.

Non solo quello della premier Giorgia Meloni, dei ministri Daniela Santanchè e Guido Crosetto, di parlamentari come Angelo Bonelli, Marta Fascina e Matteo Renzi, o dell’intera famiglia Verdini. Il “dottore”, come si autodefiniva l’indagato, avrebbe “spiato” persino i conti di Antonello Venditti e Al Bano, dei fratelli John e Lapo Elkann, di Francesco Totti e Luisa Ranieri. E da quanto risulta a Domani, pure quelli di Carlo Verdone, Enrico Letta, Eugenio Scalfari, Carlo Calenda, Maurizio Costanzo e persino Cristian Iovino, il personal trainer vittima della spedizione punitiva degli ultras del Milan insieme a Fedez.

Dalla postazione di lavoro presso cui prestava servizio, Coviello, che potrebbe presto essere sentito dai magistrati, ha monitorato per tutto quel tempo i segreti bancari di chi “conta”, senza tra l’altro seguire un apparente schema logico, la lista dei “correntisti” eccellenti è davvero lunga, con almeno una cinquantina di politici coinvolti. Ma questa attività parallela gli è costata il posto di lavoro.

Le indagini

E, ça va sans dire, un procedimento penale in cui rischia grosso. Giovedì 10 ottobre, dopo la pubblicazione della notizia su Domani, è scattata la perquisizione presso la sua abitazione. Perquisita pure la sua automobile e la scrivania in ufficio. Tutto il materiale «costituente corpo del reato» è stato sottoposto a sequestro. Dopodiché il funzionario di Intesa Sanpaolo ha ritenuto opportuno nominare i legali di fiducia, il penalista Federico Straziota e l’amministrativista Antonio Arzano, entrambi del foro di Bari.

Per chi indaga c’era del resto il timore che, così come si legge nel decreto firmato dal procuratore capo Roberto Rossi e dall’aggiunto Giuseppe Maralfa, «la persona sottoposta alle indagini occultasse sulla persona e o negli immobili di sua disponibilità quanto costituente corpo del reato». Da qui il sequestro di tutti i dispositivi digitali di Coviello. Dalla procura di Bari trapela che in questa storia, tuttora piena di ombre, non ci sarebbe stato e non ci sarebbe alcun livello superiore. Vale a dire nessun mandante. Ciò non toglie che gli inquirenti, per comprendere i motivi che hanno spinto l’uomo a operare in questo modo violando norme di privacy e segretezza, vaglieranno ogni strada. Ecco la ragione per cui a Vincenzo Coviello vengono contestati reati compiuti «verosimilmente in concorso».

A cosa sarebbero servite tutte le informazioni carpite? Ancora non è dato sapere. Durante il procedimento disciplinare avviato dalla banca – i pm dicono che non avrebbe tempestivamente comunicato agli inquirenti i dati degli accessi abusivi effettuati dal funzionario – Coviello avrebbe a sua volta ribadito, più e più volte, di aver agito autonomamente. Tuttavia nulla è al momento certo. Eccetto, leggendo sempre le sei pagine di decreto di perquisizione e sequestro sottoscritto dai magistrati della procura, che quei dati non sarebbero dovuti mai venire violati. Dati che altro non sarebbero che «notizie», scrivono i magistrati. «Notizie che, nell’interesse dello stato o comunque nell’interesse politico, interno o internazionale, dello stato dovevano rimanere segrete».

Il profilo

Coviello, di fatto, per molto tempo – tracciando, secondo quanto viene ipotizzato dagli inquirenti, i conti bancari altrui – avrebbe tenuto sotto controllo i “movimenti” di Meloni e degli ulteriori “spiati”. Venendo quindi a conoscenza delle spese e dei guadagni, dei trasferimenti di denaro. Di informazioni, pertanto, personali.

A Bitonto, dove l’ex bancario risiede, nessuno l’avrebbe mai detto. L’immagine di tradizionale padre di famiglia – una vita tranquilla, i figli, gli amici e l’amore per la campagna così come raccontati sui social – s’è dissolta in un attimo trasformandosi in quella che Gay Talese definirebbe un «guardone» compulsivo, seriale, meticoloso.

«Perché l’ha fatto?», ci si chiede nel borgo barese ma anche in tutta Italia, non riuscendo a capire. C’è chi, come ha fatto la presidente del Consiglio nelle ultime ore, parla con convinzione di «dossieraggio». Chi invece invoca l’intervento della Banca d’Italia come il senatore forzista Maurizio Gasparri, che con le sue dichiarazioni rievoca «gli scandali del Monte dei Paschi di Siena, su cui la vigilanza fu inefficace». E chi, ancora, si schiera a favore di tesi basate sull’eccessiva curiosità, forse antidoto alla noia in un paese di provincia. Nel mezzo i fatti. Quelli che i pubblici ministeri della procura di Bari (è noto che l’indagine sia partita dalla denuncia di un correntista di Bitonto), con la collaborazione dei carabinieri della sezione interna, stanno accertando.

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