Undici arresti su 154 richiesti dalla procura. Una retata che è anche una spaccatura negli uffici giudiziari di Miliano. L’antimafia scatta una fotografia della grande alleanza criminale che si è presa la regione. Tredici anni dopo la maxi inchiesta “Infinito”
Tredici anni dopo la retata passata alla storia con il nome “Infinito”, ecco un nuovo capitolo sul sistema mafioso radicato in Lombardia. Al tempo furono centinaia gli arresti, in quest’ultima eseguita all’alba del 25 ottobre sono stati 11 ma solo perché il giudice per le indagini preliminari, Tommaso Perna, ha rigettato grandissima parte della richiesta della procura antimafia di Milano, che aveva chiesto il provvedimento per 154 persone.
Il no cela una spaccatura notevole negli uffici giudiziari milanesi, dove rispetto al 2010 si respira tutt’altra aria. Di certo però, al di là delle decisioni sulle richieste della procura, restano molti elementi nell’indagine che certificano qualcosa finora rimasta solo in alcuni vecchi verbali dei collaboratori di giustizia.
Esiste in Lombardia una articolata alleanza mafiosa, composta da figure di spicco della ’ndrangheta, della camorra e di Cosa nostra. Un sistema, appunto, fondato sulla pace tra clan nel nome della prosperità economica.
Oltre agli undici arresti, sono stati sequestrati beni per il valore di 223 milioni di euro, frutto di reati finanziari. Anche questo è il segno di come si siano evolute le organizzazioni: maneggiano fatture false più che denaro di estorsioni.
Messina Denaro e Senese
Questa istantanea sul crimine organizzato lombardo vale tuttavia anche per capire le dinamiche in corso in tutto il paese. Milano come la New York funestata dalle cinque famiglie ritratte nei più celebri film di Hollywood sulla mafia.
I nomi dei capi richiamano alla memoria la storia criminale del capoluogo lombardo. C’è la cosca Fidanzati, attiva fin dagli anni Settanta al nord, insieme a uomini di Messina Denaro, latitante per 30 anni e arrestato pochi mesi prima di morire per il tumore di cui soffriva. Questo per quanto riguarda Cosa nostra, la mafia siciliana.
Ma le sorprese non finiscono qui: i partecipanti al tavolino delle mafie in Lombardia hanno altri cognomi espressione della ’ndrangheta, come Iamonte e Romeo, e Senese, per la camorra. Il fatto curioso è che tutti questi brand criminali operativi da decenni fuori dalle regioni di origine sono molto forti a Roma, la capitale d’Italia, dove è documentata una spartizione studiata a tavolino, come fosse una grande alleanza. Milano chiama, Roma risponde.
«Io sono associato da 40 anni, avevo 16 anni e ne ho 58, sono quarant’anni che faccio questa vita», dice intercettato Giacomo Cristello, delle cosche della ’ndrangheta lombarda. È un passaggio significativo di una presenza per troppo tempo negata, taciuta, accettata. Ma il personaggio che fa più discutere è senza ombra di dubbio Gioacchino Amico, siciliano, secondo i pm espressione del clan di Michele Senese, la camorra che a Roma ha messo radici da decenni. Nell’indagine è coinvolto Vincenzo, figlio del padrino.
Per la procura Amico è uno dei promotori del narcotraffico, intratteneva rapporti con un fedelissimo di Messina Denaro: uno degli incontri è documentato a Campobello di Mazara, a pochi passi dal luogo che si scoprirà essere il covo del superlatitante deceduto dopo l’arresto. «Ti stermino la famiglia, ti stermino tutto», le parole che Amico ha scelto per minacciare un debitore.
La sottosegretaria Frassinetti
Lessico da scena narcos in Messico, eppure non ha impedito ad Amico di interloquire da imprenditore con livelli alti della pubblica amministrazione e con politici nazionali, due donne in particolare di Fratelli d’Italia: Paola Frassinetti, attualmente sottosegretaria all’Istruzione, e Carmela Bucalo, parlamentare in commissione Cultura. «In data venti maggio, Amico e Raimondo Orlando si recano a Roma, dove incontrano Alice Murgia, Paola Frassinetti, Carmela Bucalo e Alessandra Gazzellone», si legge negli atti, le altre due donne sono collaboratrici delle onorevoli.
Amico in una delle sue esternazioni spiega che gli è «arrivata la tessera di Fratelli d’Italia». Telefonate dirette ha avuto invece con Monica Rizzi, ex assessora allo Sport della regione Lombardia, uscita dalla Lega di Salvini e approdata in Grande Nord. Parlano di appalti per la sanificazione e citano il nome eccellente di «Giulia», che sarebbe Giulia Martinelli, capo segreteria di Attilio Fontana, il governatore leghista della regione, ed ex compagna di Salvini. Nella richiesta cautelare c’è anche altro, in particolare viene evidenziato che la crescita del livello imprenditoriale delle mafie è collegata alla capacità di «permeare l’apparato istituzionale».
Ci sono i nomi di diversi politici, nessuno è indagato, ma molti sono in contatto con Amico. Si fa riferimento a Roberto Caon, ex deputato di Forza Italia, che ha intrattenuto rapporti proprio con l’uomo dei Senese, così come Pietro Tatarella, ex vice coordinatore regionale di Forza Italia, di recente assolto dall’inchiesta ribattezzata “Mensa dei poveri”.
Negli atti è evidenziato dai pm anche un altro tentativo di avvicinarsi al partito di Meloni. Giancarlo Vestiti, indagato per detenzione di armi ed estorsione, discutendo con un sodale della ’ndrangheta lombarda, spiega che vorrebbero aprire una sede di un’associazione «club» collegata a Fratelli d’Italia. Per farlo avrebbero coinvolto anche Lele Mora, l’ex agente dei Vip finito in disgrazia: Mora avrebbe interessato della vicenda persino la ministra Daniela Santanchè.
Parole che per ora non hanno avuto alcun riscontro, ma che tuttavia descrivono bene il livello raggiunto dal “sistema” e le ambizioni dei suoi capi. Negli atti c’è un capitolo dedicato alla ricostruzione dei rapporti tra gli uomini della malavita e gli esponenti istituzionali, canali di rapporti utili per fare affari.
Si riportano quelli tra gli indagati Filippo Crea, Demetrio Tripodi e l’ex vice sindaco di Vigevano, Antonello Galiani, quest’ultimo non indagato, oggi ai vertici di Forza Italia in regione Lombardia, così come quelli tra Giuseppe Cesare Donina, ex deputato della Lega, e Massimo Rosi, quest’ultimo considerato legato a una locale di ’ndrangheta e per questo finito in carcere insieme ad altri dieci indiziati di essere a capo dell’alleanza lombarda.
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