- Il susseguirsi di operazioni di polizia contro il gioco illegale dimostra quanto radicato sia il fenomeno e quanto facile muoversi fra legalità e illegalità, ciò che consente alle mafie di cumulare profitti e riciclare denaro.
- I paesi privilegiati per ottenere licenze offshore sono Malta e Curacao. Che stanno dando diversi gradi di collaborazione nella repressione del fenomeno: qualche (tardiva) collaborazione da Malta, nessuna da Curacao.
- A preoccupare è soprattutto l’utilizzo di siti illegali da parte degli scommettitori italiani. Secondo un sondaggio quasi il 12 per cento conosce siti illegali e la tendenza a usarli si è incrementata durante il lockdown.
Un sistema troppo permeabile. Il mondo del betting online è entrato nella lista dei business privilegiati dalle grandi organizzazioni criminali. Con due riferimenti territoriali pressoché costanti: Malta e Curacao. È quanto conferma anche l’ultima indagine giudiziaria condotta in Italia, resa pubblica a fine novembre 2021 e accompagnata da provvedimenti restrittivi.
Il suo nome in codice è Operazione game over II e ha condotto a due arresti (e oltre una decina di denunce) tra uomini legati alle cosche siciliane. Come dichiarato dal questore di Palermo, Leopoldo Laricchia, nel corso della conferenza stampa successiva all’esecuzione dei provvedimenti cautelari, il giro faceva registrare operazioni per 14 milioni di euro al mese con vasta possibilità di riciclare denaro.
E fra i personaggi raggiunti dai provvedimenti vi sono anche Angelo Repoli e Sergio Moltisanti, titolari di due compagnie registrate a proprio nome a Malta, usate tra il 2016 e il 2018 per acquisire licenze per il gioco online presso la Malta Gaming Authority.
Repoli, che aveva residenza a Lugano (ma secondo gli inquirenti viveva stabilmente a Sant’Agata di Militello) era l’unico titolare della Pinpoint Ltd, con sede a Birkirkara.
Moltisanti, residente a Sliema (Malta), era direttore della Quantum Leap Ltd, con sede a Gzira. Tali società gestivano una serie di siti per il gioco online (Betqueen365.com, Italbet365.com, Betday24.net, Globalbet360.com, Colmabet.com), più numerosi centri trasmissione dati e corner sparsi per mezza Sicilia, che operavano secondo uno schema consolidato: acquisire una licenza in un paese straniero, operare in Italia in modo illegale (senza alcuna licenza).
Ciò che consente di evadere la tassazione italiana sul gioco e, secondo gli inquirenti, ripulire danaro ottenuto da altre attività illecite. La Game over II è solo l’ultima delle inchieste sul gioco illegale, seconda tranche della più consistente Operazione game over. L’elenco sarebbe lungo, e per forza di cose incompleto, sempre con la criminalità organizzata sullo sfondo.
Malta e Curacao
Per esempio, l’inchiesta sulla società con sede in Inghilterra, Paradisebet, titolare del sito Bet1128, aveva evidenziato legami con esponenti della Sacra corona unita di Bari vecchia. Quella su Betuniq, bookmaker con licenza maltese, aveva portato alla luce anche le connessioni dell’amministratore delegato con pezzi della ‘Ndrangheta calabrese.
E forte era la presenza dei clan siciliani in società che, pur titolari di regolare licenza italiana (la più importante delle quali, Planetwin365, già emersa dal panorama illegale grazie a una sanatoria dello stato), operavano parallelamente con l’utilizzo di skin illegali dove convogliare parte del gioco raccolto ed evadere il fisco italiano sui relativi introiti.
Una galassia infinita, che infatti non ha mai smesso di allargarsi e riprodursi. Due le direttrici maggiormente battute: Malta e Curacao. Sul fronte maltese, qualcosa è cambiato, ma molto andrebbe ancora fatto, perché le autorità locali hanno collaborato con la giustizia italiana, la Malta gaming authority pure (azzerando le licenze di chi fosse coinvolto in inchieste giudiziarie), ma solo ex post e su richiesta della giustizia italiana, mentre avrebbe bisogno di vigilare in ben altro modo al momento di fornire licenze per il gioco. ù
Sul fronte di Curacao, la situazione è peggiore: pur essendo territorio olandese, si tratta di un importante centro di finanza offshore, il che, insieme al basso costo delle licenze per il gioco online (25mila euro), fa da magnete per chi voglia operare in maniera illegale.
Stando al recente Global Report on Corruption in Sport dell’United Nations Office on Drugs and Crime (Unodc), «la situazione sta cambiando perché il Governo olandese ha stipulato un accordo con il governo di Curacao sulla lotta al crimine finanziario ed economico, inclusa una migliore regolamentazione del gioco online».
Sempre secondo quel report, «il governo di Curacao ha assicurato che le licenze per il gioco online saranno assegnate nel rispetto delle leggi e delle regole dei paesi in cui i licenziatari andranno ad operare».
Tutto ciò rimane nel libro delle buone intenzioni. Allo stato dei fatti è poco più che lettera morta. La stragrande maggioranza di chi opera illegalmente in Italia nell’ambito del gioco online lo fa sbandierando una licenza ottenuta a Curacao.
La corsa (lenta) per la legalità
In Italia, sul piano del contrasto al fenomeno, la vita è dura. Per chi lo contrasta la situazione non è molto diversa da quella della lotta contro le narcomafie: per una realtà colpita, molte altre continuano l’attività senza problemi (e altre ancora aprono i battenti), sia che si parli di siti online che di sale da gioco illegali.
Per l’Agenzia delle accise, dogane e monopoli il contrasto all’illegalità è un must assoluto, in difesa della legge e di chi opera nella legalità. Ma è pure una sfida impari, come una gara di fondo vissuta stando sempre un giro dietro ai battistrada.
Il sito dell’Agenzia riporta l’elenco dei siti di gioco inibiti ai sensi delle legge: al 1° dicembre 2021 erano 9166. Un numero che sembra enorme senza esserlo davvero. Perché sono i tempi che contano, e quelli giocano a favore di chi opera nell’illegalità. Oscurare un sito ne richiede molto, tra segnalazioni, richieste e tutti gli strumenti burocratici necessari.
Rimpiazzare un sito oscurato ne richiede infinitamente meno: è sufficiente cambiare la Url, inviare una mail per comunicarlo ai clienti e il gioco è fatto. Il risultato? Ci sono siti di gioco online che, pur oscurati più volte, continuano ad operare da anni.
Il divieto di pubblicità, che si prefiggeva determinati obiettivi (a quanto pare, non raggiunti) nella lotta alla ludopatia, non ha tenuto conto di quella che è da tempo una grave piaga italiana. Sul piano pubblicitario, gioco legale e illegale sono equiparati: zero pubblicità.
In realtà, c’è chi ha provato ad aggirare la legge: molti bookmaker hanno creato siti di news che, opportunamente pubblicizzati (i cartelloni a margine dei campi di calcio sono pieni di certe pubblicità), contribuiscono a far girare comunque il marchio.
Dal canto loro, i bookmaker illegali si avvalgono di appositi siti (anche questi talvolta sottoposti ad oscuramento, ma per uno che viene oscurato altri ne nascono) che ne esaltano l’affidabilità e mille altre (supposte) qualità.
Quel che manca è una distinzione netta: legali e illegali. In medio stat virtus: evitare il totale proibizionismo ma limitare il costante martellamento pubblicitario (gli spot televisivi nell’intervallo delle partite e altri eccessi del genere) forse sarebbe la soluzione giusta.
Tante le problematiche, difficili le soluzioni. E, soprattutto, preoccupanti i dati sul gioco illegale. Un’indagine commissionata da Logico, un’associazione degli operatori di gioco su canale online, ha evidenziato come il 46,7 per cento dei giocatori online conosce almeno un sito legale, ma l’11,7 per cento è a conoscenza di siti illegali.
Le fonti principali di conoscenza sono il passaparola (28 per cento), la pubblicità in tv, sui giornali, in radio o per strada (27 per cento), la pubblicità sul web e sui social (21 per cento). Poi c’è chi va direttamente alla ricerca dei siti di gioco, senza affidarsi alla pubblicità: il 50 per cento tra i giocatori dei siti illegali, il 38 per cento tra quelli dei siti legali.
E scarsa sarebbe, tra i giocatori, la consapevolezza dei rischi del gioco illegale: il 53 per cento degli intervistati ne è consapevole, mentre la percentuale scende al 25 per cento fra i giocatori.
Dopo il lockdown
Il dato più preoccupante, poi, emerge dall’incrocio dei dati di uno studio Luiss/Ipsos con quelli di Adm/Sogei e riguarda il mercato del gioco post lockdown: il rapporto tra giocatori su rete online illegale e legale è di sette a dieci. È chiaro che la pandemia ha fornito un grosso impulso al gioco illegale, che è cresciuto del 50 per cento in un solo anno: nel 2019 il valore del gioco illegale era stimato in circa 12 miliardi (mentre per via del lockdown quello legale aveva fatto registrare un sostanzioso decremento), nel 2020 è salito a 18 miliardi, le stime del 2021 parlano di circa 20 miliardi.
Conseguenza non da poco, i mancati introiti per lo stato: il gioco illegale si traduce in zero tasse pagate, un significativo danno erariale.
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