Davide Trentini era malato di sclerosi multipla dal 1993. Aveva 53 anni e la sua vita «era diventata un calvario» si legge sul sito dell’associazione Luca Coscioni. Per questo nel 2017 ha contattato Cappato e poi Welby per poter accedere alla morte volontaria in Svizzera
Marco Cappato e Mina Welby sono stati assolti in appello dall'accusa di aiuto al suicidio offerto a Davide Trentini, malato di sclerosi multipla e morto in una clinica in Svizzera nel 2017. Il giorno dopo la morte di Trentini, Welby, co-presidente dell’associazione Luca Coscioni, e Cappato, tesoriere dell'associazione e promotore del Congresso mondiale per la libertà di ricerca e della campagna Eutanasia legale, andarono a Massa per autodenunciarsi ai carabinieri. Prima della sentenza di oggi entrambi erano già stati assolti in primo grado.
La storia di Trentini
Trentini, si legge sul sito dell’associazione Luca Coscioni, era malato di sclerosi multipla dal 1993. Aveva 53 anni e la sua vita «era diventata un calvario». Per questo ha contattato Cappato e poi Welby poter accedere alla morte volontaria in Svizzera. Dopo vari incontri e dopo l’aiuto di Mina nello sbloccare alcune procedure burocratiche. Davide è partito dunque per la Svizzera con Mina «con un servizio di ambulanza che ignorava i motivi del suo ultimo viaggio» specificano.
Questo il messaggio di saluto che ha voluto lasciare attraverso l’Associazione Luca Coscioni: «Basta dolore». La cosa principale, ha detto, «è il dolore, bisogna focalizzarsi sulla parola dolore. Tutto il resto è in più». Così il 13 aprile 2017 in una clinica di Basilea, accompagnato da Mina Welby, ha scelto l’eutanasia, anche lui attraverso il suicidio assistito.
Piergiorgio Welby
Il primo a porre il tema dell'autodeterminazione del malato e della scelta sul fine-vita fu Piergiorgio Welby, attivista e co-presidente dell'Associazione Coscioni. Colpito da anni dalla distrofia muscolare inviò al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano una lettera in cui chiedeva l'eutanasia. Il 16 dicembre 2006 il tribunale di Roma respinse la richiesta dei legali di Welby di porre fine all' «accanimento terapeutico», dichiarandola «inammissibile» a causa del vuoto legislativo su questa materia. Pochi giorni dopo, Welby chiese al medico Mario Riccio di porre fine alle sue sofferenze. Un aiuto che costò a Riccio l'accusa di omicidio del consenziente, seguita dal proscioglimento.
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