- Ester (nome di fantasia), ex segretaria della madre superiora Ivanka Hosta, racconta le repressioni messe in atto nella Comunità Loyola e il silenzio con cui Marko Rupnik è stato protetto dai gesuiti e dalla Chiesa.
- Le autorità ecclesiastiche oggi si dicono addolorate per le vittime e affermano di non essere state al corrente di fatti più volte segnalati negli anni. Un muro di silenzio che Ester ha subito sulla propria pelle.
- La nuova testimonianza aggrava la posizione di Rupnik, noto teologo e artista gesuita, vicino a papa Francesco, al centro dello scandalo per abusi su diverse suore in Slovenia e a Roma.
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Una nuova testimonianza aggrava la posizione di Marko Rupnik, teologo e artista gesuita vicino a papa Francesco, al centro dello scandalo per abusi sessuali su diverse suore. Dopo “Anna”, che ha rivelato a Domani le violenze che ha subito quando era una religiosa della Comunità Loyola, Ester (nome di fantasia), oggi 60 anni, all’epoca segretaria della madre superiora Ivanka Hosta, racconta le repressioni e il silenzio con cui Rupnik è stato protetto dai gesuiti e dalla chiesa. Cioè dalle stesse autorità ecclesiastiche che oggi si dicono addolorate per le vittime e affermano di non essere state al corrente dei fatti, in realtà più volte segnalati nel corso degli anni.
Quando è entrata nella Comunità Loyola?
Sono stata fra le prime: a Lubiana nel 1984 si era costituito un gruppo di quattro sorelle da cui tre anni dopo ha avuto origine la Comunità. Nel 1988 eravamo già in venti: allora avevo 25 anni e ho preso i voti perpetui insieme ad altre sei sorelle, fra cui la superiora Ivanka Hosta.
Qual era il rapporto fra Marko Rupnik, Ivanka Hosta e le sorelle della comunità?
Rupnik ci diceva che Ivanka aveva il carisma ma non lo sapeva trasmettere: solo lui poteva interpretare questo suo dono e trasmetterlo a noi sorelle. In questo modo costruiva un muro tra Ivanka e le altre suore della comunità, che non riuscivano a confidarsi con lei. Padre Rupnik le ha legate a sé e non ha permesso una relazione sincera tra Ivanka e le altre sorelle. Pian piano è diventato questo lo stile dei rapporti tra di noi.
Com’era la vita nella comunità slovena?
Io ho vissuto con grande gioia i primi cinque anni di vita in comune e pensavo che anche per le altre sorelle fosse lo stesso. Ero del tutto ignara della sofferenza nascosta e degli abusi che subivano alcune di loro. Tutto è cambiato nel 1989 quando, dopo gli studi di teologia, sono stata mandata a Roma a studiare diritto canonico e a lavorare alla Radio Vaticana. Qualcosa si è incrinato dentro di me. Credevo che il problema fosse la stanchezza o l’immersione in un nuovo ambiente, con altre abitudini, ma anni dopo ho capito che l’inizio del mio buio era dovuto a padre Rupnik.
Quali ricordi ha rielaborato?
Già negli anni vissuti a Mengeš, in Slovenia, mi vietava di vivere l’amicizia profonda che avevo con una delle sorelle, dicendomi che era una dipendenza insana, un segno di egoismo; a Roma poi mi ordinò di tagliare del tutto i ponti con lei. Questa esperienza ha cambiato il modello delle mie relazioni: non c‘era niente di stabile nei rapporti che avevamo, non c’erano più amicizie. Non solo: padre Rupnik ci chiese di scrivere una lettera ai nostri genitori e alla nostra famiglia in cui comunicavamo che per un anno non avremmo più avuto nessun rapporto con loro: niente visite, lettere o telefonate. Io in particolare dovevo scrivere quanto fossi preoccupata per la loro salvezza, elencare i loro difetti all’origine di questa preoccupazione. La lettera mi sembrava troppo dura ma la sorella che doveva “approvarla” aggiunse anche altre cose, ancora più tremende. Ho dovuto spedire la lettera e ancora oggi porto in me il ricordo amaro del loro dolore.
Quando ha saputo degli abusi sessuali di Rupnik?
Nel 1993, quando ci sono state le prime denunce alla madre generale. “Anna” ha parlato di quello che era successo con padre Marko e prima di lei era andata da Ivanka l’altra sorella con cui Rupnik aveva avuto il rapporto a tre, a Roma. Da quel momento molte altre sono venute da me a dirmi che erano state abusate da Rupnik e io dicevo loro di rivolgersi a Ivanka, perché era la superiora. Erano anni che le vedevo piangere, già dal 1985, ma solo in quel momento ho capito il motivo, per me prima inimmaginabile.
Che cosa è successo quando “Anna” ha deciso di denunciare apertamente Rupnik alle autorità ecclesiastiche?
Rupnik è stato allontanato dalla comunità dall’arcivescovo di Lubiana Alojzij Šuštar. Ricordo che io stessa ho avuto l’incarico di portare tutti i suoi quadri al Centro Aletti a Roma. Era furioso.
La superiora come spiegò la sua partenza?
Radunò le sorelle e disse che Rupnik era stato mandato via perché voleva impossessarsi del carisma della comunità e farsi passare da fondatore, ma noi del consiglio che le eravamo più vicine conoscevamo il vero motivo. Così come lo sapeva il vescovo Šuštar e padre Lojze Bratina, all’epoca provinciale sloveno dei gesuiti. A padre Bratina avevo raccontato tutto io stessa ma lui mi aveva risposto che non ci credeva.
Da quel momento che cosa è successo?
La comunità ha cominciato a funzionare come una vera e propria setta. Ivanka, credo per paura che la notizia degli abusi di Rupnik uscisse in qualche modo e compromettesse il futuro della comunità, ha taciuto e ha assunto con noi un atteggiamento totalmente repressivo e controllante. Non si dovevano più salutare gli amici di padre Rupnik o coloro che lo frequentavano, non si poteva più liberamente scegliere il confessore e neanche dirgli tutto. Veniva pure verificato che cosa avevamo detto in confessione e le risposte date dal confessore. La guida spirituale poteva essere soltanto una sorella della comunità: o era la superiora stessa o, con il suo permesso, un’altra sorella. Il contenuto della preghiera personale doveva essere condiviso con le altre e Ivanka si attribuiva il diritto di giudicare quando una preghiera era genuina e quando non lo era. La sorella che non pregava bene spesso doveva insistere in cappella finché non pregava come voleva Ivanka, altrimenti veniva segnalata come persona in crisi, il che era sempre considerato una colpa, una chiusura nei confronti di Dio. La libertà personale era quasi completamente azzerata. A causa di questo clima buio e minaccioso la comunità si è dimezzata: nel giro di pochi anni siamo uscite in 19, una addirittura è scappata dalla finestra.
Ci sono state reazioni da parte dei gesuiti o della chiesa in generale?
Nessuna. Non uno che si sia interessato, almeno ufficialmente, della separazione fra Ivanka Hosta e padre Rupnik e della successiva disgregazione della comunità. Nel 1998 sono andata in curia dai gesuiti e ho raccontato tutto di nuovo, stavolta al delegato per le case internazionali a Roma padre Francisco J. Egaña, ma ancora una volta non è successo niente. Dopo, per anni, ho vissuto con una grande ferita senza più avere rapporti con nessuna finché, prima del lockdown, ho incontrato una ex sorella che mi ha detto che la comunità era stata commissariata.
Che cosa ha fatto dopo essere uscita dalla Comunità Loyola?
Lavoravo già in un’università cattolica a Roma. Al momento delle mie dimissioni dalla comunità, Ivanka è andata dal mio superiore per chiedergli di sostituirmi con un’altra sorella: per fortuna si è rifiutato.
È in contatto con le sorelle che attualmente vivono nella comunità?
Con qualcuna. Molte hanno seri problemi fisici e psichici a causa delle violenze psicologiche e spirituali che hanno subìto. Alcune assumono farmaci che le devastano: una l’ho rivista a un funerale e non l’ho nemmeno riconosciuta, tanto era segnata dall’effetto delle medicine. Prima Marko e poi Ivanka sono riusciti a togliere loro quel poco di autostima che avevano.
Per appoggiare la denuncia di “Anna”, lo scorso giugno lei ha scritto una lettera sugli abusi di Rupnik indirizzata ai gesuiti e a diverse personalità della chiesa, dal prefetto del dicastero per la Dottrina della fede Luis Ladaria Ferrer al cardinale vicario del papa per la diocesi di Roma, Angelo De Donatis. Qualcuno le ha risposto?
Nessuno. E dire che molti di loro li conosco personalmente.
La Conferenza espiscopale slovena il 21 dicembre ha detto che prova «dolore e costernazione» per gli abusi, «rimasti ignoti per tanti anni». È così?
All’epoca tanti erano al corrente dei fatti, dal vescovo di Lubiana al provinciale dei gesuiti fino al fondatore del Centro Aletti, il teologo Tomáš Špidlík. Nemmeno oggi i vescovi sloveni possono dire che non sapevano: “Anna” ed io abbiamo spedito via Pec le nostre lettere anche all’attuale arcivescovo di Lubiana, Stanislav Zore, al provinciale sloveno padre Miran Žvanut e a padre Milan Žust, superiore della residenza della Santissima Trinità al Centro Aletti di Roma, che è anche il superiore di padre Rupnik. Non credevano che saremmo andate tanto avanti nella denuncia pubblica e hanno detto mezze verità per cercare di cavarsela.
Sia i vescovi sloveni che il cardinale De Donatis ora condannano gli abusi ma invitano a distinguere fra i peccati di Rupnik e ciò che ha espresso con la sua arte. Che cosa ne pensa?
L’arte è espressione di quel che lui insegna, riflette la sua personalità. Non si può dire che l’arte e il ministero sono due cose separate, Rupnik stesso ha sempre sottolineato che sono due elementi intimamente connessi. Finché la chiesa non capisce che l’essere abusatore di Rupnik è legato al suo essere artista, continuerà a minimizzare la gravità di quel che è successo.
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