In una lettera aperta, indirizzata a papa Francesco, le vittime del sacerdote ex gesuita Marko Rupnik – accusato di aver abusato almeno una ventina di donne – hanno reagito con sdegno al rapporto finale della visita canonica sul Centro Aletti che riabilitava il sacerdote e metteva in dubbio la sua scomunica
«Questa relazione, che scagiona da ogni responsabilità Rupnik, ridicolizza il dolore delle vittime, ma anche di tutta la chiesa, mortalmente ferita da tanta tracotanza ostentata». Queste le parole di alcune vittime di Marko Rupnik, che in una lettera aperta al papa reagiscono con sdegno al rapporto finale della visita canonica sul Centro Aletti, diffuso ieri dalla diocesi di Roma.
«I fatti e i comunicati che si sono susseguiti in questi ultimi giorni – l’udienza privata, resa poi pubblica attraverso immagini apparse in rete, concessa dal papa a Maria Campatelli, ex religiosa della Comunità Loyola e attuale presidente del Centro Aletti; e il comunicato diffuso con il report conclusivo della visita canonica realizzata alla comunità del Centro Aletti – tali fatti ci lasciano senza parole, senza più voce per gridare il nostro sconcerto, il nostro scandalo», scrivono le sopravvissute alle violenze dell'ex gesuita nella lettera pubblicata oggi sul sito di Italy Church Too il coordinamento contro gli abusi nella Chiesa cattolica, nato nel febbraio 2022 in sostegno di tutte le vittime della violenza clericale.
L’indifferenza della chiesa
Per le firmatarie, l'udienza papale a Campatelli e il rapporto diocesano che assolve l'operato del Centro Aletti sono un chiaro segno dell'indifferenza della Chiesa nei confronti delle vittime: «riconosciamo che la “tolleranza zero sugli abusi nella chiesa” è stata solo una campagna pubblicitaria, a cui hanno invece fatto seguito solo azioni spesso occulte, che hanno invece sostenuto e coperto gli autori di abusi», si legge nel testo.
Oltre al papa, la lettera - che si può sottoscrivere e che denuncia la doppia violenza subita dalle vittime, prima da Rupnik e poi dalla Chiesa, che le ha ripetutamente ignorate – è indirizzata anche al cardinale Angelo De Donatis, al presidente della Cei Matteo Zuppi e al cardinale João Braz de Aviz, prefetto del Dicastero per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica.
«Il comunicato della diocesi, avallando pienamente il lavoro del Centro Aletti riabilita anche il suo fondatore ed è l'ultimo sfacciato tentativo del cardinale De Donatis di salvare Rupnik, con la piena approvazione del papa», spiega a Domani Fabrizia Raguso, docente di psicologia all'università cattolica di Braga, in Portogallo, ex sorella della Comunità Loyola e prima firmataria della lettera aperta. Proprio dalla Comunità Loyola erano emerse, già nel 1994, le prime denunce di abuso a carico di Rupnik
La rete di protezione
Da questi fatti si era originata la spaccatura della Comunità: alcune sorelle erano rimaste con la superiora Ivanka Hosta e altre, fra cui la stessa Campatelli, avevano seguito Rupnik per fondare il Centro Aletti a Roma. Hosta, si legge ancora nella lettera, «per trent’anni ha coperto le nefandezze di Rupnik, e ha ridotto in schiavitù spirituale coloro che si opponevano ai suoi disegni di rivincita».
La Comunità Loyola è stata commissariata nel dicembre 2020 e la sua situazione canonica è al momento lasciata in sospeso dal Dicastero competente, nonostante la relazione conclusiva del commissario, il vescovo gesuita Daniele Libanori, che ha evidenziato gravi casi di manipolazione di coscienza da parte della superiora.
Emerge quindi chiaramente come il sacerdote sloveno abbia goduto di una rete di protezione da parte di diverse persone (non ultimo l'allora arcivescovo di Lubiana Alojzij Šuštar), che già trent'anni fa erano a conoscenza dei suoi abusi ma non hanno fatto nulla per fermarlo.
«Immagino che dietro questa difesa ad oltranza di Rupnik e delle sue seguaci ci siano anche interessi economici – continua Raguso – perché il Centro Aletti è un'associazione pubblica di fedeli della diocesi e incassa cifre importanti grazie alla produzione e alla vendita dei mosaici».
La risonanza mondiale delle denunce a carico dell’ex gesuita ha però già fatto calare le richieste di nuove opere e in diversi paesi, dalla Francia alla Svizzera e alla Gran Bretagna, si comincia a discutere dell’opportunità di rimuovere i mosaici usciti dall'atelier artistico del Centro Aletti.
La parola alle vittime
Alla lettera aperta hanno aderito anche alcune ex religiose che avevano testimoniato a Domani sotto pseudonimo e che ora hanno deciso di esporsi pubblicamente con il proprio nome. «Sono passati più di trent'anni dagli abusi subiti nella comunità Loyola – dice Gloria Branciani a Domani – un tempo insopportabile perché nonostante tutte le testimonianze, le denunce, i fatti narrati con fatica e dolore io oggi ancora non esisto per la Chiesa.
I fatti sono prescritti ma le persone no, e neanche il nostro dolore. Per questo sento il diritto-dovere civico e morale di continuare a testimoniare la verità dei fatti, anche se a qualcuno possono sembrare sgradevoli e inappropriati». «Di nuovo ci vogliono costringere al silenzio ma la verità non si può cancellare», aggiunge un’altra sopravvissuta, Vida Bernard.
Papa Francesco, che il 15 settembre ha accolto con calore in Vaticano Maria Campatelli (un incontro «sbattuto in faccia alle vittime»), non ha invece mai risposto a quattro lettere che altrettante religiose ed ex religiose della Comunità Loyola gli avevano fatto recapitare nel luglio del 2021. L’amarezza delle vittime per la diversità di trattamento ricevuto dal papa è profonda: «non c’è posto in questa chiesa per chi ricorda verità scomode», concludono.
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