- Le mascherine arrivate in Italia per fronteggiare l’emergenza erano un affare per gli intermediari che hanno ricevuto ricche provvigioni, ma erano fallate per i medici, gli operatori sanitari che le hanno indossate durante il picco dell’emergenza covid.
- La corte di Cassazione ha depositato pochi giorni fa le motivazioni della sentenza, emessa lo scorso giugno, che ha respinto il ricorso di Mario Benotti che chiedeva la revoca del sequestro degli 872 mila euro.
- «In assenza dell'intervento effettuato dal Benotti presso l'Arcuri e la relativa struttura commissariale, l'offerta promossa dal Tommasi per conto delle società cinesi non sarebbe stata neppure avanzata», scrivono i giudici.
Le mascherine arrivate in Italia per fronteggiare l’emergenza covid erano un affare per gli intermediari che hanno ricevuto ricche provvigioni, ma erano fallate per i medici, gli operatori sanitari che le hanno indossate.
L’indagine della procura di Roma sulle mascherine e il presunto traffico di influenze è a un punto di svolta e, sentiti gli indagati, la pubblica accusa potrebbe notificare l’avviso di conclusione delle indagini.
Questione di qualche settimana per l’inchiesta che vede indagati, tra gli altri, Mario Benotti che sfruttando il rapporto di conoscenza con l’allora commissario Domenico Arcuri, ha ottenuto una ricca provvigione, da 12 milioni di euro, dalle aziende che hanno fatto arrivare in Italia 800 milioni di mascherine.
Indagini che vedono lo stesso Arcuri indagato, in un fascicolo separato, per corruzione, la procura per questo reato ha chiesto l’archiviazione, visto che non è stata trovata alcuna utilità per il commissario, ma il giudice per le indagini preliminari Paolo Andrea Taviano non ha ancora deciso.
+L’inchiesta principale, invece, procede spedita come testimonia il provvedimento della corte di Cassazione che ha confermato il sequestro disposto a carico proprio di Benotti, giornalista Rai in aspettativa con molte conoscenze in Vaticano e a palazzo.
Il ruolo degli amici
La corte di Cassazione ha depositato pochi giorni fa le motivazioni della sentenza, emessa lo scorso giugno, che ha respinto il ricorso di Mario Benotti che chiedeva la revoca del sequestro degli 872 mila euro, messi sotto sigillo della guardia di finanza perché ritenuti «parte del prezzo dell'indicata ipotesi di reato».
Il reato contestato è quello di traffico di influenze. In pratica, a causa della pandemia, il governo ha sospeso il codice degli appalti e consentito al commissario di governo per il contrasto al covid di procedere agli acquisti senza gara. Non solo.
Il decreto cura Italia che introduce la figura del commissario, scritto grazie anche ai «suggerimenti» di Benotti, ha previsto uno scudo per gli atti sottoscritti dal commissario, che vengono sottratti al controllo della Corte dei conti e anche «alla responsabilità contabile e amministrativa».
Lo scudo scatta identico per i membri del Cts, il comitato tecnico scientifico. L’esigenza di fare presto si è concretizzata nell’agevolazione di alcuni imprenditori in grado di sfruttare intermediari in rapporti diretti con il commissario di governo. È il caso di Mario Benotti e Domenico Arcuri, il primo attore del traffico di influenze, il secondo trafficato.
«Benotti si era accreditato presso la struttura commissariale per il solo motivo di essere amico dell'Arcuri, da un lato prospettando al Tommasi la possibilità di attivare un'interlocuzione diretta con il commissario straordinario garantendogli un accesso preferenziale alla struttura, dall'altro lato sfruttando tale rapporto anche presso i collaboratori dell'Arcuri», scrivono i giudici della cassazione respingendo il ricorso di Benotti.
In pratica, grazie all’amicizia con Arcuri, Benotti ha garantito una corsia preferenziale al sodale indagato Andrea Tommasi e una scorciatoia rispetto altri imprenditori. «In assenza dell'intervento effettuato dal Benotti presso l'Arcuri e la relativa struttura commissariale, l'offerta promossa dal Tommasi per conto delle società cinesi non sarebbe stata neppure avanzata», ribadiscono nella sentenza i giudici della corte di Cassazione.
Il falso e la frode
L’indagine principale, coordinata dal procuratore Paolo Ielo, però, non riguarda soltanto il traffico di influenze in merito alla mega provvista di dispositivi di protezione. Le mascherine hanno prodotto una pioggia di soldi per gli intermediari, ma anche un possibile danno a chi le indossava.
Dovevano proteggere medici, infermieri, personale delle residenze per anziani, ma invece erano fallate. Praticamente, nel caso di un modello, la mascherina doveva avere una capacità di penetrazione del 6 per cento e, invece, risultava del 60 per cento, dieci volte superiore.
Per questo la procura, inizialmente l’indagine era a Gorizia, indaga per frode in pubbliche forniture e falso. La finanza, in questi mesi, ha sequestrato 195 milioni di mascherine non a norma provenienti dalla Cina e appartenenti alla mega commessa affidata a due consorzi asiatici.
Benotti si difende dicendosi estraneo e chiarendo che il mediatore non ha alcuna responsabilità sulla qualità delle mascherine, i controlli spettano agli enti preposti. Quali? I prodotti sono stati certificati da Inail e dal Cts», hanno sempre chiarito dallo staff di Arcuri. Controlli effettuati solo attraverso la validazione di documenti senza effettuare analisi di laboratorio come consentito dalle norme emergenziali.
L’indagine punta a capire l’eventuale falso che si nasconde dietro la certificazione di prodotti non corrispondenti ai requisiti previsti. Le mascherine erano prodotti eccezionali solo per le tasche di chi ha mediato l’affare miliardario.
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