Il leader di Italia viva è indagato per finanziamento illecito ai partiti attraverso la fondazione, i pm hanno chiesto il rinvio a giudizio. La Giunta per le immunità ha chiesto di sollevare il conflitto di attribuzione per dei messaggi whatsapp agli atti della procura di Firenze
Matteo Renzi verso il verdetto del Senato sul caso Open che lo vede indagato per finanziamento illecito ai partiti: arriva all'esame dell'Aula del Senato martedì prossimo, 22 febbraio, la decisione della Giunta per le elezioni e le Immunità a favore del conflitto di attribuzione contro i pm di Firenze, adesso i senatori dovranno dare la loro decisione definitiva.
La Giunta ha approvato nel dicembre scorso la relazione di Fiammetta Modena (Forza Italia) favorevole a sollevare conflitto davanti alla Corte costituzionale sulla vicenda che coinvolge il leader di Iv. Secondo Modena sarebbero stati acquisiti dalla procura di Firenze dei messaggi whatsapp e delle e-mail in maniera illecita. All’epoca si erano astenuti Pd, Leu e Movimento 5 stelle.
Il caso
La procura di Firenze il 9 febbraio ha chiesto il rinvio a giudizio per l’ex premier Renzi e altri dieci indagati, per l'inchiesta sulle presunte irregolarità nei finanziamenti a Open, la fondazione nata per sostenere le iniziative politiche dell'ex premier.
Tra gli indagati per i quali è stato chiesto il processo ci sono anche l’ex ministra oggi parlamentare di Italia viva, Maria Elena Boschi, l’ex ministro e deputato Pd, Luca Lotti, l'ex presidente di Open Alberto Bianchi e l'imprenditore Marco Carrai. Coinvolte nell'inchiesta anche quattro società. L'udienza preliminare si terrà il 4 aprile prossimo.
La giunta
Renzi, che dopo la richiesta di rinvio a giudizio ha annunciato di aver denunciato il procuratore aggiunto Luca Turco e il sostituto procuratore Antonio Nastasi insieme al procuratore Giuseppe Creazzo, alla fine dell’anno scorso aveva già chiesto l’intervento di Palazzo Madama scrivendo alla presidente Elisabetta Casellati.
I pm hanno inserito nel fascicolo dell’inchiesta una chat con l’imprenditore Vincenzo Manes del 3-4 giugno 2018, ma all’epoca Renzi era già senatore. I messaggi tra Renzi e Manes riguardavano un viaggio dell’ex premier a Washington che sarebbe stato pagato dalla fondazione Open 135mila euro.
Per il senatore sarebbero perciò state violate le prerogative costituzionali da parlamentare che prevedono l’autorizzazione della camera di appartenenza per l’acquisizione di materiale, le perquisizioni e le intercettazioni.
In questo caso, secondo Modena, «ritenendo che il messaggio scritto su WhatsApp rientri pleno iure nel concetto di “corrispondenza” – si legge nella relazione –, appare illegittimo il sequestro dello stesso senza una preventiva autorizzazione del Senato». I messaggi tuttavia sono stati reperiti non dagli invii di Renzi ma da quelli ricevuti da Manes. Adesso toccherà all’Aula esprimersi. Proprio oggi i senatori hanno deciso di salvare Claudio Giovanardi, di Idea e azione.
Giovanardi è accusato di aver fatto pressioni su organi politici e pubblici ufficiali a favore di un’impresa tolta dalla white list, ovvero dalla lista di imprese che non hanno subito infiltrazioni mafiose. Per la relazione presentata dal leghista Simone Pillon Giovanardi avrebbe legittimamente espresso la sua opinione di parlamentare. Palazzo Madama ha approvato questa versione con la maggioranza composta dal centrodestra – quindi Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia – più Italia viva.
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