La repressione del regime iraniano colpisce anche gli ex studenti delle nostre università. «Mehdi Zare Ashkzari aveva studiato Farmacia a Bologna. Era tornato in Iran, dove ora è morto, dopo venti giorni di coma a seguito di torture», ha raccontato a Domani Riccardo Noury di Amnesty. Le testimonianze degli amici, la reazione di Patrick Zaki
«Mehdi Zare Ashkzari aveva studiato Farmacia a Bologna. Due anni fa era tornato in Iran, dove ora è morto, dopo venti giorni di coma a seguito di torture». Il portavoce di Amnesty, Riccardo Noury, raccoglie con preoccupazione la denuncia arrivatagli da un’attivista iraniana, e che ora circola anche negli ambienti universitari nostrani: nel 2015 Mehdi Zare Ashkzari era passato dalle aule bolognesi. Aveva anche lavorato in una pizzeria della città emiliana.
Il colpo del regime
Poi è tornato in Iran, dalla madre. Ma nei mesi della repressione e delle esecuzioni sommarie, qui è stato torturato «tanto, al punto che dopo venti giorni di coma è morto»: questo è ciò che Noury ha appreso dall’Iran, e che ha riferito stamattina a Domani. Secondo le prime testimonianze raccolte, pare che il ragazzo – acciuffato durante le proteste – sia stato torturato e poi rilasciato per evitare che si sentisse male mentre era in carcere; poche ore dopo il rilascio è entrato in coma, fino a morire venti giorni dopo.
La storia e il ricordo degli amici
Ali Jenaban vive a Bologna, viene dall’Iran, era amico di Mehdi e a Domani racconta: «Ho saputo della sua morte ieri da un’amica. Io conoscevo questo ragazzo perché lui, come me, studiava nella scuola italiana di Teheran “Pietro Della Valle”. Ogni anno questa scuola organizzava la partenza per l’Italia di gruppi di studenti; io sono arrivato qui, a Bologna, nel 2013 e lui dopo di me». Mehdi si era messo a studiare Farmacia, mentre Ali ha fatto il Dams e ora fa film, oltre a lavorare in un bar. «Mehdi voleva studiare ma doveva anche sbarcare il lunario, quindi a un certo punto ha sospeso i suoi studi per lavorare». L’amico racconta che «lavorava alla pizzeria Ciao Vip, in zona universitaria, vicino al teatro comunale; era un ragazzo sorridente, che si impegnava tanto, e mano a mano ha dato un contributo sempre maggiore».
Dalla pizzeria di via dei Castagnoli confermano, e sono dispiaciuti per la notizia della morte del ragazzo. Il suo ritorno in Iran scatta quando la madre di Mehdi si ammala. «È rientrato quando la madre è stata poco bene, credo per il Covid»; poi è morta, racconta Ali Jenaban. Intanto Mehdi si è trovato nell’Iran delle proteste, «lo hanno arrestato, torturato, è stato in coma». Fino alla sua morte, la famiglia ha temuto di denunciare la tortura: prima sperava che il figlio si potesse salvare – ma così non è stato – e poi «voleva esser certa di avere un cadavere da seppellire».
L’università e le reazioni di solidarietà
Non è la prima volta che la comunità bolognese si ritrova a far fronte alla violazione dei diritti nei confronti dei suoi studenti: Bologna è ancora in allerta per il suo studente Patrick Zaki, che è uscito dalle carceri egiziane ma non è ancora tornato padrone della propria esistenza. E proprio Zaki, appresa la notizia, ha fatto avere un suo messaggio via social: «Oggi l’università di Bologna ha ricevuto una notizia orribile. Il nuovo anno inizia con questa notizia per darci un avviso sulle violazioni dei diritti umani che si verificano nella regione SWANA (Asia sud-occidentale/Africa del Nord, ndr) e in particolare in Iran. Unibo ha ora una nuova vittima della libertà di espressione. Purtroppo questa volta era troppo tardi per salvarlo».
Morire per il dissenso
Il 2022 si era concluso con la repressione dei manifestanti iraniani, sia nelle piazze che attraverso processi farsa e poi vere e proprie esecuzioni. L’8 dicembre è stato impiccato Mohsen Shekari, che aveva solo 23 anni ed era stato condannato a morte dal regime. Quello è stato il primo caso evidente di condanna a morte a seguito delle proteste. Al momento ci sono 26 persone nel braccio della morte: sono a imminente rischio di esecuzione.
La reazione italiana
A fine dicembre, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha raccolto le preoccupazioni delle organizzazioni per i diritti umani e ha incontrato l’ambasciatore iraniano designato Mohammad Reza Sabouri. Alla Farnesina, il 28 dicembre, Tajani ha espresso «preoccupazione e indignazione per quel che sta accadendo in Iran» e ha chiesto all’ambasciatore iraniano «di trasmettere le richieste dell'Italia al governo del suo paese»: anzitutto, lo stop a pena di morte e repressione verso i manifestanti.
Cosa succede ora
La mobilitazione internazionale non è senza effetti. Questa è la constatazione di Noury: «Il fatto che le impiccagioni si siano fermate, e che in almeno un caso ci sia stato un annullamento della condanna con il ritorno del dossier a un tribunale di primo grado, è il segnale che è in corso una valutazione». La sospensione delle esecuzioni «non è ufficiale, e ci sono 26 persone attualmente nel braccio della morte.
«Reagire serve»
Ma i rari segnali positivi dimostrano che attivarsi serve: «Secondo me dopo le prime due impiccagioni se non ci fossero state proteste da parte della comunità internazionali sarebbe avvenuto un massacro». Serve, che i governi si muovano.
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