- Ieri le scelleratezze del ministro dell’Interno Matteo Salvini erano rivendicate e urlate ai quattro venti, oggi quelle della ministra Luciana Lamorgese sono camuffate da questioni burocratiche o amministrative.
- Poco importa, il risultato non cambia. I «piccoli di oggi», come li definisce il papa, vengono lasciati ad annegare, insieme alle loro madri e ai loro padri. O abbandonati nelle paludi gelate al confine tra Bosnia e Croazia, o nelle innevate foreste tra Polonia e Bielorussia.
- Che cos’altro deve accadere perché si possa riaprire gli occhi? Non possiamo né stupirci degli spostamenti di massa di esseri umani e nemmeno rimanere indifferenti alle loro sorti. Perché sappiamo che questi spostamenti sono in gran parte causati da noi.
Non è vero che a Natale siamo tutti più buoni. E nonostante gli appelli del santo padre, è l’indifferenza che continua a farla da padrone. «Abbracciamo Gesù nei piccoli di oggi, amiamolo negli ultimi, serviamolo nei poveri. Sono loro i più simili a Gesù, nato povero. Ed è in loro che Lui vuole essere onorato», ha twittato papa Francesco il 27 dicembre.
E invece i piccoli li lasciamo annegare, insieme alle loro madri e ai loro padri. O li lasciamo nelle paludi gelate al confine tra Bosnia e Croazia, o nelle innevate foreste tra Polonia e Bielorussia.
Oltre mille persone sono state lasciate per giorni in balìa delle onde a causa delle micidiali scelte politiche del governo italiano, per i componenti del quale – e, va detto, anche per la stragrande maggioranza dei parlamentari – vale più una poltrona che centinaia di vite umane.
Ieri le scelleratezze dell’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini erano rivendicate e urlate ai quattro venti mentre oggi quelle della ministra Luciana Lamorgese, che ha preso il suo posto al Viminale, sono camuffate da questioni burocratiche o amministrative. Poco importa, il risultato non cambia.
Certo, l’Italia non è sola. I 27 morti di Natale nel mar Egeo ci dicono che tutta l’Europa ha scelto, come scelse negli anni Trenta dello scorso millennio, di non abbattere e nemmeno guardare le mura dietro le quali si consumano immani tragedie e stragi di migliaia e migliaia di persone che cercano solo una vita migliore.
Che cos’altro deve accadere perché si possa riaprire gli occhi? Che cos’altro deve accadere perché giornali, telegiornali, trasmissioni di ogni genere e orario si occupino ossessivamente della nostra barbarie finché non sia cancellata?
Bilancio drammatico
L’Organizzazione internazionale per le migrazioni ci dice che nel 2021 1.860 migranti hanno perso la vita nel Mediterraneo (1.508 nel Mediterraneo centrale, 320 nel Mediterraneo occidentale e 32 nel Mediterraneo orientale). 955 sono i morti censiti lungo la rotta dell'Atlantico occidentale.
Ma chi ha navigato in quelle acque sa benissimo che i morti sono molti, molti di più. Perché noi sappiamo solo dei naufragi di imbarcazioni dotate di strumenti di comunicazione, di telefoni satellitari. Ma non sappiamo nulla delle migliaia di piccole barchette che tentano la traversata senza avere a bordo nulla per chiedere aiuto.
Trovarle e soccorrerle è come cercare un ago in un pagliaio. E se chi scrive ne ha trovate due nel giro di tre mesi, vuole dire che questi aghi nel pagliaio sono davvero tantissimi.
No, questo non è un modo umano per affrontare un fenomeno che non è destinato a esaurirsi. il numero degli sfollati interni dovuto a disastri, conflitti e violenze è salito nel 2020 a 40,5 milioni (in aumento rispetto ai 31,5 milioni del 2019).
Il numero dei migranti è salito dagli 84 milioni a livello globale del 1970 a 281 milioni nel 2020. E le persone che si spostano lo fanno in gran parte per condizioni create dal voracissimo mondo occidentale, affamato di materie prime indispensabili per fare camminare le nostre automobili e far funzionare le nostre diavolerie elettroniche; di coltivazioni intensive indispensabili a sfamare le nostre mucche e i nostri maiali; di mano d’opera a bassissimo costo - quando non è del tutto gratuita perché schiavizzata - che cuce le nostre magliette e i nostri capetti firmati. E assetato di tutta l’acqua del mondo utile a produrre le nostre bibite gasate.
Non possiamo né stupirci degli spostamenti di massa di esseri umani e nemmeno rimanere indifferenti alle loro sorti. Perché sappiamo che questi spostamenti ci sono e ci sono sempre stati, ma sappiamo anche che oggi siamo in gran parte noi a causarli.
Sappiamo che cresceranno sempre di più fino a che non troveremo il modo di fermare la desertificazione legata ai cambiamenti climatici e finché non ammetteremo che le materie prime hanno un valore molto più alto di quello che paghiamo. E magari – solo per fare un esempio – combatteremo quella obsolescenza programmata che stabilisce una data di morte per i nostri telefoni, per i nostri computer, per le nostre automobili, per i nostri elettrodomestici costringendoci a ricomprarli e, quindi, a continuare il saccheggio del nostro pianeta.
Dovremmo essere capaci se non di indignazione almeno di vergogna. Invece continuiamo a essere indifferenti alle sorti dell’umanità che affoga a poche miglia dalle nostre meravigliose spiagge senza capire che la nostra patria è il mondo intero. E che del mondo intero dobbiamo preoccuparci e occuparci.
E il naufragar in questo mare è amarissimo.
© Riproduzione riservata