- Su proposta del questore di Latina, Michele Spina, e della procura capitolina il tribunale di Roma ha sequestro beni per 50 milioni di euro a Luciano Iannotta.
- Iannotta è stato un imprenditore importante in provincia di Latina, già assessore nel comune di Sonnino, poi titolare di una locale squadra di calcio, il Terracina e, da ultimo, presidente provinciale di Confartigianato.
- «Burattinaio di un teatro dove, muovendo le fila di parenti e conoscenti, metteva in scena nuove trame delittuose così da accumulare un patrimonio stimato dalle autorità in 50 milioni di euro», scrivono Maria Antonietta Ciriaco, Anna Maria Fattori, Luca Della Casa, i giudici del tribunale di Roma.
Su proposta del questore di Latina, Michele Spina, e della procura capitolina il tribunale di Roma ha sequestro beni per 50 milioni di euro a Luciano Iannotta. Iannotta è stato un imprenditore importante in provincia di Latina, già assessore nel comune di Sonnino, poi titolare di una locale squadra di calcio, il Terracina e, da ultimo, presidente provinciale di Confartigianato.
I suoi guai iniziano, nel 2020, quando viene arrestato nell’operazione Dirty glass. Uno e trino, abile nel destreggiarsi tra il mondo del crimine organizzato del clan Di Silvio, famiglia criminale che controlla Latina e provincia e quello dell’imprenditoria e delle istituzioni. Proprio partendo dalle carte dell’indagine giudiziaria, la questura, insieme alla divisione anticrimine della polizia di stato, ha proposto il sequestro dei beni definendo Iannotta pericoloso socialmente.
«Burattinaio di un teatro dove, muovendo le fila di parenti e conoscenti, metteva in scena nuove trame delittuose così da accumulare un patrimonio stimato dalle autorità di 50 milioni di euro», scrivono Maria Antonietta Ciriaco, Anna Maria Fattori, Luca Della Casa, i giudici del tribunale di Roma.
Sotto sigillo sono finite le quote e l’intero patrimonio aziendale di 37 società, di cui 4 ubicate nel Regno Unito e 2 in Moldavia, ma gli investigatori hanno sequestrato anche 119 fabbricati, 58 terreni, 55 veicoli, 1 imbarcazione e 72 rapporti finanziari.
La pericolosità sociale
Nel decreto viene spiegata la pericolosità sociale di Iannotta partendo dagli inizi dei suoi trascorsi giudiziari, datati 1994. Iannotta si salva ripetutamente grazie alla prescrizione del reato, come nel caso dell’indagine a suo carico per usura o, in un’altra occasione, per ricettazione.
Dall’analisi degli atti d’indagine gli inquirenti «evidenziano il progressivo affinamento delle capacità criminali di Iannotta». Ma soprattutto scoprono il modus operandi, la modalità operativa dell’imprenditore che ha gestito diverse società schermando la reale proprietà utilizzando familiari e conoscenti complici, ma non solo. Iannotta ha svuotato le sue società dei beni a disposizione in modo da evitare l’aggressione dei creditori e di salvarle da eventuali pignoramenti.
Iannotta, Altomare e Durigon
Iannotta, nonostante le burrasche giudiziarie, diventa uno degli imprenditori più influenti di Latina. Tra i suoi dipendenti c’è Natan Altomare che, nel 2018, come rivelato da Domani, intrattiene uno scambio di messaggi con l’allora candidato, poi eletto deputato, Claudio Durigon (totalmente estraneo alla misura di sequestro).
Altomare offre anche un rinfresco in una serata a sostegno del candidato leghista al locale che gestiva lo Chalet Cafè. Durigon non è mai stato indagato, ha sempre rivendicato la correttezza del suo operato e ha definito Altomare «uno che condivideva la passione politica e con il quale si era ritrovato in campagna elettorale».
Altomare era anche altro. Aveva avuto contatti con membri del clan in un’indagine dalla quale era uscito totalmente prosciolto, ma poi nel 2020 viene arrestato insieme al suo titolare Luciano Iannotta. Oggi Iannotta è a processo per corruzione, concussione, turbativa d’asta, fittizia intestazione di beni e sequestro di persona.
Nell’inchiesta Dirty glass c’è la fotografia di un sistema imprenditoriale che acquisiva società in difficoltà, corrompeva persone nella pubblica amministrazione e sfruttava relazioni con le forze dell’ordine per ottenere informazioni riservate. Un sistema che non si faceva scrupolo, quando necessario, di affidarsi anche a uomini legati al crimine organizzato, i Di Silvio per l’appunto.
I rapporti pericolosi
Iannotta risponde anche di estorsione aggravata dal metodo mafioso. I Di Silvio a Latina hanno costruito un vero e proprio feudo, imponendo il pizzo alle attività commerciali e controllando il traffico di stupefacenti, ma non hanno mai rinunciato a costruire rapporti con imprenditori e politici.
Iannotta è imprenditore che pattina tra i mondi e non disdegna quello del crimine organizzato non solo con i Di Silvio, ma anche con personaggi legati alla criminalità organizzata campana. A tracciare un profilo di Luciano Iannotta è un collaboratore di giustizia, Agostino Riccardo, braccio destro del boss Armando Di Silvio, detto Lallà.
Racconta di essersi recato presso un’azienda per chiedere i soldi e di aver scoperto dal titolare che in realtà quella società era di Luciano Iannotta. Alla fine i Di Silvio e Iannotta si accordano.
«Iannotta ci disse che tutti i suoi soldi li portava a Londra, ci fece capire che c’erano in ballo milioni di euro, sapevamo che eravamo i Di Silvio (...) Ci disse che aveva contattato Luigi Ciarelli per sapere chi eravamo noi», dice Riccardo nel 2018. I Ciarelli sono un’altra grande famiglia criminale di Latina, il capostipite, morto lunedì scorso (il funerale è previsto questa mattina), si chiamava Antonio Ciarelli, precedenti per usura ed estorsioni, in grado di costruire una sagadi potere e malavita in provincia di Latina, lasciato in eredità al figlio Carmine e a Luigi. Sul manifesto funebre appare con una camicia blu sbottonata e una collana d’oro mentre manda un bacio. Anche questa è Latina tra clan e imprenditori amici del crimine.
© Riproduzione riservata