Da anni il precoce Montella sembra Topolino, nella versione apprendista stregone in Fantasia di Walt Disney, quando sembra che tutto stia andando per il meglio, deraglia. Quando pare che la magia stia funzionando, che l’armonia regni e che tutti gli elementi desiderati si siano uniti in una unica formula, zac, l’incantesimo si rompe. Almeno questo era stato il vecchio Montella, il Vincenzo alchimista arrivato in panchina giovanissimo – a 35 anni alle giovanili della Roma e un anno e mezzo dopo sulla panchina della squadra di Totti – ma poi quando doveva fare l’ultimo passo chiamavano Luis Enrique a Roma, Paulo Sousa a Firenze, Gennaro Gattuso al Milan e Joaquín Caparrós a Siviglia.

Come gioca la Turchia

Poi è andato in Turchia all’Adana Demirspor realizzando il teorema di Madre Teresa di Calcutta: «C’è sempre un posto dove puoi essere straordinario, devi solo lasciare che quel posto ti trovi». Il suo è il paese di Atatürk e Hakan Şükür, dove Vincenzo Montella da Castello di Cisterna è diventato grande e soprattutto da apprendista si è fatto stregone. Prima ottiene il quarto posto, portando l’Adana Demirspor alla qualificazione alla Conference League e poi salta sulla diligenza della nazionale turca, sostituendo l’esonerato Stefan Kuntz. Vince subito con Croazia e Lettonia e oplà, arriva all’Europeo.

Porta nella Turchia il principio base del suo calcio, la centralità dell’uomo assist: Totti a Roma, Lodi a Catania, Borja Valero a Firenze, Cassano alla Sampdoria e Hakan Çalhanoğlu nella Turchia: il calciatore col Gps, trova chiunque in campo e con il pallone giusto. Intorno ha aggiunto ricerca di ampiezza tenendo il pallone, uscita con i terzini che salgono, i centrali che si allargano e il metodista che si abbassa. Ma poi l’altra sera oltre il palleggio e i ragazzini (under 20, citofonare Spalletti & Gravina) Arda Güler e Kenan Yildiz, il passaggio ai quarti l’ha ottenuto senza Çalhanoğlu – andando in deroga a sé stesso – e con i gol del difensore Merih Demiral e con una parata, da raccontare ai nipoti sul Bosforo, di Mert Günok a tempo scaduto e apparentemente battuto su Baumgartner che si chiama come l’ultimo libro di Paul Auster e come il protagonista del romanzo deve vivere in assenza della moglie: lui vivrà in assenza di quel gol. Tanto che il ct austriaco Ralf Rangnick – un maestro di pallone – ha scritto il miglior editoriale sulla partita dicendo: «È difficile segnare, se in porta c’è Gordon Banks».

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La parata di Günok

È un complimentone per Günok, ma anche un abbassamento della valutazione dell’apprendista divenuto stregone Montella. Per i più giovani Gordon Banks era il portiere dell’Inghilterra che impedì di segnare a Pelé un gol che sembrava fatto al mondiale in Messico nel ’70. Ma Montella se ne infischia mentre corre sotto la pioggia di Lipsia ad abbracciare i suoi calciatori e guarda sugli spalti mezza popolazione turca di Germania che canta felice, e correndo pensa che sarà anche merito del portiere, ma prima è merito della difesa a tre: Ayhan, Demiral, Bardakci con Müldür e Kadıoğlu sulle fasce – a guardia s’intende – e Yüksek a fare da diga sulla trequarti, se ora lui e i suoi turchi restano ancora in Germania e non da emigranti né da turisti, ma da protagonisti.

Anche perché l’Austria di Rangnick qualche mese fa aveva rifilato all’apprendista ora divenuto stregone Montella un pesantissimo sei a uno, seppure in amichevole. E di Montella si può dire che non tornava a marcare quando era uno dei più bravi attaccanti degli ultimi trent’anni italiani – chissà se Spalletti riguardando i suoi gol piange come Aldo Fabrizi mentre riguardava i cataloghi dei tipi di pasta che non venivano più prodotti – a detta di Fabio Capello che per questo lo teneva in panchina, ma non si può dire che non capitalizzi i suoi errori. E quel sei a uno è diventato un pesantissimo due a uno, oltre il passaggio da apprendista a stregone (calcistico).

La rinuncia all’estetica

Perché si diventa grandi quando si rinuncia a quello che si ama. Montella ha fatto con la sua Turchia quel passaggio che gli era mancato nei club: ha trovato la rinuncia agli estetismi in funzione di due gol su calcio d’angolo partiti dal piede leggero di Güler, una grande parata del suo portierone che sembrava il Brad Pitt stuntman di C’era una volta a… Hollywood e dei contropiedi mancati dal dribblomaniaco ossigenato Barış Alper Yılmaz, a sua volta tarantiniano.

Lo stregone Montella ex apprendista è riuscito ad armonizzare i due blocchi Galatasaray-Fenerbahçe trovando una elasticità di modulo e caratteri, di forza ed elasticità, un compromesso calcistico che non era riuscito al suo predecessore Kuntz. Ha atteso, bloccando le intense accelerazioni dell’Austria. Ha tenuto, lottato, poco palleggiato rispetto ai suoi principi calcistici, e ora ha l’Olanda e se passa alla semifinale una tra Inghilterra e Svizzera. Non un cammino difficile se si guardano le partite delle avversarie, ma Montella deve trovare una soluzione davanti, deve tirare di più in porta e continuare a tessera la tela dell’unione tra i turchi andati via e i turchi rimasti, cucendo tra culture differenti con una lingua comune, con Çalhanoğlu nel mezzo a smistare messaggi e palloni.

Ma ora ha trovato anche l’alleata migliore: la vittoria. Unita al talento di molti calciatori turchi e al coraggio di cambiare pelle, conservando una vocazione al sacrificio che ricorda quella del Marocco al mondiale in Qatar. E alla fine dell’Europeo possiamo già immaginare Montella come un personaggio di Orhan Pamuk che dice ad Istanbul: «Gli allenatori parlano, ma solo a chi sa ascoltarli».

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