- Joseph Ratzinger è stato un testimone originale della tradizione cristiana. Umanista e intellettuale, ne ha studiato i testi per metterli a confronto con la cultura contemporanea.
- Ma è stato anche un uomo della chiesa che con ferma pacatezza ha sempre saputo anche criticare un’istituzione che ha allontanato molti da Cristo.
- Di fronte a pregiudizi e caricature che lo hanno rappresentato come un freddo inquisitore, si è caricato di colpe non sue, rivelando limiti di governo ma anche un’inflessibile determinazione di fronte al crimine degli abusi.
Joseph Ratzinger è stato un testimone originale della tradizione cristiana. Umanista e intellettuale, ne ha studiato i testi per metterli a confronto con la cultura contemporanea.
Ma il tranquillo teologo bavarese rimane anche “uomo della chiesa”, vir ecclesiasticus come Origene, uno degli autori che ha assimilato con passione insieme all’amato Agostino.
Ma un uomo della chiesa che con ferma pacatezza ha sempre saputo anche criticare un’istituzione che ha allontanato molti da Cristo.
E proprio Gesù di Nazaret è al centro della sua opera ultima. Una trilogia coraggiosa che ha voluto firmare con doppio nome, il suo e quello papale, per esprimere il carattere personale e non ufficiale di questi tre libri, frutto di una lunghissima ricerca personale, non solo scientifica ma spirituale.
L’enfant prodige
Costretto ad arruolarsi diciassettenne nella Wehrmacht mentre la Germania sprofondava verso l’anno zero e catturato dagli statunitensi, reagì all’avvilimento della prigionia componendo versi in greco, con una matita su un quaderno che era riuscito a procurarsi.
Come a matita per decenni ha continuato a scrivere tantissimi testi, che sono il suo lascito principale. Di livello alto ma contrassegnati come il suo parlare da limpida chiarezza, in contrasto con una grafia minuta e costellata di abbreviazioni che solo la sorella Maria prima e poi la fedelissima segretaria Birgit Wansing sapevano decifrare e trascrivere.
Giovane prete, rischiò il dottorato in teologia per una tesi in odore di modernismo, ma si affermò presto come brillante enfant prodige e partecipò al concilio come consigliere dell’arcivescovo di Colonia, il cardinale Frings, un riformatore.
Concilio che non ha mai rinnegato, pur preoccupato dalle fughe in avanti del dopo-concilio, contrapposto sui media al collega svizzero Hans Küng.
Di origini modeste, è stato un aristocratico dello spirito, che dibatteva con intellettuali di prima grandezza e s’inteneriva incontrando bambini o anziani, capace di adattare a tutti il suo linguaggio e di sorprendere con ironie, a volte taglienti.
La statura intellettuale e il coraggio di opporsi allo Zeitgeist, postconciliare in senso deteriore, gli valsero da parte di Paolo VI la nomina ad arcivescovo di Monaco e Frisinga, con la porpora cardinalizia, a cinquant’anni, poi da parte di Giovanni Paolo II la chiamata a Roma come prefetto dell’antico Sant’Uffizio, e infine l’elezione in conclave.
La fede languente
Papa per otto anni, Benedetto XVI ha tentato di ravvivare la fede languente in molte regioni, indicandone la freschezza nei deserti di questo mondo.
Di fronte a pregiudizi e caricature che lo hanno rappresentato come un freddo inquisitore, e poco sostenuto da collaboratori non all’altezza, si è caricato di colpe non sue, rivelando limiti di governo ma anche un’inflessibile determinazione di fronte al crimine degli abusi.
E con il distacco dal potere, dimostrato dalla lucida rinuncia, ha confermato che lascia come eredità solo il bene seminato con mitezza nel corso di tutta la vita.
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