«Sei vittime al giorno in mare, frutto di precise scelte governative ed europee». Parla Marco Bertotto di Medici senza frontiere: «Vergognoso il silenzio sul naufragio a largo di Roccella»
«Impegno collettivo e cooperazione rafforzata sul tema della migrazione». Le dichiarazioni finali dei leader del G7 a Borgo Egnazia stridono con le immagini della barca a vela che lunedì 17 giugno è affondata nel mare al largo di Roccella Ionica. Ma anche con quelle delle bare sistemate più di un anno fa sul pavimento chiaro del Palazzetto dello sport di Crotone dopo il naufragio di Cutro. E ancora con la conta dei morti e dei sopravvissuti di tutto il Mediterraneo.
I dispersi dell’imbarcazione partita dalla Turchia verso l’Italia e naufragata a 120 miglia dalla Calabria – ma pure i 6 corpi senza vita trovati non distanti dalle coste libiche, in Tunisia e a Lampedusa – rappresentano l’ultima prova in ordine di tempo del fatto che i soccorsi in mare non sono una priorità.
Di questo è convinto Marco Bertotto, direttore dei programmi di Medici senza frontiere che, in riferimento ai salvataggi di migranti in mare, parla di «vere e proprie politiche di boicottaggio». I numeri d’altronde sono chiari. «Si registrano 6 vittime al giorno nel Mediterraneo e queste morti», dice a Domani Bertotto, «sono il risultato di scelte e decisioni governative, non solo italiane, che hanno dimenticato i diritti delle persone, che si basano esclusivamente su logiche securitarie e di deterrenza».
«Soccorsi ostacolati»
Morire venendo inghiottiti dalle acque, da soli, mentre si invoca invano aiuto, sembra dunque un fatto ordinario. Un fatto che oggi è diventato più ordinario che mai. «Con il decreto Piantedosi i soccorsi in mare sono estremamente ostacolati», continua Bertotto di Msf, che aggiunge: «L’attività delle ong è criminalizzata, e certe norme la rendono sempre più marginale: imporre alle navi un singolo soccorso, assegnandogli un porto assai distante dalle zone Sar (zone per la ricerca e il soccorso in mare, ndc), vuol significare non solo impedire un secondo soccorso, ma anche e soprattutto ridurre la nostra operatività. Per non parlare», chiosa, «delle sanzioni che vengono previste in caso di violazione di quanto stabilito».
Salvare una, molte vite ed essere puniti, in base a un decreto che impone di non soccorrere “troppo” e su cui, tra l’altro, dubbi di legittimità costituzionale sono stati recentemente avanzati. Lo scorso aprile inoltre i tribunali di Crotone e Brindisi hanno confermato la sospensione del provvedimento di fermo amministrativo per le navi Humanity 1 e Ocean Viking, bloccate in porto, dopo il salvataggio di migranti, perché accusate di aver violato il decreto del ministro Piantedosi.
«Le lacrime di coccodrillo che sono state versate dopo la tragedia di Cutro», continua Bertotto, «sono state superate dal silenzio di questi giorni, in cui si cercano i 66 dispersi partiti da Smirne verso l’Italia e naufragati a largo della Calabria. È un silenzio», prosegue Bertotto, «vergognoso, un silenzio che dimostra che non c’è alcuna empatia verso i migranti e il tema delle migrazioni, ma soltanto una totale inerzia da parte delle istituzioni».
Le scelte securitarie
E non solo il decreto Piantedosi, datato 2 gennaio 2023 e poi divenuto legge. Tanti i «mattoni» che secondo il referente di Medici senza frontiere hanno portato le istituzioni a «costruire quest’emergenza umanitaria». Ad oggi è di fatti «scomparso», continua Bertotto, «il meccanismo del coordinamento dei soccorsi in mare per come lo conoscevamo nel 2011. Allora le ong venivano considerate degli assetti a disposizione delle autorità marittime per procedere ai salvataggi, ma via via», spiega Bertotto, «tutto questo è venuto meno e attualmente non c’è più quel tipo di cooperazione: le ong, coi loro mezzi e in modo autonomo, identificano le imbarcazioni e i pericoli».
In più per capire il progressivo fenomeno di “abbandono” dei migranti in mare e marginalizzazione delle procedure di soccorso, c’è bisogno di tornare indietro nel tempo. Il 2017 è l’anno in cui il governo Gentiloni, con ministro dell’Interno Marco Minniti, sigla l’accordo bilaterale con la Libia.
«L’Italia ha aiutato la guardia costiera libica nell’attività di intercettazione dei migranti, poi portati nei centri di detenzione, e questo ha anche portato a una riduzione delle attività di soccorso da parte della guardia costiera italiana che, comunque, fa tuttora un lavoro straordinario e lo fa nonostante il quadro politico in cui si trova a operare sia vergognoso», spiega ancora Bertotto dell’organizzazione umanitaria che, col suo team di pronto soccorso psicologico, sta al momento sostenendo i sopravvissuti del naufragio al largo delle coste calabresi, nonché i familiari dei dispersi.
Il 2018 è poi l’anno degli slogan del leader del Carroccio Matteo Salvini con la politica propagandista del “Chiudiamo i porti” e dei toni aspri contro l’accoglienza e l’inclusione; dopodiché arriva l’ora della «ministra Luciana Lamorgese e delle norme tecniche che hanno portato molte navi a essere multate perché considerate non in regola». Anno dopo anno, insomma, una “caduta libera” in quanto a salvaguardia dei diritti e delle prerogative individuali, in quanto a rispetto dei principi costituzionali e non solo.
Soltanto una brevissima parentesi, tra le politiche riguardanti il soccorso dei migranti in mare, potrebbe essere ricordata. Dopo la strage di migranti del 3 ottobre 2013 a Lampedusa, dove si accertò la morte di 368 persone, l’Italia dà vita all’operazione “Mare nostrum”, incentrata, tra le altre cose, su un mandato europeo di ricerca e soccorso. «Quella è stata l’ultima iniziativa italiana in materia di soccorso in mare, anzi l’unico meccanismo istituzionale con specifico mandato di soccorso in mare, ed è durata solo un anno, nell’ottobre del 2014 venne chiusa per mere ragioni economiche».
Come a dire che possono esserci interessi superiori rispetto a quelli che tutelano la vita di donne e uomini. O di quei 26 bambini tra i dispersi nelle acque a Roccella Ionica, ancora inconsapevoli, una volta saliti sul veliero, che proteggere persone anziché confini non rappresenti, a volte, neanche un’alternativa.
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