Il ministro dell’Interno accumula una sconfitta dietro l’altra. È stata confermata la sospensione del fermo amministrativo di due navi ong, accusate di aver violato il suo decreto sull’immigrazione. La Libia non è un porto sicuro e quelle della guardia costiera libica non possono essere considerate operazioni di salvataggio, affermano i giudici. Eppure, l’Italia continua a rinnovare il memorandum e a fornire motovedette a chi non rispetta le convenzioni internazionali
Le pronunce dei tribunali continuano a confermare le forzature dell'autorità nell'applicazione del decreto Piantedosi, o decreto ong (dln 1/2023). Nel giro di 24 ore, due giudici, a Crotone e a Brindisi, hanno confermato la sospensione del provvedimento di fermo amministrativo per le navi Humanity 1 e Ocean Viking, disposta qualche settimana fa.
Le due navi erano state bloccate in porto, dopo i salvataggi di migranti, perché non avevano rispettato l'ordine di allontanamento formulato dalla cosiddetta guardia costiera libica. Le navi erano accusate di aver violato il decreto Piantedosi, che prevede l'obbligo di uniformarsi alle indicazioni fornite dal centro competente per il soccorso marittimo.
La pronuncia di Crotone
Particolarmente interessante è la pronuncia di Crotone. Le norme delle convenzioni internazionali – osserva il giudice – qualificano come operazioni di salvataggio solo quelle che sono svolte «nel rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali» e che si concludono in un luogo sicuro. Luogo sicuro è quello ove non solo è data protezione fisica alle persone soccorse, ma sono anche rispettati i loro diritti fondamentali. In base a questi criteri – afferma il giudice – l'attività svolta dalla guardia costiera libica, per le modalità in cui si esplica, «non è qualificabile come attività di soccorso».
Innanzitutto, è «circostanza incontestata e documentalmente provata che il personale libico fosse armato e che, in occasione di tali attività, avesse altresì esploso colpi di arma da fuoco». Non proprio ciò che ci si aspetta accada in un'operazione di salvataggio. Anche l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti dell'uomo «in più occasioni ha evidenziato il mancato rispetto, durante le operazioni di recupero espletate dalla guardia costiera libica, dei diritti fondamentali della persona».
In secondo luogo, la Libia, dove la guardia costiera avrebbe portato i migranti dopo averli caricati a bordo della propria imbarcazione, non può essere considerata un posto sicuro.
La Libia luogo non sicuro
«Il contesto libico», afferma il giudice, è «caratterizzato da violazioni gravi e sistematiche dei diritti umani e non essendo stata mai ratificata la Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati da parte della Libia». Questo passaggio è molto importante.
Quando, nel febbraio scorso, la Corte di Cassazione (sent. n. 4557/2024) stabilì che la Libia non è un posto sicuro e che riportarvi i migranti costituisce «abbandono di persone minori o incapaci» (art. 591 codice penale) e «sbarco e abbandono arbitrario di persone» (art. 1155 codice navigazione), qualcuno affermò che oggi la Libia sarebbe diversa da quella che era all'epoca dei fatti considerati dalla Corte, nel 2018. La pronuncia di Crotone conferma l'opposto.
Eppure, l'Italia continua a rinnovare ogni tre anni il memorandum firmato con la Libia, fornendo motovedette a una guardia costiera la quale non rispetta le convenzioni internazionali che sanciscono il dovere di soccorso in mare.
Le sconfitte di Piantedosi
In conclusione, siccome le operazioni «effettuate dalla guardia costiera libica, con personale armato e senza individuazione di un luogo sicuro» non sono qualificabili come “salvataggio”, la ong era l'unico soggetto legittimato «ad intervenire per adempiere (…) al dovere di soccorso in mare dei migranti», e non avrebbe potuto astenersi, come invece pretendeva la guardia costiera libica.
Né la sua astensione poteva essere fondata sulla norma del decreto Piantedosi che impone alle navi di soccorso di obbedire al centro marittimo competente (libico in questo caso), come forse invece pretendeva il ministero dell'Interno, che si è costituito parte civile nel processo: il dovere di soccorso in mare prevale in ogni caso.
Dunque, per Piantedosi la pronuncia di Crotone è una sconfitta, come quella di Brindisi, conclusasi con lo stesso esito. Anzi, quest'ultima potrebbe rappresentare una sconfitta ulteriore se il tribunale, nel giudizio di merito, decidesse di sollevare la questione di legittimità costituzionale su alcune norme del decreto ong, come parrebbe intenzionato a fare.
E una terza sconfitta è stata la sentenza Iuventa, che qualche giorno fa ha prosciolto i componenti di organizzazioni umanitarie accusati di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina perché avrebbero usato le navi come “taxi” dei migranti.
Piantedosi, in un'intervista al Messaggero, ha affermato che «la vicenda e i relativi slogan appartengono a un periodo che non ha interessato l'azione di questo Governo». Ma la narrazione che la sentenza ha smontato è proprio quella che l'attuale maggioranza porta avanti da sempre. Peccato che Piantedosi finga di ignorarlo.
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