Starlink sta facendo il pieno di appalti nel nostro Paese e ha siglato accordi, come rivelato da Domani, con varie società pubbliche. Intanto però da Pechino provano a insidiare il suo enorme potere. E tra i competitor spunta anche un ex paracadutista piemontese
Elon Musk è senza dubbio il dominatore incontrastato, ma nel fiorente mercato dei satelliti ci sono altri attori che sperano di ritagliarsi presto almeno un ruolo da coprotagonisti. Di certo, per quanto riguarda l’Italia, il miliardario ormai fedelissimo di Donald Trump, può contare, come raccontato da Domani, su una sua clientela anche pubblica, con affidamenti e appalti ottenuti dalla pubblica amministrazione: dalla Protezione civile fino alla Marina militare. L’Italia, tuttavia, è solo un frammento nella strategia di business di Musk, che deve guardarsi da nuovi competitor.
Nella lista degli sfidanti più ambiziosi c’è soprattutto la Cina, seguita da alcuni imprenditori occidentali tra cui l’italiano David Avino. Le speranze delle cancellerie europee, però, sono concentrate soprattutto su Iris2, sigla che dovrebbe rappresentare la risposta dell’Ue alla costellazione Starlink di Musk. Sono questi gli ingredienti principali della guerra globale dei satelliti, attraente sia per gli appassionati di geopolitica che per coloro che puntano più semplicemente a fare soldi. Tanti soldi. Perché il settore spaziale è tra quelli con le migliori prospettive di crescita. Secondo un rapporto firmato dal World Economic Forum e da McKinsey, la space economy a livello mondiale varrà 1,8 trilioni di dollari entro il 2035: il triplo rispetto al 2023.
Il boom dell’economia spaziale dipende soprattutto da una ragione tecnica. Uno dei concetti fondamentali nel mercato dei satelliti è quello di latenza: indica il tempo che il segnale impiega per andare dal veicolo spaziale al punto esatto che deve raggiungere sulla terra. I satelliti più utilizzati nei decenni scorsi si chiamano geostazionari. Sono grandi, ruotano con la stessa velocità della Terra e a circa 36mila km da essa. I Leo (low earth orbit, cioè orbita terrestre bassa) viaggiano invece a 25mila km all’ora e sono tutt’altra cosa. Orbitano a circa 500-600 km dalla terra, dunque molto più vicino rispetto ai gestazionari. Stanno in gruppo, le cosiddette costellazioni, e il segnale rimbalza da satellite a satellite prima di tornare a terra. Rispetto ai geostazionari, i Leo garantiscono dunque una velocità di trasmissione maggiore e costi decisamente inferiori. Musk è stato il primo a puntarci con decisione (primo lancio nel 2019) ed è stata la sua fortuna.
Da Uber alla Cina
Dall’agricoltura al clima, dai trasporti alla sicurezza, i satelliti infatti sono ormai considerati cruciali per rendere efficienti ed economici i processi. Un esempio su tutti: Uber si affida alla combinazione tra segnali satellitari Leo e chip degli smartphone per connettere nel mondo autisti e passeggeri che usufruiscono del servizio. Insomma, tutti ormai hanno bisogno dei satelliti a bassa quota. E chi li possiede – Starlink ne conta attualmente circa 7mila operativi, pari a due terzi del totale – gode di una posizione di forza straordinaria.
Spaventata dallo strapotere di Musk, la Cina si sta dando da fare. Il primo lancio è avvenuto lo scorso agosto. Shanghai Spacecom Satellite Technology, società a controllo pubblico, ha detto di voler raggiungere quota 600 satelliti entro la fine del 2025. Ma questo non è l’unico progetto. Diverse altre società cinesi si stanno muovendo. Il progetto Guowang, sviluppato dall’azienda statale China Satellite Network Group, ha ad esempio annunciato di voler creare una costellazione di 13mila satelliti Leo. In generale Pechino punta a mandare nello spazio circa 40.000 satelliti di questo genere entro il prossimo decennio. È più o meno lo stesso obiettivo numerico annunciato negli anni scorsi da SpaceX, la società di Musk che controlla Starlink. Considerando che attualmente i satelliti in orbita bassa sono in tutto circa 10mila, si capisce che cosa sta succedendo nel settore.
Non a caso sono parecchie le imprese private che si sono lanciate nell’avventura spaziale. Tra i piani più ambiziosi c’è quello della Amazon di Jeff Bezos, che con il suo progetto Kuiper vuole mandare nello spazio 3.232 satelliti Leo a partire dall’anno prossimo. Punta invece a raggiungere quota 1.600 satelliti la canadese Telesat, con il progetto Lighspeed, che dovrebbe lanciare i primi veicoli spaziali a metà del 2026.
La sfida italiana
Tra gli imprenditori del settore si è ritagliato un ruolo anche un italiano. Si chiama Davide Avino, è un ex paracadutista, informatico ed esperto del settore aerospaziale. Con la sua Argotec, quartier generale fuori Torino e sedi operative negli Usa, realizza micro satelliti Leo: è in grado di sfornarne uno a settimana e lo scorso maggio ha annunciato di aver ottenuto dalla Nasa un contratto di fornitura da 6 miliardi di dollari.
In attesa di vedere chi, tra questi concorrenti, riuscirà a scardinare il monopolio di Musk, al momento sulla carta il concorrente maggiore di SpaceX è la compagnia europea Eutelsat OneWeb. La società ha un azionariato variegato: tra i soci principali ci sono la multinazionale indiana Bharti Global, il governo francese e quello britannico. La distanza da Musk, però, è siderale: Eutelsat OneWeb controlla infatti 630 satelliti Leo, circa un decimo di quelli di Starlink, in più non ha lanciatori e deve dunque affidarsi a terzi, cioè spesso allo stesso Musk. Nasce anche da questi limiti l’idea di creare una vera alternativa europea al tycoon sudafricano. Lunedì 16 dicembre l’Ue ha annunciato un programma spaziale da 10 miliardi di euro (di cui 6,5 miliardi provenienti da fondi pubblici). Si chiamerà Iris2 e, secondo il comunicato stampa diramato da Bruxelles, rappresenta «un passo significativo verso la sovranità e la connettività sicura dell’Europa».
La Commissione ha firmato un contratto di concessione con il consorzio SpaceRISE: comprende tre operatori europei di reti satellitari (Ses, Hispasat, Eutelsat) ed è partecipato da quasi tutti i principali attori europei del settore spaziale (Airbus Defence and Space, Deutsche Telekom, Thales Alenia Space e l’italiana Telespazio). L’obiettivo è creare una costellazione di 290 satelliti. Pochissimi, rispetto a quelli di Musk, ma sufficienti in teoria a garantire le connessioni internet per il territorio dell’Ue. Mentre la costellazione Starlink ha obiettivi globali, Iris2 punta infatti alla sola Europa. Se il progetto funzionerà, le prime comunicazioni inizieranno nel 2030. Un orizzonte temporale che, comunque vadano le cose, permette a Musk di stare sereno per almeno altri 6 anni.
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