- La mappa di Napoli è divisa in due, da una parte c’è il centro storico, dall’altra il resto della città. Non è una cartina turistica, ma criminale che spazza via ogni narrazione semplicistica sulla malavita che comanda in città.
- La camorra che conta a Napoli ha due nomi e una storia antica: il clan Mazzarella e l’alleanza di Secondigliano, attorno girano gruppi satelliti che sono collegati al primo o al secondo clan.
- I Mazzarella comandano al centro storico, in strada ci sono i vertici come Michele Mazzarella e il sodale Salvatore Barile. «In questo momento in strada ci sono liberi i miei nemici, ma anche i miei ex amici. Sono un morto che cammina», dice l’ex killer Gennaro Panzuto.
La mappa di Napoli è divisa in due, da una parte c’è il centro storico, dall’altra il resto della città. Non è una cartina turistica ma criminale, che spazza via ogni narrazione semplicistica sulla malavita che comanda in città. Da tempo le analisi riferiscono di un potere malavitoso parcellizzato, di un pulviscolo criminale che domina i quartieri, sparge violenza con ferimenti, intimidazioni e spari alla cieca contro ogni cosa. La camorra sembrerebbe un potere sfilacciato, diviso in bande, senza vertici, ma non è così.
I figli di Gomorra
«Sono i figli di Gomorra, con una dose di violenza elevata e un’incapacità di costrutto criminale, sono gruppi che nascono già alla deriva, seminano il panico e poi scompaiono risucchiati dalle retate delle forze dell’ordine o inglobati dalla camorra che conta», racconta un ex affiliato.
La camorra che conta a Napoli ha due nomi e una storia antica: il clan Mazzarella e l’alleanza di Secondigliano, attorno girano gruppi satelliti che sono collegati al primo o al secondo clan. Mazzarella e alleanza hanno firmato un patto non scritto di non belligeranza. Nel sottobosco ci sono le baby gang che non hanno mai esercitato un ruolo di alcun genere nel controllo della città, ma hanno attirato media e sceneggiatori.
«A Napoli ci sono set ovunque, alcuni luoghi sono diventati meta di pellegrinaggio criminale, un turismo di basso livello che percorre i santuari della malavita, ma la camorra è altrove e ha altri nomi», dice l’ex bandito. E anche i fatti di sangue che macchiano la città si distinguono tra quelli di posizionamento di bande che ambiscono a un ruolo nello scacchiere criminale e quelli che segnano il potere.
Come l’ultimo omicidio, avvenuto in pieno centro, in zona mercato. Venti colpi di pistola sparati in un circolo sportivo hanno ucciso Salvatore Astuto. «Quella è un’esecuzione fatta da professionisti, non da giovani cocainomani che quando sparano si girano e non colpiscono gli obiettivi. I Mazzarella non vogliono diserzioni, non gradiscono tradimenti», continua l’ex affiliato.
I Mazzarella comandano nel centro storico, in strada ci sono i vertici come Michele Mazzarella e il sodale Salvatore Barile. «Mazzarella è uno che ordina perché ha il cognome, ma quello scaltro è Salvatore, è furbo. Non hanno ancóra abbandonato l’idea di allargarsi», ci racconta la nostra fonte. I Mazzarella comandano nei quartieri storici della città, dalla Sanità alla zona mercato, da Forcella a Santa Lucia. Sono protagonisti di un odio antico con il clan Rinaldi, si contendono affari e spaccio a San Giovanni a Teduccio, zona est di Napoli.
I Licciardi
Ma in città ci sono loro, i Mazzarella, e l’alleanza di Secondigliano che comanda nel resto della città. Una divisione che ha radici antiche. «Una volta Gennaro Licciardi, detto ’a scigna, mi disse “se mi dai l’area commerciale di Nola io ti do tutta Napoli”», ha raccontato il boss pentito Carmine Alfieri ai pubblici ministeri. Alfieri comandava in provincia ed erroneamente negli ambienti criminali pensavano gestisse l’intera area commerciale nolana. La frase racconta che già negli anni Novanta i Licciardi, famiglia criminale che compone l’alleanza di Secondigliano, erano in grado di controllare “tutta la città”.
E lui Gennaro Licciardi, morto per una malattia nel 1994, viene indicato come il grande capo carismatico che ha trasformato Secondigliano, a nord di Napoli, in un enorme supermercato della droga. Il suo autista era Paolo Di Lauro, detto ciruzzo ’o milionario, reso celebre dalla serie tv Gomorra.
La pace armata
«In questo momento a Napoli non c’è alcuna guerra di camorra in atto. Sono scosse di assestamento, ma non ci sono terremoti in corso», racconta un investigatore. In fondo basta leggere un’intercettazione che racconta come la città viva una fase di pace criminale dove sparare ormai è l’ultima opzione possibile.
Lo scorso 15 marzo, la camorrista Maria Licciardi è libera e conversa con un familiare. Commentano le parole del procuratore capo di Napoli Giovanni Melillo che aveva spiegato che «il numero degli omicidi di camorra risulta chiaramente indicativo del raggiungimento di un sostanziale equilibrio mafioso, i cartelli camorristici sempre più potenti hanno bisogno della pace per fare affari».
Una frase che Maria Licciardi, detta ’a piccerella, commenta con un «bravo». La pace garantisce gli affari e l’alleanza di Secondigliano non ha intenzione di aprire un conflitto armato.
La santa alleanza
L’alleanza di Secondigliano ha tre teste: i Mallardo, i Contini e i Licciardi. Il loro controllo arriva al cuore di Napoli. Molti clan vivono sotto il controllo dell’alleanza, altri, invece, hanno relazioni di reciproco rispetto. Una struttura criminale “femmina”, nata dal matrimonio di tre sorelle. Anna, Maria e Rita sono sposate con tre boss di rango: Francesco Mallardo, detto “Ciccio ’e Carlantonio”; Edoardo Contini, detto “’o Romano”; Patrizio Bosti, braccio destro di Contini. I clan compongono l’alleanza di Secondigliano e sono alleati con i Licciardi.
E oggi, secondo le forze dell’ordine, tra le figure di spicco c’è proprio Maria ’a piccerella, finita in carcere mentre tentava di raggiungere la figlia a Malaga, in Spagna. I pentiti la indicano come informata di decine di omicidi, ma non ha mai avuto alcuna condanna.
Per lei solo un processo finito con l’assoluzione per l’omicidio di una rivale, Assuntina Sarno. Nel descrivere il potere criminale di Licciardi gli inquirenti richiamano i tre livelli attraverso cui viene gestito: quello territoriale, quello relativo agli investimenti (in alberghi, negozi, attività commerciali) e, da ultimo, quello relativo al controllo di ospedali.
In ospedale
Nel 2019 un’operazione delle forze dell’ordine ha portato in carcere decine di affiliati al clan, una delle basi logistiche è stata individuata nell’ospedale San Giovanni Bosco di Napoli, vicenda per la quale una commissione prefettizia aveva anche chiesto lo scioglimento per mafia dell’azienda sanitaria locale di riferimento, proposta respinta dalla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese.
In quell’operazione di polizia una donna è sfuggita all’arresto, si tratta proprio di Maria Licciardi, che era già stata latitante anni prima. Dopotutto il clan gode di coperture e soffiate. Quello che Domani può ricostruire, attraverso fonti interne all’ospedale, è che alcuni soggetti, legati all’alleanza di Secondigliano, sono ancora a lavoro all’interno delle ditte di pulizia, uno dei sistemi di infiltrazione del potere criminale.
Non solo. Dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e dalle intercettazioni in mano agli inquirenti risultano diversi medici a disposizione del clan. Medici che si sarebbero rivolti alla camorra per chiedere piaceri o per sistemare alcune questioni personali. Il patto non scritto è che il clan aiuti dottori bisognosi di servizi criminali e in cambio ottenga corsie preferenziali, finti ricoveri, cartelle cliniche false. «Maria Licciardi è una capa vera, senza scrupoli, comanda il cartello criminale più potente che c’è in Campania, quando dava gli ordini i suoi modi gentili nascondevano la sua spietatezza», dice Gennaro Panzuto.
Un morto che cammina
Gennaro Panzuto è Genny, che tutti chiamano ‘o terremoto perché quando faceva le rapine le auto ballavano. È stato killer di camorra, affiliato al clan Piccirillo federato ai Licciardi e all’alleanza di Secondigliano. Era legato a Giovanni Cesarano, uno dei generali dell’alleanza, ora in carcere, ma che potrebbe uscire a breve.
I Piccirillo sono egemoni nella zona della torretta, a Mergellina, la Napoli bene e sono uno dei gruppi malavitosi satelliti dei principali cartelli criminali. Panzuto nel 2008 inizia la collaborazione con la giustizia dopo aver ucciso per conto dell’alleanza di Secondigliano e aver vissuto la latitanza in Inghilterra.
Ma perché Panzuto gira in città senza protezione? Perché il servizio centrale ha capitalizzato la sua posizione, gli hanno dato 25mila euro, e o’ terremoto ha finito il suo impegno con lo stato. «Molte dichiarazioni sono ancora al vaglio della procura, vengo ancora chiamato come testimone nei processi, dopo l’arresto di Maria Licciardi c’era la mia foto sui giornali perché io sono uno dei collaboratori di giustizia che l’ha accusata. In questo momento in strada ci sono liberi i miei nemici, ma anche i miei ex amici. Sono un morto che cammina», dice Panzuto.
Tra i collaboratori di giustizia che accusano Liccardi, citati nelle carte giudiziarie, c’è anche Panzuto. «Ha riferito in maniera dettagliata su una pluralità di episodi delittuosi, tra i quali omicidi e tentati omicidi, nonché sul traffico di stupefacenti e anche sui rapporti intrattenuti con altri clan», scrivono gli inquirenti.
Terremoto è tornato a Napoli dopo essere stato allontanato dalla città dove era sotto protezione. Ora non vuole andare via anche perché non saprebbe dove trasferirsi. Ogni tanto incrocia in strada anche i vertici dei clan in libertà. E non sono pochi.
I boss liberi
Dopo l’arresto di Maria Licciardi, le redini del clan sono nelle mani di Paolo Abbatiello e Antonio Bruno, detto Michelò. In strada c’è anche Gennaro Cirelli, detto Gerry, cognato di Giovanni Licciardi, figlio del defunto capo Gennaro. Sono i colonnelli che hanno in mano il cartello criminale. Sono attivi e liberi anche gli esponenti della famiglia Piccirillo, come Rosario, zio di Gennaro Panzuto.
I Piccirillo sono impegnati in attività di ogni genere, il primo settore di business è la droga, il secondo è l’usura per “ricchi”. Rosario Piccirillo, detto ’o biondo, ha sempre pattinato tra l’attività criminale e quella di relazioni e rapporti insospettabili per garantirsi notizie e protezioni. «A me è rimasto il coraggio, anche alcuni agenti delle forze dell’ordine mi dicono “terremoto vai via”. Io sono incazzato, sono uscito da una macelleria per entrare in un mattatoio. E il mattatoio è lo stato», dice Panzuto. Lo stato che non lo protegge più.
L’alleanza di Secondigliano è una realtà criminale che gestisce non solo il mercato della droga, ma ha le mani in ogni settore economico, in questo periodo gli uomini liberi sono in contatto con capi bastone per raccattare voti e scegliere il proprio referente politico. Lo hanno fatto in passato, continuano a farlo. Non sono loro a cercare gli uomini dei partiti, ma il contrario. Nelle carte dell’indagine su Maria Licciardi emerge la storia di un candidato, non eletto, alle scorse regionali. Ha preso 2mila voti, molti procacciati dalla malavita. Un voto costa tra i 20 e i 50 euro.
Il voto dei parenti
Gennaro Panzuto ha anche un parente candidato, si chiama Antonio Piccirillo, è il figlio di Rosario. Si candida con Alessandra Clemente, assessora uscente della giunta De Magistris. Clemente è la figlia di Silvia Ruotolo, vittima innocente di un agguato di camorra. Piccirillo junior si candida perché ha rotto i ponti con il mondo del padre, ha intrapreso un’altra vita, ha rinunciato a ogni bene del padre rinnegando la strada della violenza e della sopraffazione.
Lo chiamiamo per capire la sua scelta personale e scopriamo altro dal racconto consegnato a tv e giornali.
«A me hanno detto che potrei essere indagato, qualcuno delle boe mi avrebbe denunciato per estorsione, ci sono voci, ma non ho ancora una conclusione d’indagine, ma io volevo solo imparare un mestiere e non ho mai fatto niente per conto di mio padre», dice Piccirillo. Lui stesso riporta una possibile indagine che sarebbe scaturita dalla denuncia di alcuni titolari di posti barca, quelle che Piccirillo chiama boe.
«Quelli sono tutti malavitosi e denunciano me che voglio cambiare vita, hanno preso boe con violenza, mio padre le ha comprate», dice. Piccirillo non ha smesso di frequentare il padre, considerato ancóra attivo, così gli chiediamo perché non invita il padre a collaborare con la giustizia e il candidato risponde: «Collaborare non è la giusta strada, lui mi ha sempre detto “ti ho fatto sempre vivere con il pregiudizio di essere figlio del boss, non ti farei mai vivere con il pregiudizio di essere figlio di un pentito”, non ti farò mai questo doppio male.
Sarà sempre attivo per la dia, per la dda perché loro vogliono solo che la gente si penta per fare le loro cose». Non gli consiglia di collaborare con la giustizia? «No, assolutamente». E di Panzuto dice che non è il cugino, ma un parente alla lontana. «Non ho nulla da spartire con lui, io non ho mai fatto niente di male. Anche mio padre l’ha sempre rifiutato, gli ha sempre detto “tu vuoi uccidere tutti, così non puoi fare la malavita”, si è pentito perché non riusciva a fare la galera, la legge sui collaboratori serviva, ma andrebbe rivista».
E sulle elezioni, Piccirillo dice che non si farà aiutare dal padre, ma in giro molti comprano voti. «In tanti si comprano la fame delle persone. Ma io sono una persona perbene e non tollero queste cose».
Il sangue blu della provincia
Uscendo dalla città le faide si moltiplicano e a volte si traducono in agguati. Scontri che durano da anni tra clan storici o dissidi che si aprono per dividersi una piazza di spaccio o il dominio su una strada. A metà settembre, a Casoria, paesone della provincia, Raffaele Liguori è stato raggiunto da un colpo di pistola in faccia, combatte ancora tra la vita e la morte. «L’agguato di Liguori ha una matrice chiara: lo scontro tra il gruppo di Pasquale Cristiano e quello di Girolamo Scafuro, Ernesto Ferone, dietro questi ultimi c’è il clan Moccia», racconta un confidente che conosce quella realtà criminale. Si sparano perché vogliono prendersi Arzano, comune della provincia sciolto per infiltrazioni camorristiche.
Cristiano è tornato in carcere, lo scorso giugno, dopo aver scorrazzato in pieno centro a bordo di una Ferrari per andare alla comunione del figlio sfruttando un’autorizzazione dei giudici. Cristiano è considerato dagli investigatori un boss legato al gruppo Amato Pagano. La sua detenzione ha indebolito il gruppo e sarebbe partita la vendetta degli uomini affiliati al gruppo criminale dei Moccia. Dietro la faida ci sono gli interessi di una delle famiglie criminali più potenti della Campania, egemone nella provincia napoletana. «I Moccia? Sono criminali di sangue blu. I killer anche di clan rivali erano sempre disponibili a commettere omicidi per conto dei Moccia perché i capi delle rispettive famiglie criminali avevano in grande considerazione quel cartello criminale.
Così negli anni molti omicidi sono rimasti senza colpevoli perché non si è in grado di ricostruire la paternità, ma solo a chi ha fatto comodo quell’agguato», racconta il confidente. Domani si è già occupato dei Moccia raccontando la trasformazione di quel clan in una struttura piramidale con i capi che non parlano mai con la manovalanza che combatte guerre a bassa intensità, mentre i vertici fanno affari e stringono relazioni. Tra le decine di clan che si dividono brandelli di territorio, i Moccia spiccano per lungimiranza criminale, non a caso godono di ottimi rapporti con l’alleanza di Secondigliano. Il capo Luigi Moccia, detto il papa, è libero e sotto processo, così come Filippo Iazzetta e Teresa Moccia. L’ultima inchiesta che li ha coinvolti ha raccontato gli affari nel settore petrolifero, i rapporti con la showgirl Anna Bettozzi, così come in passato ne hanno avuti con il faccendiere Flavio Carboni. Una camorra dal sangue blu che, come quella della città, fa meno notizia di quella stracciona che semina il terrore e ha il volto di un’arrembante e inconcludente criminalità di strada.
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