È dalle canzoni che si deve partire, le canzoni a Napoli non sbagliano mai. È dentro la verità delle note che vive la rappresentazione migliore di un’incapacità, la corsa impossibile a trovare un punto medio, una linea visibile “tra l’inferno e il cielo”, tra i mille culure e le mille paure. Non c’è mai altro sulla scena di Napoli, tutto il resto chissà dov’è, chi lo sa se a qualcuno interessa la banalità del vivere quotidiano, la virtù sottovalutata della routine, gli ingranaggi nascosti che ogni secondo mandano avanti le lancette di un orologio.

È la condanna che circonda una città dove si incontrano una sirena in acqua e il fuoco del vulcano, il sangue sciolto dei santi protettori e quello sparso delle vittime innocenti, una maschera nasuta e nera che per folklore s’inchina al potere e ne ride, quel Pulcinella arraggioso e arrepassatore di Enzo Striano (Il Resto di Niente), cioè furibondo, ma pure beffardo.

Di Napoli si raccontano da secoli il sublime e lo squallore, un po’ per abitudine e un po’ per l’accondiscendenza di un popolo che si mette in posa, recita la parte di sé stesso, si fa riprendere così, con le vecchie che ridono sdentate in strada e i soliti tre sul motorino senza casco; una delle rare città uscite da una guerra civile, ricevendo in eredità “un’armonia perduta” (Raffaele La Capria), una dualità irrisolvibile tra il popolo e la borghesia (Domenico Rea).

È accaduto, accadrà, sta accadendo ancora in queste ore, quando stasera “una squadra di calcio con annessa una città” (New York Times) riceverà la coppa per lo scudetto, continuando a celebrare sé stessa e il suo meraviglioso momento. Straordinario, appunto. E l’ordinario? Dov’è? Chi sta cercando la famosa linea tra l’inferno e il cielo? Certe volte il caso si diverte a scompaginare i copioni scritti e a dire l’indicibile.

Così nel giorno in cui il sindaco Gaetano Manfredi annunciava l’arrivo di un un quarto treno di nuova generazione per la linea metropolitana, il servizio si è impastato in qualche maledizione e l’attesa alle fermate ha toccato i 28 minuti. Più inferno che cielo, i trasporti comunali. La funicolare che collega i due quartieri borghesi di Chiaia e del Vomero è chiusa dal 1° ottobre scorso. Se questo è il salotto della città, uno si domanda come stanno combinati i ballatoi.

La resistenza delle periferie

I ballatoi, le periferie, sono piene di storie di resistenza costruita dal basso. Anna Riccardi guida la fondazione Famiglia di Maria nella zona di Napoli est, un tempo si chiamava il triangolo rosso, per i voti che il Pci prendeva tra Barra, San Giovanni e Ponticelli. Opera a tutela dei minori e delle famiglie disagiate. Hanno fatto nascere la prima comunità energetica e solidale d’Italia, recuperano pannelli solari, li vendono ai gestori, distribuiscono il ricavato tra 40 famiglie. Riccardi dice che questo percorso taciuto e quotidiano «ha introdotto una coscienza civile, un’educazione ambientale». Per questo crede che «l’entusiasmo, la voglia di far festa deve trasformasi in necessità di costruire, va canalizzata, non può restare un fenomeno di passaggio. La squadra di calcio è un modello ispiratore. Un gruppo dove Osimhen è fortissimo, ma che vince pure senza di lui. I gol si segnano nelle periferie, qui vanno trasferiti i progetti culturali, la città non è solo il suo centro».

Napoli Est è il campo di sfida per Maestri di Strada, l’associazione che si batte da 20 anni contro la dispersione scolastica. Qui hanno accolto la Academy della Apple per programmatori, adesso la rinascita del sito ex Whirlpool, acquisito da Tea Tek Group, radici napoletane, piedi in Europa e negli Emirati Arabi. Un polo green di ricerca tecnologica, una speranza di rioccupazione per gli operai dopo la dismissione di 4 anni fa.

Le partite di Napoli si giocano tutte qui, sul terreno del lavoro. «Va bene accogliere i turisti - dice Riccardi - ma riaccogliamo pure i nostri adolescenti vittime del disagio, sostituiamo i coltelli con le penne».

È certo che se in questi mesi si parla di una nuova Napoli, si deve ai ventenni e ai trentenni che non sono stati testimoni né dell’energia artistica anni 80, la triade di icone Maradona-Troisi-Daniele fiorita nel pieno di una guerra di camorra, né del Rinascimento anni 90 firmato da Antonio Bassolino: fra cinque mesi partirà il circuito del dibattito intorno al trentennale.

Si deve ai giovani, una nuova Napoli distante dagli stereotipi, più aperta, più europea nei gusti, nei gesti, nelle connessioni, un luogo dove si arriva da Amsterdam e si riparte col souvenir di una maglia azzurra, oppure dove si ritorna dopo un’esperienza all’estero.

Chi viaggia, chi torna

Paolo Mossetti l’ha raccontato rientrando da Berlino nel libro Appugrundrisse (Minimum Fax), titolo che fonde l’appecundria di Pino Daniele, uno spleen assai locale di malinconia, noia e pigrizia, con i lineamenti della critica dell’economia politica di Marx.

«Ho fatto in tempo a vivere la Napoli delle luci spente dal Comune per risparmiare sulle bollette, la città avvolta dallo stigma della spazzatura e della camorra. È vero che presentava spazi di ispirazione e di avventura realmente anarchici, non controllati dalla grande finanza, ma era pure una Napoli che non aveva stima di sé, né offriva opportunità ai lavoratori con un basso livello di istruzione.

Adesso almeno trovano nel turismo un indotto che non obbliga a partire. Non sono risolti così, i problemi dello sviluppo. Manca un modello sostenibile. Il boom turistico ha messo sotto il tappeto i problemi, i dati sociali molto gravi, i tassi enormi di disoccupazione giovanile, quei problemi strutturali mediterranei di cui Napoli è un esempio interessante. La deindustrializzazione di Bagnoli non è stata seguita dalla crescita di un terziario avanzato e dignitoso. Quell’area rimane in un limbo. Non è stata né comprata da un privato per farne un costoso parco giochi né siamo riusciti a farla diventare uno spazio pubblico».

Il sindaco silenzioso

Un limbo purtroppo non è una linea di mezzo. Napoli è passata dal governo della spettacolare bandana di Luigi De Magistris a quello dei lunghi silenzi di Gaetano Manfredi. È sotto le telecamere del mondo la fioritura di un irresistibile immaginario, un gigantesco sposalizio tra gli esiti felici nei settori chiave dell’infoteinment, dove si concentrano curiosità e appetiti internazionali: il calcio, la serialità televisiva, il cibo.

I turisti vengono a vedere i murales di Maradona e i set dei romanzi di Elena Ferrante. Ma chi sta lavorando per guidare i processi? I flussi vanno e vengono spontanei. La crisi post Bataclan dirottò su Napoli i viaggiatori nel Mediterraneo. Eppure impiegano un attimo a deviare, certe traiettorie. Anche l’iperturismo va governato, come sanno a Barcellona e come dicono certe foto scattate alle fontane cittadine, strapuntini per mangiare la pizza fritta.

Diego Belliazzi è stato segretario dei Ds e consigliere provinciale. Ha fatto un’esperienza da dirigente scolastico per cinque anni in Veneto, ora che è tornato, pure lui come Mossetti, dice che «lo scarto è enorme, l’impatto è stato pesante. Dalla pulizia nelle strade al modo di guidare. Non ho trovato una Napoli migliore, l’ho trovata casomai cresciuta, perché negli occhi ci resta la folla che riempie le strade. Ma ho anche visto i Quartieri Spagnoli, Forcella e la Sanità come non erano mai stati prima, con i residenti che hanno sviluppato una cultura dell’accoglienza. Il mio giudizio è sospeso. Di trasteverini a Trastevere non ce ne sono più, mentre credo che Napoli sappia sempre come conservare la sua unicità».

Modello Pasolini o Troisi

Se lo augurava mezzo secolo fa Pier Paolo Pasolini, voleva veder resistere all’omologazione questa gigantesca tribù, mentre Massimo Troisi avrebbe speso la vita a desiderare una Napoli uguale a Novara e a Rovigo, pensiero che la città ha finto di non cogliere e che spesso ha tradito. Il regista pugliese Giuseppe Sansonna è l’ultimo a posare il suo occhio su questo groviglio.

Il 4 giugno alle 22 su Rai5 e domani alle 16.10 su Rai3 va in onda il suo documentario La Bella Giornata, titolo che occhieggia al Ferito a morte di La Capria e al perenne sentimento dell’attesa di qualcosa. Sansonna dice che «in certe strade Napoli pare una friggitoria all’aperto, un po’ mi manca la città dei silenzi e degli spazi vuoti. Detesto le movide omologate di tutta Europa, ma penso che Napoli sappia resistere a questo e altro, con la sua capacità di divorare i fenomeni più tossici, di conservare i suoi scampoli di contrasto, attraverso le storie delle persone».

Quelle che ancora si muovono tra l’inferno e il cielo, tra i mille colori e le mille paure, cercando una linea di mezzo tra un giorno da leone e cento da pecora. La famosa ricerca, per ora sconfitta, dei cinquanta giorni da orsacchiotto.

© Riproduzione riservata