Pubblichiamo il testo integrale dell’informativa alla Camera del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi
Signor Presidente, Onorevoli Deputati/Senatori,
il governo ha immediatamente accolto l'invito del Parlamento a riferire in merito al naufragio di un'imbarcazione in legno che trasportava migranti, avvenuto nelle prime ore del mattino del 26 febbraio scorso nel mare antistante la località Steccato di Cutro in provincia di Crotone.
Voglio rinnovare prima di tutto il cordoglio, mio personale e di tutto il governo, per le vittime di questo ennesimo, tragico, naufragio e la vicinanza alle loro famiglie e ai superstiti.
Premesso che il bilancio non è ancora definitivo, gli aggiornamenti giunti dalla prefettura di Crotone portano il numero delle vittime a 72, di cui 28 minori, mentre i superstiti sono 80. Di questi, 54 sono accolti nel locale Centro di Accoglienza Richiedenti Asilo (Cara) e nel pomeriggio odierno saranno trasferiti nella struttura alberghiera che già ospita i propri parenti, 12 nel Sistema Sai a Crotone, 8 sono ricoverati in ospedale, 2 minori non accompagnati sono stati collocati nelle strutture dedicate e 3 soggetti, presumibilmente gli scafisti, sono stati arrestati.
In particolare, sono stati fermati un cittadino turco e due pakistani, uno dei quali minorenne. Sono in corso le ricerche di un quarto scafista e non si escludono sviluppi nelle prossime ore.
I sopravvissuti sono afghani, iraniani, pakistani, palestinesi, siriani e somali.
Appresa la notizia del naufragio, mi sono immediatamente recato a Cutro per testimoniare, a nome del governo, il cordoglio per le vittime e la vicinanza ai superstiti, nonché alle Amministrazioni locali.
Anche in questa sede desidero rivolgere una parola di profonda gratitudine alla Calabria che, da sempre, accoglie con solidarietà e generosità i tanti migranti che sbarcano sulle sue coste e che affronta questa tragedia con compostezza e dignità non comuni.
Nell’occasione, ho presieduto una riunione in prefettura a Crotone per un primissimo punto di situazione con le Forze di polizia, i rappresentanti delle comunità locali e i responsabili delle attività di soccorso.
Il dispositivo di ricerca e soccorso in mare, tuttora in funzione, ha interessato i reparti specialistici della guardia costiera, della guardia di Finanza e dei Vigili del fuoco, secondo uno schema operativo integrato che prevede il dispiegamento di unità navali, aeree e terrestri.
Ringrazio anche gli operatori della protezione civile regionale insieme all’Arma dei carabinieri e ai tanti volontari del posto.
Per la doverosa ricostruzione dei fatti, che in quella sede deve avvenire, sulla vicenda sta indagando la Procura della Repubblica di Crotone.
Attenderemo, pertanto, con fiducia e rispetto l'esito degli accertamenti giudiziari.
Ho già fornito alcuni elementi sul naufragio nei giorni scorsi, sia in occasione delle audizioni presso le Commissioni Affari costituzionali di Senato e Camera sulle linee programmatiche del Ministero dell'interno sia nell’analoga audizione svolta dinanzi al Copasir.
L'informativa odierna, sempre in attesa di quanto emergerà dalle indagini in corso, mi offre l’opportunità di dare risposte alle molte domande che in questi giorni sono state legittimamente rivolte, anche dall'opinione pubblica, con riferimento a quanto accaduto davanti alla costa crotonese.
Veniamo ai fatti, come ricostruiti sulla base degli elementi acquisiti dalle autorità italiane competenti, cui si aggiungono le dichiarazioni di alcuni sopravvissuti raccolte in una relazione Frontex. A tal proposito va precisato che gli elementi acquisiti dai superstiti, pur restando indicativi del quadro generale dell’evento, richiedono ancora ulteriori accertamenti per la messa a fuoco degli aspetti di dettaglio.
La traversata - raccontano i sopravvissuti – parte da Cesme, in Turchia, intorno alle 3.00 del 22 febbraio in condizioni metereologiche ottimali: condizioni che, tuttavia, dopo 2 o 3 giorni peggiorano. Secondo il loro racconto, a bordo dell’imbarcazione erano presenti circa 180 persone, oltre a 4 scafisti, due turchi e due pakistani.
Tre ore dopo l’inizio della navigazione, un guasto al motore dell’imbarcazione induce due scafisti a contattare, tramite cellulare, un complice. Dopo altre tre ore di attesa, i migranti sono raggiunti da una seconda imbarcazione, pilotata da altri tre scafisti. Dopo il trasbordo dei migranti, la navigazione prosegue verso le coste italiane.
Sempre sulla base del racconto dei sopravvissuti, la barca giunta in sostituzione aveva due motori MAN entro-bordo. I migranti notano che gli scafisti dispongono di telefono satellitare e di un apparecchio che sembrava di tipo “Jammer” ovvero in grado di inibire la trasmissione e la ricezione di onde radio. Inoltre, quando l’imbarcazione incrocia davanti alle coste elleniche, gli scafisti sostituiscono la bandiera turca con quella greca.
Durante la navigazione, sempre stando alla narrazione dei migranti, gli scafisti li costringono a restare sotto coperta, facendoli salire sul ponte solo pochi minuti per prendere aria.
Dopo una traversata di 4 giorni, superato l’arcipelago delle isole greche, sempre sulla base delle dichiarazioni, il 25 febbraio, intorno alle 18.00, gli scafisti decidono di fermarsi al largo della Calabria e attendere un momento favorevole per sbarcare ed evitare di essere avvistati da parte delle Forze dell’ordine.
Dopo alcune ore, i migranti, lamentandosi della sosta, inducono gli scafisti a mostrar loro, tramite un gps, che la loro posizione era ormai vicina alla costa calabrese, con la rassicurazione che avrebbero ripreso la navigazione, per arrivare intorno alle 01.30 del 26 febbraio.
Va, tuttavia, precisato che, sulla base degli elementi acquisiti dal Ministero della giustizia, gli scafisti decidono di sbarcare in un luogo ritenuto più sicuro e di notte, temendo che nella località preventivata vi potessero essere dei controlli; il piano prevedeva l’arrivo a ridosso della riva sabbiosa, con il successivo sbarco e la fuga sulla terraferma.
Sulla base degli elementi acquisiti da guardia di Finanza e guardia costiera, alle 23.03 del 25 febbraio il Centro Situazioni di Varsavia dell’Agenzia Frontex comunica - all’International Coordination Centre di Pratica di Mare e, per conoscenza, al Centro di coordinamento italiano dei soccorsi marittimi (Itmrcc), nonché al Centro Nazionale di Coordinamento (Ncc) - l’avvistamento avvenuto alle 22.26 da parte dell’aereo Frontex “Eagle One”, impegnato in attività di sorveglianza nello Jonio, di un’imbarcazione in buono stato di galleggiabilità con una persona visibile sopra coperta, in acque internazionali, a circa 40 miglia nautiche dalle coste calabresi. Frontex segnalava che l’unità navigava con rotta 2-9-6 a velocità di 6 nodi.
L’assetto aereo, oltre ad aver captato una chiamata satellitare diretta in Turchia ed evidenziato boccaporti aperti in corrispondenza della prua, segnalava una risposta termica dei sensori di bordo e, quindi, la possibile presenza di persone sotto coperta. Fatta la segnalazione, l’aereo Frontex faceva rientro alla base per l’esigenza di rifornirsi di carburante.
Alle 23.37 la guardia di Finanza di Vibo Valentia contatta l’autorità marittima di Reggio Calabria rappresentando che una sua unità navale, come da pianificazione operativa, era già in mare e che vi sarebbe rimasta fino alle 06.00, per attività di polizia sul caso segnalato.
In tale contesto, in base alle relazioni acquisite, il quadro della situazione in possesso della guardia Costiera a quel momento si fondava sui seguenti elementi:
la segnalazione Frontex circa l’imbarcazione non rappresentava una situazione di pericolo; non c’erano state chiamate di soccorso di nessun genere; sullo scenario era presente un’unità navale della guardia di Finanza dedicata all’evento, che avrebbe potuto fornire ulteriori elementi mediante riscontro diretto e che, qualora fosse stato necessario, avrebbe anche potuto svolgere attività di soccorso quale risorsa concorrente, in linea con le previsioni del Piano nazionale sar; non erano variate le condizioni meteo-marine.
A mezzanotte circa, l’unità della guardia di Finanza, considerato il tempo stimato in circa 7 ore dall’avvistamento da parte dell’aereo Frontex, necessario al caicco per raggiungere le acque territoriali - presupposto per l’esercizio delle funzioni di polizia - rientra temporaneamente alla base di Crotone per un rabbocco di carburante. Contemporaneamente, oltre al rifornimento, veniva organizzato un nuovo assetto navale rafforzato con un maggiore dislocamento, in grado di poter meglio affrontare le condizioni del mare.
Alle 00.30 del 26 febbraio, al fine di approfondire i dati relativi alla telefonata satellitare - a cui ho prima fatto cenno -, la centrale di coordinamento operativo del Comando operativo aeronavale della guardia di Finanza di Pratica di Mare, chiede a Frontex di condividere il numero di utenza satellitare per tracciare il contatto. Frontex, nel comunicare l’utenza, evidenzia che la stessa era riferita ad un dispositivo ricevente situato in Turchia che, quindi, non era suscettibile di localizzazione.
Tornando al racconto dei sopravvissuti, intorno alle 01.30 del 26 febbraio, nonostante il peggioramento delle condizioni del mare, gli scafisti decidono di riprendere la navigazione.
Alle 02.20 circa, da quanto risulta dai rapporti acquisiti, due assetti navali della guardia di Finanza - la motovedetta rientrata per rifornimento insieme ad un’altra unità navale di più ampia dimensione - riprendono la navigazione alla ricerca dell’imbarcazione.
Tuttavia, alle 03.30 circa, le due unità navali della guardia di Finanza sono costrette a rientrare in porto a causa delle pessime condizioni meteo marine in atto.
Alle 03.48, la guardia di Finanza informa l’autorità marittima di Reggio Calabria del suo rientro, confermando il quadro conoscitivo sopra tratteggiato, che non conteneva ulteriori elementi né riguardo alla posizione, né riguardo ad eventuali criticità relative all’imbarcazione.
Alle 03.50, la stessa Sala Operativa della guardia di Finanza di Vibo Valentia, mediante la postazione della propria rete radar costiera, acquisisce, per la prima volta, un target, verosimilmente l’imbarcazione riconducibile a quella segnalata da Frontex.
Alle 03.55 la Sala Operativa del Comando provinciale della guardia di Finanza di Vibo Valentia contatta le sale operative del Corpo dei comandi provinciali di Catanzaro e di Crotone, nonché quelle della Polizia di stato e dei carabinieri di Crotone e Catanzaro, alle quali chiede l’invio di pattuglie nella zona di interesse, specificando, altresì, che le unità navali della guardia di Finanza non avevano stabilito alcun contatto con il natante e che, a causa delle avverse condizioni del mare, quest’ultimo non poteva essere raggiunto, motivo per cui le loro unità navali erano state costrette a rientrare.
Pochi minuti dopo, sull’utenza di emergenza 112 giunge una richiesta di soccorso telefonico da un numero internazionale che veniva geolocalizzato dall'operatore della Centrale Operativa del Comando Provinciale dei carabinieri di Crotone e comunicato, con le coordinate geografiche, alla Sala Operativa della Capitaneria di Porto di Crotone.
È questo il momento preciso in cui, per la prima volta, si concretizza l’esigenza di soccorso per le autorità italiane.
Alle 04.19, la Centrale Operativa del Comando Provinciale dei carabinieri di Crotone invia nella località geolocalizzata (Foce Tàcina di Steccato di Cutro) la pattuglia del Nucleo Radiomobile della Compagnia di Crotone.
Alle 04.30 circa, tramite il numero di emergenza 1530, la Capitaneria di Porto riceve una segnalazione circa la presenza di una barca a 40 metri dalla foce del fiume Tàcina.
Pochi minuti dopo il segnalante richiamava, specificando che l’imbarcazione si trovava a 50 metri dalla riva, che si stava muovendo in direzione della spiaggia e che erano presenti persone a bordo.
Veniva, pertanto, informato il Centro Secondario del Soccorso Marittimo di Reggio Calabria (MRSC), che disponeva l’invio di una motovedetta, con imbarco di un team sanitario, e di pattuglie via terra, chiedendo altresì l’intervento dei Vigili del fuoco, del 118 e della Questura di Crotone per l’attivazione dei soccorsi a terra.
Nel contempo, in località Steccato di Cutro convergevano militari dei carabinieri, personale della locale Questura e di altre Forze di polizia, nonché sanitari, personale dei Vigili del fuoco e della Capitaneria di Porto. Sul posto, intervengono, per primi, i carabinieri che nell’immediato traggono in salvo un uomo e un bambino, quest’ultimo purtroppo deceduto poco dopo, bloccando subito uno degli scafisti.
Davanti agli occhi dei soccorritori, i corpi di tante vittime innocenti, bambini, donne e uomini, riversi sulla battigia, i naufraghi e quel che rimaneva dell’imbarcazione, incagliata a circa 40 metri dalla spiaggia.
Tornando ai momenti immediatamente precedenti al naufragio e quindi ai racconti dei sopravvissuti, la navigazione era proseguita fino alle 03.50, allorquando, a circa 200 metri dalla costa, erano stati avvistati dalla barca dei lampeggianti provenienti dalla spiaggia e a quel punto gli scafisti, temendo la presenza delle forze dell’ordine lungo la costa, effettuano una brusca virata nel tentativo di cambiare direzione per allontanarsi dal quel tratto di mare.
In quel frangente, la barca, trovandosi molto vicino alla costa ed in mezzo ad onde alte, urta, con ogni probabilità, il basso fondale (una secca) e per effetto della rottura della parte inferiore dello scafo, comincia ad imbarcare acqua.
Sempre sulla base delle dichiarazioni dei superstiti, a quel punto due degli scafisti si buttano in acqua, mentre un terzo viene fermato dai migranti, per impedirgli di lasciarli soli sulla barca incagliata; molti altri migranti, nel frattempo, salgono sul ponte in cerca di aiuto e lo scafista rimasto a bordo, approfittando del momento di caos, riesce ad abbandonare la barca su un gommone di piccole dimensioni e a far salire poi gli altri due scafisti per dirigersi verso la costa.
In quel preciso momento una forte onda capovolge la barca di legno e tutti i migranti cadono in mare mentre la barca viene distrutta.
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Fin qui la ricostruzione di questo tragico naufragio, che ha posto al centro del dibattito, anche mediatico, la questione delle competenze rispetto agli interventi in mare.
Per rendere comprensibile il quadro normativo, a costo di una qualche semplificazione, preciso che gli interventi operativi in mare sono riconducibili a due missioni statali, quella del law enforcement e quella di ricerca e soccorso (cosiddetta sar).
Devo subito evidenziare, tuttavia, che, sebbene si tratti di due funzioni statali qualitativamente diverse, è tutt’altro che infrequente che un determinato evento, in ipotesi nato come di law enforcement, si evolva successivamente in un evento sar (come pure può verificarsi l’inverso), dato che, in mare, il quadro situazionale si modifica repentinamente e talvolta in modo profondo e considerato soprattutto che, anche nelle attività di contrasto dei reati (immigrazione illegale, traffico di esseri umani, contrabbando, traffico di armi o droga o di reati ambientali), può in concreto porsi un problema di tutela della incolumità della vita umana in mare ed è proprio per questo che gli assetti navali di polizia sono attrezzati anche per operazioni di soccorso.
Del resto, questo assetto replica un modello ordinamentale che, ai sensi della legislazione vigente, vede le Forze di polizia chiamate a prestare soccorso, in qualsiasi contesto operino, anche quali strutture operative del servizio di protezione civile.
Voglio dire che l’esigenza di tutela della vita ha sempre la priorità, quale che sia l’iniziale natura dell’intervento operativo in mare.
In altre parole, le attività di law enforcement, che fanno capo al Ministero dell’Interno, e quelle di soccorso in mare, che competono al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, esigono la cooperazione e la sinergia tutte le volte che i contesti operativi concreti lo richiedono, e in primis quando si tratta di salvaguardare l’incolumità delle persone in mare.
Non esistono, né possono esistere barriere tra Corpi dello stato che operano in un campo, quello degli interventi in mare, che si fonda sulla cooperazione e sul coordinamento proprio perché il conseguimento di risultati, in quel contesto, più ancora che in altri, non può che avvenire con il concorso e il contributo di tutti gli attori coinvolti, come peraltro il diritto interno e quello internazionale impongono.
Le attività di contrasto all'immigrazione irregolare sono sempre pronte a coniugarsi con le attività di ricerca e soccorso in mare, proprio in ragione – lo voglio ribadire - del superiore interesse di tutela della vita umana.
Tra l’altro, è anche per questa ragione che esistono i Centri di coordinamento, che operano e si interfacciano h 24 e 7 giorni su 7, in composizione prevalentemente interforze e disponendo di apparati tecnologici adeguati alle finalità. Si tratta di un impegno costante, faticoso e rischioso di tante donne e uomini dello stato che sarebbe ingeneroso - anzi, consentitemi, offensivo - svalutare o disconoscere.
A questo proposito, evidenzio che il quadro normativo nazionale, peraltro sottoposto a vincoli di natura internazionale con specifico riguardo alla materia del soccorso in mare, non è assolutamente stato modificato dall’attuale governo.
Peraltro, le modalità tecnico-operative dei salvataggi non possono essere in alcun modo sottoposte a condizionamenti di natura politica o a interventi esterni alla catena di comando.
Dunque, sostenere che i soccorsi sarebbero stati condizionati o addirittura impediti dal governo costituisce una grave falsità che offende, soprattutto, l’onore e la professionalità dei nostri operatori impegnati quotidianamente in mare, in scenari particolarmente difficili.
Inoltre, permettetemi di precisare che trovo incomprensibile aver messo in connessione il cosiddetto “decreto ong” con il naufragio di Cutro perché, in primo luogo, né nello Jonio né lungo la cosiddetta rotta turca hanno mai operato navi di Organizzazioni non governative e, poi, perché le regole introdotte con il citato provvedimento partono dal presupposto che prima di tutto devono essere sempre assicurati il soccorso e l’assistenza dei migranti a tutela della loro incolumità.
Per capire come in concreto si raccordino tra loro le competenze dei vari soggetti istituzionali coinvolti e se, alla luce delle procedure esistenti, vi siano stati degli errori, è essenziale chiarire che l’attivazione dell’intero sistema sar non può prescindere da una segnalazione di una situazione di emergenza.
Solo ed esclusivamente se c’è tale segnalazione, si attiva il dispositivo sar. Laddove, invece, non venga segnalato un distress, l’evento operativo è gestito come un intervento di polizia, anche in ragione di quanto prima osservato circa la capacità di soccorso delle nostre unità navali.
È esattamente quanto avvenuto nel caso in questione.
Nell’evento, il primo dato certo è che l’assetto aereo Frontex che, per primo, ha individuato l’imbarcazione alle ore 22.26 del 25 febbraio a 40 miglia nautiche dall’Italia, non ha rilevato e, quindi, non ha segnalato una situazione di distress a bordo, limitandosi a evidenziare la presenza di una persona sopra coperta, di possibili altre persone sotto coperta e una buona galleggiabilità dell’imbarcazione. Frontex annotava, altresì, che l’imbarcazione procedeva a velocità regolare (6 nodi l’ora), non appariva sovraccarica e non “sbandava”.
Peraltro, nessuna segnalazione di allarme o richiesta di aiuto proveniva dall’imbarcazione in questione.
È utile precisare che l’assetto aeronavale Frontex che ha rilevato l’imbarcazione stava operando, nel quadro della missione “Themis”, in un’area della cosiddetta “rotta orientale”, rispetto alla quale il Ministero dell’Interno aveva formalmente chiesto, già dal 2021, a Frontex il potenziamento del dispositivo di sorveglianza, poi avvenuto grazie al dispiegamento di un ulteriore mezzo aereo.
L’assetto Frontex, poiché l’evento rilevato alle 22.26 del 25 febbraio non aveva, né lasciava supporre, una condizione di distress, lo segnalava, correttamente, alle autorità italiane di law enforcement e, per conoscenza, anche a quelle di soccorso marittimo, nonché al proprio quartier generale, come previsto dalle procedure esistenti affinché le autorità nazionali competenti gestissero l’evento con strumenti appropriati per tale tipo di operazioni in base al proprio ordinamento.
Aggiungo che Frontex, oltre a fornire alle autorità nazionali un “early warning”, cioè una notifica precoce di quanto constatato, effettua un monitoraggio dell’imbarcazione sospetta rilevata, interrotto, nel nostro caso, unicamente perché l’aereo era a corto di carburante e quindi doveva ritornare alla base.
Per quanto riguarda i nostri assetti navali operativi in mare, sui quali in questi giorni circolano le illazioni più disparate, fermo restando, ovviamente, il doveroso accertamento da parte dell’Autorità giudiziaria, trovo ingiusto non riconoscere i risultati ottenuti dalle nostre strutture responsabili degli interventi operativi in termini di salvataggio di vite in mare.
Aggiungo, altresì, che i fatti di Cutro si inseriscono nel fenomeno dei cosiddetti sbarchi autonomi, ovvero di quelle imbarcazioni, spesso di minime dimensione, che giungono sulle nostre coste senza essere intercettate e che non rappresentano un’evenienza rara in quanto riconducibili a una precisa strategia degli scafisti di elusione dei controlli alle frontiere marittime.
Tornando ai risultati conseguiti dai nostri apparati statali impegnati in operazioni in mare, limitandomi al periodo più recente, dal 22 ottobre 2022 al 27 febbraio 2023, le nostre Autorità hanno gestito 407 eventi sar, mettendo in salvo 24.601 persone. Nello stesso periodo, nel corso di 300 operazioni di polizia per il contrasto dell’immigrazione illegale, la sola guardia di Finanza ha tratto in salvo 11.888 persone. Per un totale, tra sar e law enforcement, di 36.489 persone salvate.
Dunque, dati alla mano, è del tutto infondato che le missioni di law enforcement non siano in grado di effettuare anche salvataggi.
Allo stesso tempo, non possiamo non ricordare la lunga e terribile serie di naufragi che continuano a verificarsi nel Mediterraneo.
Solo nel 2016, anno in cui era ancora operante l’operazione navale umanitaria “Mare Nostrum” - avviata all’indomani del naufragio di Lampedusa dell’ottobre 2013 con 368 morti, dispiegando un possente dispositivo aereonavale e con la presenza di navi ONG - le vittime nel Canale di Sicilia furono 4.574 secondo i dati dell’Organizzazione Internazionale della Migrazione. Nel 2022, in base alla medesima fonte, le vittime sono state 1.377.
Con il solo intento di riportare alla memoria il ricordo delle troppe vittime del nostro mare dal 1997 ad oggi, da più parti, in questi giorni, sono stati richiamati i tragici naufragi della Kater i Rades, nel Canale d’Otranto, il 28 marzo 1997, con 81 migranti morti, quello del 3 ottobre 2013 a Lampedusa che causò la morte di 368 persone e quello dell’11 febbraio 2015, nel canale di Sicilia, che costò la perdita di 330 vite.
Con la stessa finalità, voglio ricordare tanti altri naufragi avvenuti nello stesso periodo, 49, solo tra quelli principali segnalati dalle Capitanerie di Porto. Di questi, permettetemi di fornire un elenco di quelli mi hanno maggiormente toccato, per le modalità e il portato di sofferenze e di dolore che ancora restituiscono.
Il 12 maggio 2008 un barcone con 66 migranti va alla deriva per giorni. A bordo, 47 persone muoiono di freddo e stenti e sono gettate in mare dai compagni, altre 3 sono ritrovate morte.
Il 10 luglio 2012, nel tratto di mare tra la Libia e Lampedusa si sgonfia un gommone e muoiono 54 persone.
Il 1° luglio 2014, a bordo di un peschereccio stipato di oltre 600 persone, 45 muoiono asfissiate.
Il 19 luglio 2014, 30 migranti, chiusi nella stiva di un barcone, muoiono asfissiati dalle esalazioni del motore.
Il 22 agosto 2014, davanti alle coste libiche, l’affondamento di una imbarcazione produce oltre 200 morti, molti dei quali recuperati sulla spiaggia.
Il 18 aprile 2015, al largo delle coste libiche, il naufragio di un natante carico di migranti porta le vittime ad un numero imprecisato, tra le 700 e le 1.000 persone.
Il 5 maggio 2015, nella ressa alla vista dei soccorsi, muoiono in 40, alcuni a bordo, altri per annegamento.
Per venire a tempi più vicini a noi, il 19 agosto 2020, proprio nella fase di massima contrazione degli arrivi per effetto della pandemia, al largo della Libia perdono la vita 45 persone.
Il 12 novembre 2020, almeno 74 migranti annegano nello stesso tratto di mare per il naufragio di un’imbarcazione che trasportava più di 120 persone.
Il 21 aprile 2021 naufraga un barcone carico di 130 migranti: sono ritrovati 8 corpi.
Potrei continuare a lungo questa tragica elencazione, ma credo basti a dare l’idea della drammaticità delle conseguenze delle partenze illegali.
Proprio per interrompere questa tragica sequenza, sul presupposto che la causa principale, immediata e diretta delle morti in mare sia costituita dalle reti criminali dedite al favoreggiamento dell’immigrazione irregolare e che la causa profonda risieda nei persistenti e crescenti squilibri tra Nord e Sud del mondo, questo governo ha finalmente riportato il tema migratorio al centro dell’agenda politica, in modo trasversale rispetto a tutte le dimensioni lungo le quali si esplica la sua azione: a livello nazionale; sul piano europeo; con i paesi di transito e partenza dei flussi.
È in tale direzione che, insieme al Presidente Meloni e al Ministro Tajani, stiamo sviluppando un’intensa attività congiunta di collaborazione con Turchia, Tunisia e Libia sui principali dossier di interesse comune tra i quali la cooperazione di polizia e la lotta al terrorismo, la criminalità organizzata e l’immigrazione irregolare.
Abbiamo condiviso la necessità di un approccio concreto e pragmatico al fenomeno migratorio che, superando un’ottica esclusivamente securitaria, contribuisca a rimuovere le criticità, anche di natura sociale ed economica.
Ho già in programma ulteriori missioni in Egitto e Costa d’Avorio finalizzate ai medesimi obiettivi.
Voglio evidenziare, in tale contesto, il recente incontro con il mio omologo francese, dal quale ho raccolto una forte volontà di lavorare con l’Italia su dossier di interesse comune, tra i quali la realizzazione di missioni congiunte in paesi di fondamentale importanza come Tunisia e Libia.
A livello europeo, grazie all’efficace azione del nostro Presidente del Consiglio, intravediamo i primi significativi cambiamenti di prospettiva.
In tal senso, le conslusioni dell’ultimo Consiglio europeo del 9 febbraio rappresentano un cambio di paradigma, atteso che per la prima volta si riconosce che la questione migratoria “è una sfida europea che richiede una risposta europea”.
Prendiamo atto di questi sviluppi incoraggianti, ma nei prossimi appuntamenti europei lavoreremo perché tali affermazioni di principio si traducano in politiche unionali coerenti, con misure concrete e impegni vincolanti per gli stati membri.
Nel recente incontro dei paesi del Med5, tenutosi a Malta il 3 e 4 marzo scorsi, con i miei colleghi di Spagna, Grecia, Cipro e Malta abbiamo convenuto, nella dichiarazione congiunta adottata al termine del vertice, tra l’altro, che il nostro comune impegno è quello di intensificare gli sforzi per prevenire la migrazione irregolare, al fine di evitare la perdita di vite umane in mare, nonché lo sfruttamento dei migranti da parte dei trafficanti.
Sul piano nazionale, abbiamo rafforzato i canali legali di ingresso dei migranti e intendiamo ulteriormente valorizzare strumenti importanti quali l’introduzione a livello nazionale di quote privilegiate di ingresso nel decreto flussi a beneficio dei paesi più collaborativi nella lotta all’immigrazione illegale e nell’attuazione dei rimpatri.
Con l’ultimo decreto Flussi sono stati programmati circa 83 mila ingressi regolari per motivi di lavoro, a soli due mesi dall’insediamento del governo. I precedenti decreti Flussi avevano ammesso, nel 2021, 69.700 ingressi e, nel 2020, 30.850.
Sono, questi, dati incontrovertibili che testimoniano l’impegno del governo per favorire l’immigrazione regolare in modo da renderla proficua sia per i migranti sia per il sistema produttivo nazionale e la società italiana.
Abbiamo intenzione di proseguire in questa direzione, rafforzandone gli strumenti e semplificando gli aspetti procedurali.
Sul versante umanitario, continueremo e potenzieremo anche le iniziative in atto relative ai corridoi d’ingresso umanitario, alle evacuazioni umanitarie e ai programmi di reinsediamento, che hanno sempre visto l’Italia in prima fila nella tutela delle persone vulnerabili.
Il governo, sin dal suo insediamento, ha intensificato i corridoi migratori legali, portando in Italia 617 persone, un numero mai registrato in un così breve lasso di tempo.
Nella stessa direzione, il nostro Paese si è impegnato, tra l’altro, ad accogliere, in accordo con la Commissione Europea, 1.481 persone, entro il primo semestre del 2023 (in particolare 981 afghani da Iran e Pakistan e 500 persone dalla Libia). Nell’ambito delle ammissioni umanitarie, ulteriore impegno programmato, sempre per il 2023, è quello di accogliere altre 850 persone. Vengo alle conslusioni.
Quella di Cutro è una tragedia che ci addolora profondamente, anche sul piano personale, e la dinamica dei fatti conferma la sua dipendenza diretta dalla gestione criminale di trafficanti senza scrupoli che non esitano a sacrificare la vita altrui per biechi profitti personali, come il racconto dei sopravvissuti ha chiaramente messo in evidenza.
Lo ricordo, gli scafisti:
hanno tenuto nascosti i migranti sottocoperta per tutta la traversata, in condizioni disumane;
hanno utilizzato, con ogni probabilità, un dispositivo in grado di inibire la trasmissione e la ricezione di onde radio;
hanno scelto di sostare molte ore davanti alle coste calabresi per sbarcare di notte ed evitare di essere intercettati dalle forze dell’ordine;
hanno cercato di sbarcare in un luogo isolato, anziché in un porto dove i migranti avrebbero potuto ricevere soccorso;
sentendosi minacciati, hanno compiuto una virata azzardata che ha determinato il naufragio.
Alla gravità di questa condotta criminale facevo riferimento quando, con commozione, sdegno e rabbia e negli occhi l’immagine straziante di tutte quelle vittime innocenti, ho fatto appello affinché la vita delle persone non finisca più nelle mani di ignobili delinquenti, in nessun modo volendo colpevolizzare le vittime.
Mi dispiace profondamente che il senso delle mie parole sia stato diversamente interpretato.
La sensibilità e i principi di umana solidarietà che hanno ispirato la mia vita personale, sono stati il faro, negli oltre trent’anni al servizio delle istituzioni e dei cittadini, di ogni mia azione e decisione.
Sono questi i valori che mi hanno guidato quando mi sono dovuto confrontare con l’accoglienza e l’integrazione di persone vulnerabili, con la salvaguardia di posti di lavoro, con il sostegno a persone in difficoltà e il soccorso in occasione di calamità.
Penso che su una cosa siamo tutti d’accordo.
Se vogliamo evitare che chi scappa da guerre, persecuzioni e povertà affidi la sua vita a trafficanti di esseri umani, dobbiamo scardinare il business dell’immigrazione illegale attraverso politiche sempre più efficaci di contrasto in qualsiasi direzione necessaria.
In questo senso, combattere gli scafisti ed i loro fiancheggiatori è indispensabile.
Non possiamo rassegnarci, e non lo faremo, all’idea che i flussi migratori siano gestiti da criminali senza scrupoli, né all’accettazione passiva di una migrazione senza regole, principale causa delle tragedie in mare.
Vi ringrazio per l’attenzione.
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