A naufragare una barca a vela partita dalle coste turche. Tra i superstiti una bambina di 13 anni. I volontari: «È un naufragio drammatico». I migranti hanno assistito alla morte dei loro cari
C’è un viavai di gente al Porto delle Grazie di Roccella Jonica. Dalla mattina di lunedì 17 giugno i cancelli sono stati spalancati per lasciar passare le otto ambulanze che hanno cercato di soccorrere i superstiti dell’ultimo naufragio avvenuto tra le coste italiane e greche. C’è stata una grandissima tensione e nonostante il caldo nessuno degli operatori ha smesso un attimo di lavorare per stabilizzare la situazione. «Siamo abituati agli sbarchi, qui», dicono i volontari della Croce rossa locale Riviera dei Gelsomini, che sono stati operativi fin dalle prime ore dell’alba. «Ma una cosa del genere raramente l’abbiamo vista. È terribile, è l’ennesima tragedia».
Sono 12 i superstiti portati a terra dalla guardia costiera, e tra loro c’è una ragazzina di 13 anni che tra le onde ha perso la mamma e il papà. A naufragare è stata una barca a vela partita delle coste della Turchia. Probabilmente a bordo c’erano oltre 70 persone, e sarebbe stato proprio il sovraccarico a compromettere la stabilità dell’imbarcazione fino a farla affondare.
Di tutti i passeggeri, solo 12 sono stati salvati, mentre almeno 66 persone risultano disperse, tra cui 26 bambini. «La scena era straziante, davanti a noi persone traumatizzate, il dolore si toccava con mano», ha raccontato Shakilla Mohammadi, mediatrice interculturale di Medici senza frontiere. «Vedere annegare un parente o un amico è sempre orribile».
«Quando sono arrivati a terra, i naufraghi erano in condizioni critiche », racconta una delle volontarie della Croce Rossa, «avevano ferite alla testa, contusioni alle gambe, erano zuppi d’acqua e senza respiro. Abbiamo cercato di stabilizzare tutti, ma tre erano in condizioni più gravi». Quando intorno alle 10.45 la motovedetta della guardia costiera ha portato a terra le 12 persone salvate, c’era anche una donna la cui situazione è apparsa subito molto grave. «Hanno chiamato l’elisoccorso», ci racconta Giuseppe Mazzaferro, giornalista della testata locale Tele Mia che è accorso immediatamente al porto, «ma, intanto che sono arrivati, la donna è morta».
Da Smirne all’Europa
Il naufragio è avvenuto a circa 120 miglia al largo, e infatti ci sono volute cinque ore per raggiungere le coste italiane. Una corsa contro il tempo, anche perché tra i naufraghi c’era anche una donna incinta. «Si temeva che la gravidanza potesse essere stata compromessa», spiega il team medico, «ma fortunatamente è in discrete condizioni di salute».
Quando sono arrivati, una volta messi i piedi sulla terra ferma, i migranti si sono abbandonati tra le braccia dei soccorritori. «Erano increduli di essere vivi, hanno visto morire parenti e amici. Sono sotto shock», ci racconta ancora il giornalista Mazzaferro. Questa mattina presto a Roccella Jonica è arrivata anche la squadra di psicologi di Medici senza frontiere, per aiutare i superstiti ad affrontare l’incubo che hanno vissuto. Andranno anche in ospedale a Locri, dove sono ancora ricoverate due persone.
La barca era partita 8 giorni fa dalle coste di Smirne e se non fosse affondata, probabilmente sarebbe comunque arrivata a Roccella Jonica. È dal 2021 che al Porto delle Grazie arrivano migranti dalla rotta turca. A volte è stata la guardia costiera a condurre le imbarcazioni in porto, altre volte gli sbarchi sono stati autonomi, sempre lungo la costa jonica, tra Siderno e Caulonia.
Ancora oggi, mentre Croce rossa e Msf lavorano tra le strutture di prima accoglienza, si possono vedere tre barche a vela, abbandonate dopo la lunga traversata tra la Turchia e l’Italia. In questi due anni le carrette di legno sono state tutte distrutte, ma quelle no, sono rimaste ormeggiate sul lato di una delle banchine, come simbolo di una rotta finora poco battuta rispetto a quella del Mediterraneo centrale ma che, in realtà, sta crescendo. I migranti erano tutti di nazionalità afghana, irachena, siriana e iraniana, arrivati sulla costa di Smirne perché è proprio lì che si è sviluppato il business dei viaggi “a lunga percorrenza”.
La via dei bambini
Una volta in Turchia, i migranti possono scegliere di attraversare il confine bulgaro e risalire lungo la rotta balcanica, oppure possono pagare per un viaggio via mare. Lungo e più costoso ma più facile rispetto alla rotta che risale tutti i Balcani. È per questo che sono spesso le famiglie, le donne con i bambini, i più fragili, insomma, a scegliere questa via. Credendo che sia più sicura, anche se spesso non è così, come questa volta. A bordo, secondo le prime testimonianze, c’erano donne con bambini di pochi mesi.
Le barche a vela sono messe a disposizione dai trafficanti che vendono il tragitto a un costo a seconda del tipo di imbarcazione. I caicchi hanno un costo minore, mentre le barche in vetroresina sono considerate di lusso e quindi vendute a un prezzo molto più alto.
Peccato, però, che di lussuoso non ci sia nulla, e che in una barca omologata per 13 persone ne vengano stipate a forza tra i 60 e i 70 per almeno una settimana. Anche sulla barca affondata, probabilmente, ce n’erano tante ma i corpi non sono ancora stati trovati. La guardia costiera italiana li sta cercando, ma non oltre le 100 miglia dalle coste italiane, perché poi si sconfina in zona Sar greca. Potrebbe essere la guardia costiera di Atene, dunque, a recuperare i corpi dell’ennesima tragedia in mare, ammesso che riemergeranno mai.
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