- Il comandante della capitaneria di porto di Crotone ha spiegato che la Guardia costiera sarebbe stata in grado di intervenire, ma che la ragione del mancato intervento sta nei «piani operativi» e negli «accordi ministeriali».
- Effettivamente, situazioni come quella che si è venuta a creare di fronte alle coste di Cutro vengono normalmente valutate da un’articolazione del ministero dell’Interno, che gestisce gli eventi migratori.
- È quell’ufficio che stabilisce la natura dell’evento (nel caso specifico, un’operazione di polizia e non di salvataggio), con l’avallo del comando generale delle capitanerie di porto, al ministero dei Trasporti.
La Guardia costiera sarebbe potuta intervenire per salvare il peschereccio carico di migranti naufragato davanti alle coste calabresi. A dirlo è il comandante della capitaneria di porto di Crotone, Vittorio Aloi: «Le nostre motovedette avrebbero potuto navigare anche con mare forza otto». E allora perché non sono uscite prima del naufragio? La ragione va cercata nella catena di comando della Guardia costiera.
L’ente dipende ufficialmente dal ministero dei Trasporti, guidato da Matteo Salvini, che ha già difeso «chi da sempre, tra enormi sforzi e sacrifici, salva vite umane».
Ma la ricostruzione di quel che è successo nella notte tra sabato e domenica non è così semplice. Il governo, per il momento, vuole che sia la magistratura a stabilire eventuali responsabilità, come ha ribadito più volte il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, audito ieri in commissione Affari costituzionali alla Camera.
Il titolare del Viminale si è detto disponibile per un’informativa di fronte all’aula sulla vicenda di Cutro, ma invita a «lasciar lavorare la magistratura», la «sede più giusta per individuare responsabilità, se ce ne fossero». Il ministro ha anche ribadito il fatto che «l’assetto aereo Frontex che per primo ha individuato l’imbarcazione dopo le 22 del 25 febbraio a 40 miglia nautiche non aveva segnalato situazioni pericolose o di stress a bordo, evidenziando la presenza di una sola persona sopra coperta e altre sotto coperta e una buona galleggiabilità».
Insomma, per Piantedosi non c’era ragione di inviare una motovedetta per effettuare un salvataggio. Questo nonostante il controammiraglio Nicola Carlone, oggi ammiraglio ispettore capo responsabile del Comando generale delle capitanerie di porto al ministero dei Trasporti, audito nel 2017 dal comitato parlamentare di vigilanza in materia di immigrazione, avesse già spiegato chiaramente in quell’occasione che il solo fatto di individuare un barcone di migranti doveva comportare automaticamente un salvataggio, considerate le caratteristiche tipicamente insicure di questo genere di imbarcazioni.
«Risulta pertanto evidente che una nave con centinaia di persone a bordo non possa essere abbandonata alla deriva, per di più priva delle più elementari condizioni di sicurezza, sovraccarica, senza un equipaggio professionale, né idonee attrezzature e strumenti di navigazione. Un tale comportamento infatti metterebbe a rischio non solo la vita dei migranti, ma anche la sicurezza della navigazione in genere. Ciò indipendentemente dal fatto che in una situazione di potenziale pericolo per la vita umana in mare si è in presenza di una situazione che impone di adempiere prioritariamente all’obbligo universalmente riconosciuto di prestare immediata assistenza e far sbarcare quanto prima dette persone in un luogo sicuro».
Regime di codecisione
Agli elementi raccolti da Frontex si aggiunge il fatto che l’imbarcazione non aveva fatto richiesta d’aiuto. In mancanza di una chiamata di S.o.s., a decidere è un’articolazione del ministero dell’Interno, che sceglie anche che porto assegnare per lo sbarco.
«Sarebbe troppo lungo specificare quali sono le nostre regole di ingaggio e non si possono fare in sintesi anche perché sono spesso regole che non promanano dal ministero a cui appartengo, promanano da quello dell’Interno. È una ricostruzione molto complessa» dice ancora Aloi.
La ragione della complessità sta proprio in questo regime di codecisione: il potere di gestire la situazione degli eventi migratori viene delegato al Viminale dal ministero dei Trasporti, a cui la Guardia costiera risponde e che attraverso il centro operativo del comando generale delle capitanerie di porto deve avallare la decisione dell’Interno.
Sabato notte è stato deciso di comune accordo di classificare la situazione dando priorità all’operazione di polizia piuttosto che a quella di salvataggio. Di conseguenza, a tentare di raggiungere l’imbarcazione sono state due motovedette della Guardia di finanza, non la Guardia costiera in un’operazione Search and rescue (Sar).
«Bisogna riferirsi ai piani, operativi, agli accordi ministeriali che ci sono», dice Aloi per motivare la scelta della Guardia costiera, a cui la Guardia di finanza, di ritorno, ha detto di non uscire. Se a decidere però sono due ministeri insieme, una frase del genere può essere riferibile sia al ministro dell’Interno Piantedosi che al collega dei Trasporti Salvini.
Se anche i ministri non fossero stati coinvolti personalmente sabato notte, le responsabilità di comando generale delle capitanerie di porto e articolazioni del Viminale ricadono comunque sui titolari dei ministeri: lo determina l’articolo 95 della Costituzione.
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