Colpita la cosca Tripodi, storica famiglia criminale insediata in regione. Accusata una religiosa che portava messaggi ai detenuti. Sotto inchiesta anche l’ex consigliere comunale meloniano Acri per concorso esterno. Aveva patteggiato per corruzione con Fidanza
Ci sono gli affiliati della cosca dei Tripodi: città d’origine Vibo Valentia ma da anni in pianta stabile in Lombardia, nel Bresciano. Ci sono i politici: l’ex consigliere comunale di Castel Mella Mauro Galeazzi, in quota Lega, e Francesco Acri di Fratelli d’Italia, che fino a giugno 2021 sedeva nel consiglio comunale di Brescia.
La sua storia si è intrecciata con quella del capodelegazione del partito di Meloni al parlamento europeo, Carlo Fidanza (non coinvolto), per un giro di corruzione, che nulla ha a che fare con questa indagine, che si è concluso per entrambi con il patteggiamento. Ci sono imprenditori e poi c’è una anche suora, Anna Donelli, che si sarebbe messa a «disposizione del sodalizio per garantire il collegamento con i sodali detenuti in carcere», come si legge nelle carte dell’inchiesta.
La procura antimafia di Brescia ha coordinato una vasta operazione contro la ‘ndrangheta: 25 le misure cautelari e 1,8 i milioni di euro sequestrati. I reati contestati vanno dall’associazione mafiosa al concorso esterno, dalle estorsioni al traffico di armi e stupefacenti, fino all’usura con interessi fino al «600 per cento su base annua» e a illeciti tributari. «Un radicamento mafioso viscido», lo ha definito il procuratore capo di Brescia Francesco Prete.
«Gli sparo in faccia»
Al vertice della locale bresciana c’era Stefano Terzo Tripodi. Qualifica: «Santista», una delle doti di più alto livello nella ‘ndrangheta. Era lui che intratteneva i rapporti con altre importanti famiglie mafiose. Nel 2018 è stato coinvolto nel piano – messo a punto nel dicembre di quell’anno – di far fuori Marcello Bruzzese, fratello del collaboratore di giustizia Biagio, attivandosi poi «per distruggere elementi di prova compromettenti». Per quei fatti solo due giorni fa la Cassazione ha confermato gli ergastoli per Francesco Candiloro e Michelangelo Tripodi.
La violenza è un denominatore comune. Come quando chiedeva ad alcuni soggetti soldi per la protezione offerta: «Vi faccio fuori hai capito? Voi non mi avete mai visto cattivo», si legge nelle carte dell’inchiesta. O come quando minacciava esponenti degli Zacco di Palermo che si erano attivati per un recupero crediti nei confronti di alcuni imprenditori orbitanti nella galassia dei Tripodi: «Gli ho detto “adesso scavate le buche e vi infiliamo lì dentro”».
Ognuno all’interno del clan aveva un proprio ruolo: chi fungeva da prestanome, chi lavorava al recupero crediti, chi riciclava denaro e chi installava sistemi di vigilanza per eludere i controlli.
Acri, tra camici e FdI
Tra gli arrestati per «concorso esterno» c’è anche Francesco Acri, dal 2018 al 2021 consigliere comunale di Brescia in quota Fratelli d’Italia. Dalle carte è emerso come Acri abbia incontrato «in diverse occasioni Tripodi». Nei confronti della cosca metteva «a disposizione la propria attività di medico», come quando ha curato «una persona che aveva partecipato, insieme a Francesco Tripodi, a una rapina», quando il figlio del boss era latitante.
In alcune conversazioni emerge poi come Acri «abbia richiesto e ottenuto dalla famiglia un intervento per problematiche insorte riguardo all’apertura di un centro per migranti che Acri intendeva aprire in Calabria». In quella circostanza Tripodi jr. afferma: «Non gli hanno sparato (ad Acri, ndr) perché gli ha detto che conosce mio padre». O come quando, discutendo «di una terza persona cui hanno ucciso il padre, riferisce di essere a disposizione per dare una mano, lasciandosi poi andare a insulti al procuratore della Repubblica di Catanzaro» Nicola Gratteri, ora a Napoli.
Una vicinanza, quella tra Acri e i Tripodi, confermata dagli stessi indagati intercettati a dialogo con l’altro politico coinvolto, Mauro Galeazzi, accusato di scambio politico-mafioso perché «finanziato tramite canali non istituzionali» in cambio di favori. Per «fare soldi con gli appalti». Chiedendo all’ex consigliere comunale leghista di Castel Mella se conoscesse Acri, Tripodi gli dice: «Lui è calabrese, è dei nostri. Se tu ti strofini con lui un pochettino… mangiate la stessa politica... ti presento io... ti farà conoscere... puoi fare una bella politica».
Ma Acri non è nuovo nelle vicende giudiziarie lombarde e in quelle interne a FdI. Il suo nome è legato a Carlo Fidanza. Le loro storie si sono incrociate nel 2021, il 25 giugno, quando Acri si è dimesso dal consiglio comunale bresciano. Secondo le accuse, sarebbe stato Fidanza a «promuovere» le sue dimissioni per favorire un esponente della sua corrente, Giangiacomo Calovini, ora deputato ma che nel 2018 era stato il primo tra i non eletti. In cambio del passo indietro, secondo i pm, Acri avrebbe ottenuto l’assunzione del figlio Jacopo come assistente dell’europarlamentare. Per questi fatti entrambi hanno scelto di patteggiare.
Tra i nomi coinvolti nell’inchiesta c’è poi suor Anna Donelli, anche lei accusata di concorso esterno. Le carceri le frequentava da anni, ufficialmente per dare assistenza spirituale ai detenuti, tanto che era stata anche premiata con il Panettone d’oro per il volontariato. Ma, secondo gli inquirenti, la religiosa avrebbe stretto con i Tripodi un vero e proprio «patto» che consisteva nel veicolare i messaggi della cosca dentro e fuori il carcere. E all’interno degli istituti si presentava spesso come «l’amica di Stefano (Tripodi, ndr)».
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