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L’europarlamentare meloniano e l’onorevole Calovini rischiano il processo. E le nuove carte dell’inchiesta imbarazzano (politicamente) anche la premier. I presunti rapporti di Acri con la criminalità organizzata
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L’indagato Calovini in una chat: «Acri si è dimesso con piccole contropartite che sono state benedette in due incontri in via della Scrofa alla presenza dei massimi dirigenti nazionali. Giorgia sapeva tutto»
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L’attuale ministro Santanché provò a fermare le dimissioni di Acri volute dai compagni di partito. Il messaggio di Fidanza all’attuale sottosegretario all’Interno Wanda Ferro per la candidatura di Acri alle regionali in Calabria
C’è una storia giudiziaria, apparentemente minore, che da qualche giorno sta creando preoccupazioni dentro Fratelli d’Italia e più di un malumore alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni. E – si scopre ora – pure nelle stanze del ministro del turismo Daniela Santanché. La vicenda è nota, e riguarda la conclusione delle indagini della procura di Milano (che ipotizza il reato di corruzione) sul fedelissimo della premier Carlo Fidanza, il neo deputato Giangiacomo Calovini e Giuseppe Romele, ex vice coordinatore in Lombardia di Fdi da poco rientrato in Forza Italia.
Secondo i magistrati Giovanni Polizzi e Cristiana Roveda, coordinati dal procuratore aggiunto Maurizio Romanelli, nel 2021 i tre maggiorenti di Meloni si sarebbero adoperati per ottenere le dimissioni di un consigliere comunale di Brescia, il medico calabrese Giovanni Francesco Acri, anche lui di Fdi e anche lui indagato. Dimissioni che hanno permesso al primo dei non eletti, cioè lo stesso Calovini, di prendere il suo posto a Palazzo Loggia.
Secondo l’accusa quest’ultimo aveva bisogno della poltrona per poter poi ambire a una candidatura alle elezioni politiche: la strategia di Meloni era infatti quella di mettere in lista dirigenti del partito con esperienze sul territorio. Per colpa della vittoria di Acri, Calovini rischiava di perdere il treno verso Montecitorio.
D’accordo con il suo mentore politico Fidanza, eurodeputato appena archiviato nell’inchiesta sul presunti finanziamenti illeciti e riciclaggio «per mancanza di prove», Calovini avrebbe così convinto Acri a lasciargli la poltrona, ma solo alla fine di una lunga «trattativa economica». Conclusasi con l’abbandono del calabrese e la contemporanea assunzione del figlio Jacopo da parte di Fidanza come suo «assistente locale». Con un contratto da 800 euro lordi «che risulta essere vicino, se non paritetico» scrivono gli inquirenti secondo cui la presunta corruzione viene effettuata usando i soldi del parlamento europeo «al compenso medio percepito dai membri del consiglio comunale di Brescia».
«Acri l’è un mafius!»
Alla incriminazione della procura Fidanza risponde così a Domani: «È una vicenda che va contestualizzata in un più ampio accordo di natura politico e non certamente di tipo corruttivo. Una volta esaurito l’esame degli atti valuterò l’opportunità di farmi sentire dai pubblici ministeri per chiarire definitivamente i fatti». L’europarlamentare dovrà certamente chiarire come mai ha assunto un ragazzino di 17anni come suo collaboratore, fatto che stride «con lo status di scolaro» dice l’informativa della Guardia di Finanza «rivestito dal ragazzo il quale, nel giugno del 2021, frequentava ancora il quarto anno superiore presso l’istituto tecnico agrario statale di Brescia. Lo stesso è poi privo di patente di guida».
Qualche giorno fa il Corriere, poi, ha dato conto che anche Meloni è citata nelle chat di uno degli indagati: l’onorevole Calovini, in un messaggio del 26 giugno 2021 al gruppo denominato “Ristretto vecchia Guardia”, spiega infatti che della trattativa avvenuta con Acri «Giorgia sa tutto». Leggendo tutto l’incartamento degli inquirenti, però, altre chat e conversazioni fanno ipotizzare come «l’Operazione Acri» (come la chiamano gli stessi indagati) possa essere davvero avvenuta con «la benedizione dei vertici del partito».
La Finanza inserisce infatti nelle carte un prospetto dettagliato delle varie fasi salienti che hanno portato «alla realizzazione dell’accordo». I fatti iniziano nel 2018, quando a Brescia viene eletto, come unico consigliere di Meloni, lo sconosciuto Acri. Subito partono «divergenze e malumori da parte di Calovini», compagno di partito di Acri ma risultato primo dei non eletti».
Gli investigatori riportano «i commenti ironici sulle frequentazioni di Acri con esponenti della malavita». Come quello «di Stefano Quarena (anche lui uomo di Fdi in Lombardia, ndr) che in un messaggio esclama “ma Acri l’è un mafius!”». E quello dello stesso Calovini, che afferma nella stessa chat come «hanno costruito tutto a un tavolo con Romele, Acri e qualche membro della criminalità organizzata». Alcuni amici di Acri smentiscono tutto a chi scrive, sottolinenando che il medico è incensurato, seppure la Gdf segnala come dagli atti di un altro procedimento penale «è risultato che al matrimonio (di Acri) fossero presenti anche esponenti della malavita locale calabrese radicati sul territorio bresciano. È da qui che iniziano già i propositi di avvicendamento di Acri».
Spunta il vitalizio
Sia come sia, i sodali Fidanza e Calovini decidono di muoversi davvero solo con l’avvicinarsi delle politiche. Chiedendo la mediazione anche a Romele, il quale avrebbe dato prova «di adesione concreta alla corrente interna di Fidanza, in contrapposizione a quella capeggiata dalla senatrice Santanché» chiosa l’informativa «Beneficiando anch’egli di vantaggi, che prevedevano la sua nomina a coordinatore cittadino e vice coordinatore regionale del partito».
Fidanza secondo gli investigatori è l’ideatore dell’accordo, ed ha avallato tutta l’operazione. «Insieme ai vertici del partito, come rilevato dallo stesso Calovini». In un messaggio di febbraio 2021, l’europarlamentare dice: «Se serve per levarlo dai coglioni, sono disponibile a dargli un vitalizio di mille auro al mese fino a fine legislatura. Magari mettendo sotto contratto non lui, ma uno che lui ci dice per agevolare la fuoriuscita».
Qualche giorno dopo, il 5 marzo, Fidanza e Calovini (secondo le chat) vanno a Brescia per un «pranzo molto riservato a casa di Romele». Calovini avverte la sua segretaria, che risponde: «Questo messaggio si autodistruggerà in 10 secondi». Calovini, ironico: «Così tanto? Se viene accompagnato da qualcuno dovremo poi freddarlo nelle campagne bresciane per non farlo parlare!!». Ad aprile le chat e i tabulati ricostruiscono altri incontri del gruppetto, dove sarebbero «messi a punto i dettagli dell’operazione», e la decisione di Fidanza di contrattualizzare il figlio del dimissionario.
Non è tutto. Il 22 aprile il neodeputato meloniano, il calabrese considerato dallo stesso vicino alla criminalità organizzata e Romele fanno «la prima trasferta a Roma. Dove Calovini ottiene pure che Fidanza invii un messaggio all’onorevole Wanda Ferro (maggiorente della Meloni in Calabria e attuale sottosegretario all’Interno, ndr) al fine di sottoporle la candidatura di Acri per le elezioni regionali calabresi previste per l’ottobre 2021». Candidatura, va detto, che non si sostanzierà.
«La benedizione dei vertici»
Il 27 maggio 2021, a pochi giorni dalle dimissioni poi giustificate dal medico per «motivi personali», gli investigatori segnalano una seconda trasferta nella Capitale da parte di Calovini ed Acri. Destinazione via della Scrofa, sede nazionale di Fratelli d’Italia. È lì, si legge nell’informativa, che l’ “Operazione Acri” «come si rileva da un messaggio inviato a vari interlocutori da Calovini sarebbe stata avallata dai massimi vertici del partito».
Calovini in effetti scrive sul gruppo dei suoi amici e militanti: «Qualche dettaglio in più: la trattativa sulla Loggia, che molti di voi conoscevano, parte da lontano su oggettiva intuizione di Romele e Maffoni (probabilmente Giampietro, anche lui appena rieletto senatore, ndr). Ovvio che Acri si è dimesso con due o tre piccole contropartite che sono state “benedette” in due incontri a Via della Scrofa alla presenza dei massimi dirigenti nazionali. Giorgia sapeva tutto».
Abbiamo chiamato Palazzo Chigi per chiedere se l’onorevole millanti; per sapere chi sono i dirigenti nazionali che avrebbero incontrato gli indagati; e soprattutto se davvero Meloni sapesse qualcosa dell’accordo che ha portato alle dimissioni di Acri e all’assunzione del figlio minorenne nello staff del fedelissimo Fidanza, oppure se tutto è stato fatto a sua insaputa dai suoi uomini. L’ufficio stampa della presidente del Consiglio non ci ha finora dato risposte.
Il tentativo della Santanché
Torniamo alla cronologia del “Piano Acri”. Il 21 giugno 2021 la Santanché, al tempo coordinatore regionale del partito e oggi ministro del Turismo, scopre che Acri si vuole dimettere dal consiglio comunale. Così gli invia messaggi e lo chiama al telefono, chiedendogli i motivi. «Acri risponde al messaggio della Santanché, che a sua volta lo ammonisce a diffidare delle promesse altrui», scrive la Gdf.
Possibile che la Santanché (non indagata) conoscesse a quel punto le «promesse» date al consigliere uscente e i contenuti dell’accordo che i pm considerano corruttivo? «No, non sapevo nulla. Io ho contattato Acri quando ho saputo che si voleva dimettere. Lui mi disse che lo faceva per motivi personali. Sia chiaro che io non ero politicamente vicina ad Acri. Semplicemente come coordinatore regionale del partito avevo il dovere di capire perché l’unico consigliere che avevamo a Brescia volesse lasciare».
Il «tentativo estremo da parte della senatrice Santanché» si legge ancora nell’informativa «di convincere Acri a desistere dalle sue intenzioni» non ha successo. Calovini viene a sapere della mossa della sua coordinatrice («La Santa ha chiamato gli amici di Acri per dirgli che non deve dimettersi», dice alla sua segreteria, che risponde: «Na, che zoccola»), ma il 25 giugno finalmente il medico si dimette dal consiglio comunale. Solo dopo aver ricevuto da Calovini, «pochi minuti prima» delle dimissioni ufficiali, una copia del contratto di assunzione del figlio da parte di Fidanza.
A settembre 2021 la Gdf segnala una trasferta milanese del giovane Jacopo per il comizio elettorale di Meloni, mentre il 29 giugno 2022 c’è la discovery dell’inchiesta giudiziaria con la perquisizione degli uffici di Acri. Calovini chiama Romele lo stesso giorno e dice: «È un accordo chiaramente politico, fatto alla luce del sole». I magistrati non sono d’accordo. E ha differenza dell’inchiesta Lobby Nera dove non hanno trovato prove, puntano al processo per tutti gli indagati.
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