Ha scoperto la strada per il successo a 28 anni, sfiderà la numero 1 al mondo, Iga Swiatek, nata in Polonia come sua madre. Ha un nonno materno ghanese, è nata in Toscana e nell’ultimo anno ha scalato la classifica: lunedì sarà almeno al numero 7. L’Italia ha in finale a Parigi anche un doppio maschile (Bolelli-Vavassori) e può portare il doppio femminile, con Errani e la stessa Paolini
Da piccola Jasmine Paolini non pensava al futuro. Aveva uno sguardo più semplice, più semplice e raffinato allo stesso tempo. Giocava perché si divertiva. Tutto qua. Ha cominciato a pensare che il tennis potesse diventare il suo lavoro solo quando è stata chiamata per la prima volta al centro federale di Tirrenia.
Ora questa outsider di 28 anni è arrivata alla finale del Roland-Garros, dodici anni dopo l'ultima volta di Sara Errani e a quattordici di distanza dal successo storico di Francesca Schiavone. Esiste ancora con Sinner la possibilità di aggiungere un'altra finale azzurra a questa edizione. Se Jannik batterà lo spagnolo Alcaraz, si affiancherà a Simone Bolelli e Andrea Vavassori in corsa per il titolo nel doppio maschile, con la possibilità che Errani e ancora Paolini facciano lo stesso nel doppio femminile. Una faccenda impensabile solo un paio d’anni fa.
Un uomo e una donna dello stesso paese nelle due finali dei singolari di Parigi mancano dal 1998 (Moya e Corretja fra gli uomini, Arantxa Sánchez Vicario fra le donne per la Spagna), ma due singolaristi e due doppi in finale della medesima nazione non si vedono al Roland-Garros addirittura dal 1980, quando gli Usa piazzarono Vitas Gerulaitis contro Björn Borg, Chris Evert contro Virginia Ruzici, Kathy Jordan e Anne Smith contro le argentine Ivanna Madruga e Adriana Villagrán, Victor Amaya e Hank Pfister contro un terzo americano Brian Gottfried in coppia col messicano Raúl Ramírez.
Chi è Jasmine Paolini
Gli americani adesso siamo noi. Jasmine Paolini entrerà lunedì fra le prime 10 al mondo, settima o quinta dipenderà dall’esito della sfida semi-impossibile in finale contro la polacca Iga Swiatek, la numero 1, sulla terra irraggiungibile o quasi.
Paolini è nata a Castelnuovo di Garfagnana, cresciuta a Bagni di Lucca in un piccolo circolo, un circolo anomalo, dove si poteva fare confusione senza essere sgridati. Sua madre Jacqueline è polacca. Ha conosciuto il papà una volta che era venuta in Italia con sua cugina. Ha il nonno materno che viene del Ghana e un fratello che hanno chiamato William. È alta 1 metro e 63 e dice che non ha mai considerato l’altezza un problema, «altrimenti sarebbe un casino. Certo, essere più alta mi aiuterebbe con il servizio, ma non ci penso e faccio con quello che ho», ha detto una volta a La Stampa.
Si fa allenare da Renzo Furlan, ex azzurro rimasto per molto tempo ai margini del movimento. Qualcosa è scattato l'anno scorso, fra il torneo di Cincinnati e quello in Canada. Paolini aveva appena fatto soffrire Kvitova a Wimbledon, una specialista dell'erba, si è convinta di non essere poi così male, ha iniziato a cercare soluzioni fantasiose anche contro avversarie che non credeva di poter battere.
Non aveva mai giocato la semifinale di una Slam, e neppure la sua avversaria, al russa Mirra Andreeva. Solo che Mirra è una diciassettenne, ha gestito peggio il peso della tensione, ha giocato la seconda metà del secondo set quasi singhiozzando. Lo ha scritto Toni Nadal su El Pais: in un tennis nel quale tutti hanno a disposizione gli stessi materiali, le stesse statistiche e gli stessi saperi, vince chi sa controllare meglio le emozioni.
Che un pugno di italiane e italiani siano in cima proprio in questo momento è un enorme schiaffo agli stereotipi.
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