Era naturale che un rito così trasformasse alcuni pellegrini anche in cantori di un evento religioso e liturgico: da Dante a Petrarca, da Stendhal a Belli, da Pascoli a Oscar Wilde, per arrivare in epoca recente a Pasolini, Erri De Luca e a Mario Luzi. Nel Novecento è altresì logico che diventasse anche mediaticamente appetibile
«Arfine, grazziaddio, semo arrivati, all’anno santo! (…) Se leva ar purgatorio er catenaccio». Con questi versi il poeta Giuseppe Gioachino Belli, noto per la sua raccolta di sonetti in vernacolo romanesco e per la sua irriverenza, descriveva il clima del giubileo straordinario del 1832 indetto da papa Gregorio XVI.
Dall’anno della sua introduzione, il 1300, per volere di papa Bonifacio VIII (anche se le origini si ricollegano al passo del Levitico dove si sanciva un giubileo per il popolo ebraico, il cui avvio era proclamato da una tromba ricavata da un corno d’ariete che in ebraico è chiamato appunto yobel, da cui il termine giubileo), di pellegrini a Roma ne sono passati: Cimabue, Giotto e Dante furono gli illustri di quel primo anno santo.
Era naturale che un rito così trasformasse alcuni di quei pellegrini anche in cantori di quell’evento religioso e liturgico: da Dante stesso che ne ha lasciato traccia nel canto XVIII dell’Inferno a Petrarca, da Stendhal al già citato Belli, da Pascoli a Oscar Wilde, per arrivare in epoca recente a Pasolini, Erri De Luca e a Mario Luzi.
La svolta del 1900
Nel Novecento è altresì logico che diventasse anche mediaticamente appetibile, catturando l’attenzione dei mezzi di comunicazione di massa, in particolare del cinema e della televisione. Dal 1900 sono state infatti le immagini a raccontarlo, grazie a operatori (anche anonimi) che sono arrivati in piazza San Pietro da tutto il mondo.
I fotografi, nel giubileo del 1900, ad esempio non si lasciarono scappare l’occasione di immortalare i pellegrini che arrivavano dai vari paesi, negli abiti e costumi delle loro tradizioni nonché la figura dello stesso pontefice Leone XIII, anche per mostrare al mondo che il papa – anziano ed esile nella sua figura – era in salute, nonostante le dicerie che circolavano e che lo volevano ammalato e in punto di morte.
Per il giubileo ordinario del 1925, indetto da Pio XI, per la prima volta la facciata della basilica di San Pietro venne illuminata con un indiscutibile effetto scenografico; gli operatori ripresero la basilica, i pellegrini, la piazza ma non il protagonista, ovvero il pontefice, causando un danno al business delle case cinematografiche che speravano di realizzare e commercializzare un racconto accattivante dell’evento.
Pio XI proibì, infatti, le riprese della sua persona (il Pio XIII di Sorrentino non ha inventato nulla!) associando il cinema a una immoralità che andava fermata. Scelta invece impossibile da fare qualche anno dopo, per il giubileo straordinario del 1933, quando il pontefice ripristinò la cadenza calcolata sugli anni di Gesù.
Venne sfruttata l’inaugurazione di Radio Vaticana avvenuta due anni prima, nel 1931, progettata da Guglielmo Marconi, per dare al mondo la notizia dell’indizione dell’anno santo, annunciata da Pio XI nel radiomessaggio natalizio del 24 dicembre 1932.
Il cinema produsse inoltre una delle prime pellicole dedicate all’evento, Jubilaeum, curato dal comitato centrale per l’anno santo. Le sequenze mostrano una piazza San Pietro gremita di fedeli e una piccola novità: il passaggio del corteo papale attraverso la piazza, deroga al consueto rituale che invece prevedeva l’entrata del pontefice dall’interno della basilica.
Il giubileo 1950
Pochi invece si ricordano che fu il giubileo del 1950 il primo ad essere ripreso dalle telecamere della televisione, quando in Italia ancora il piccolo schermo era un apparecchio esotico. Nell’anno in cui la televisione pubblica italiana provava a organizzare dimostrazioni sperimentali di televisione, i quotidiani annunciavano invece in modo entusiasta la notizia della “televisione del papa”.
Una delegazione di ingegneri era stata infatti inviata dalla Francia per studiare l’installazione di un trasmettitore, offerto al pontefice dall’episcopato d’oltralpe in occasione dell’anno santo. L’assemblea dei cardinali e degli arcivescovi francesi aveva pensato di portare in dono al papa un trasmettitore televisivo.
Operazione non solo religiosa. Dietro tale operazione, il governo francese, che ne aveva appoggiato il progetto, vi si scorgeva strategicamente la possibilità di imporre lo standard ad alta definizione (819 linee) adottato dalla Francia, in un’industria che stava pian piano affermandosi. Il tentativo fallì perché gli altri paesi europei negli anni seguenti scelsero invece lo standard a media definizione, lasciando la Francia sola in quella scelta tecnologica.
Tuttavia, l’esperimento di dotare il Vaticano di una stazione televisiva fu estremamente interessante perché mise di fatto il piccolo stato nella condizione di essere tra i primi tre paesi in Europa a poter vantare un sistema televisivo.
Da Zeffirelli a Olmi
Il racconto del giubileo diventò talmente importante da decidere di affidarne la regia televisiva a “occhi” speciali: nel 1974/1975 a Franco Zeffirelli (a due anni dal suo Gesù televisivo) , che dovette fare i conti con l’esigenza di adattare un rito che per tradizione rimaneva ancora molto legato a una affermazione della monarchia papale e di innestarlo nella linea spirituale del concilio Vaticano II e con una mondovisione ormai globale.
Si facevano previsioni trionfalistiche del miliardo di telespettatori che avrebbero seguito in diretta l’evento, con l’idea di “battere” il record planetario toccato con la diretta dello sbarco sulla luna, come riportavano i giornali in quei giorni. Le telecamere non mancarono di registrare peraltro anche il fuorionda della caduta di piccoli calcinacci a pochi centimetri dal papa, e la nube di polvere generatasi, che produsse una generale apprensione trasmessa in mondovisione.
La «vocazione di grande orchestratore di atmosfere drammaturgiche» lo fece richiamare e curare la regia dell’apertura e della chiusura della Porta Santa per Raiuno per il Giubileo straordinario del 1983, compito che passò ad Ermanno Olmi per il Grande Giubileo del 2000 di Giovanni Paolo II, regia che segnò una svolta nei rapporti tra liturgia e televisione, tanto da parlare di regia teologica.
Se la regia dosò il commento parlato affidato alla giornalista Angela Buttiglione e il commento silenzioso delle immagini, le logiche della televisione entravano prepotentemente nel cerimoniale.
Oltre alla scrupolosa preparazione tecnica e a un’attenta regia liturgica, quello che però si è impresso nella memoria visiva di quella cerimonia – non senza qualche polemica – fu il piviale pontificio, reso così luminescente per l’utilizzo del lurex, un materiale sintetico e lucente usato di frequente in televisione per preparare gli abiti delle soubrette e dei ballerini.
L’ufficio delle celebrazioni liturgiche aveva dato mandato ai tessitori di Prato di cercare una stoffa per i paramenti papali che facesse risaltare e individuare immediatamente la figura del pontefice e al contempo valorizzasse proprio le riprese televisive, evitando rimpalli con le luci dei vari riflettori posizionati.
Gli stessi responsabili della Santa sede avevano compreso il doppio livello su cui si stava giocando quell’evento: rito reale da una parte e rito ripreso e trasmesso dall’altra. Aspettiamo, dopo l’assaggio del giubileo straordinario della misericordia del 2015, di vedere come sarà il racconto di questo rito millenario ai tempi di TikTok.
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