- I commentatori che non ti fanno capire un accidente di quel che accade, rivolgendosi direttamente col nome proprio all’atleta italiano, incoraggiandolo come se fossero in panchina ad allenarlo o meglio al bar del suo paese natale.
- La buffonata della Russia che partecipa come Comitato olimpico russo per condanne di doping – l’inno è un pezzo di Tchaikovsky. La Gran Bretagna che decide quando e come le pare quando essere Gran Bretagna e quando essere Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord, a seconda degli sport e degli eventi: esiste una nazionale di calcio olimpica della Gran Bretagna?
- Le Olimpiadi dell’anno dispari, come saranno, chissà, si fanno, non si fanno, si fanno senza pubblico, la bolla, alla fine si fanno, e sembra tutto uguale, perché ci siamo abituati a tutto nel parauniverso dittatoriale del virus.
I commentatori che non ti fanno capire un accidente di quel che accade, rivolgendosi direttamente col nome proprio all’atleta italiano, incoraggiandolo come se fossero in panchina ad allenarlo o meglio al bar del suo paese natale. La madre di Esosu “Fausto” Desalu, terzo staffettista della nostra 4x100, Veronica Desalu, nigeriana, non vuole essere intervistata dopo l’oro perché preferisce non lasciare sola la donna anziana cui fa da badante. L’assenza generalizzata della grafica a complicare il già difficile esercizio di impratichirsi in fretta e solo per un giorno, delle regole degli sport rari – o forse un molto poco nipponico omaggio allo spirito olimpico decoubertainiano: l’importante è partecipare, non vincere e tantomeno capire le regole o chi stia vincendo. La débâcle italiana negli sport di squadra e gli entusiasmanti exploit negli sport individuali; attendiamo analisi sociologica.
La seconda olimpiade on demand dopo quella di Rio 2016, fatta senza dubbio meglio di questa dalla Rai (giudizio di parte). La figlia di Bruce Springsteen che vince l’argento in una qualche disciplina equestre (ma è per via di Patti Scialfa – ex corista e moglie del Boss – che va a cavallo) e l’allenatore del pentathlon femminile tedesco che prende a pugni il cavallo della sua atleta, che viene quindi squalificata. L’oro iraniano nel tiro alla pistola (si chiama così?) che è anche un noto cecchino, presente nelle liste dei terroristi della Cia. Le accuse di doping a Jacobs, il campione dei cento metri e la medaglia più bella, la staffetta veloce dell’atletica leggera, vinta inusitatamente con il 50 per cento di bianchi alla partenza. L’Italia dell’integrazione, della multiculturalità, dei mille colori, della festa, dei trionfalismi, delle strumentalizzazioni, del tanto non cambia niente. Gli inglesi che si incazzano e sotto la foto di Tortu che vince la staffetta mettono in didascalia – sul Guardian – «altre medaglie per la Gran Bretagna».
Dove, cosa, come
La Gran Bretagna che decide quando e come le pare quando essere Gran Bretagna e quando essere Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord, a seconda degli sport e degli eventi: esiste una nazionale di calcio olimpica della Gran Bretagna? La buffonata della Russia che partecipa come Comitato olimpico russo per condanne di doping – l’inno è un pezzo di Tchaikovsky. Le commentatrici della finale di karate dell’italiano Busà che si augurano pareggi concordati e infortuni per gli avversari, e urlano come scalmanate anziché farci capire qualcosa delle arti marziali. In generale, l’attitudine di parlare dello sport X come se tutti lo conoscessero. L’impossibilità di capire davvero a che ora succede cosa, sempre la stessa. Gli stadi vuoti, i video live in diretta coi familiari del vincitore, lo zelo nipponico nel preparare gli stage delle performance, in special modo il tatami del karate, con gli steward sopraffatti dalla pila di quadratoni colorati che devono trasportare velocemente senza inciampare. Inciampano invece.
La cerimonia inaugurale in tono minore. La sabbia del beach volley troppo calda, quasi come quella dello spot della Pepsi. La Germania con le divise misteriosamente gialle. I completini molto Daft Punk dei ciclisti su pista, stilosissimi matti sospesi tra il passato eroico e “sporco” dello sport della “surplace” e i loro look retrofuturisti. La diatriba sui centimetri di carne femminile esposta, l’orrore dei costumi delle ginnaste, tutte con gli osceni brillantini, manco fossimo a una festa delle medie la domenica pomeriggio in discoteca – o forse lo siamo davvero. Gli inni, tutti uguali, musica classica europea, anche per gli stati centrafricani; colonialismo sonico.
La guerra fredda sportiva tra Cina e Stati Uniti vinta all’ultimo minuto dagli americani e la rivalità old school tra stati europei. I francesi che non fanno ricorso, vabbè. Il numero, per ora minuscolo, dei positivi al Covid tra le decine di migliaia di persone coinvolte nei giochi: 438. Il presidente dell’atletica leggera Stefano Mei ex-campione che fuori onda a microfoni dice a una giornalista: «Hai capito perché mi hanno fatto presidente? Perché so parlare». L’altro ex atleta Francesco Panetta, ora commentatore, dopo la vittoria della 4x100 dice che vuole tornare ad allenarsi. Il suo collega di Eurosport fa una battuta su quello che sembra un sacchetto di erba tra le mani di una giavellottista americana, ma sono brownies e Panetta non capisce la battuta, perché è un atleta, lui. Le atlete chiamate per nome proprio, gli atleti per cognome.
Italia mania
L’Italia mania in Giappone dopo le vittorie dell’atletica – tutti vogliono vestirsi come noi, dicono i nostri connazionali di laggiù. L’indiano Neeraj Chopra vince il primo oro nell’atletica per il suo paese, che ha 1,3 miliardi di abitanti, praticamente un settimo della popolazione mondiale. Il lottatore di sumo che è andato a spaventare i cavalli in una gara equestre. Il capitalismo, le nazioni povere, le donne degli altopiani africani, i cinesi agguerritissimi, i premi in natura: saltare il militare se si vince una medaglia.
Le Olimpiadi dell’anno dispari, come saranno, chissà, si fanno, non si fanno, si fanno senza pubblico, la bolla, alla fine si fanno, e sembra tutto uguale, perché ci siamo abituati a tutto nel parauniverso dittatoriale del virus. Le voci degli allenatori nelle dirette senza commentatori. Il record di medaglie per il Giappone, come sempre quando si organizza un’olimpiade. L’olimpiade a Roma che invece non si farà e vabbè, abbiamo problemi più gravi. Mario Draghi porta fortuna, Sergio Mattarella di più, è l’anno dell’Italia. Un botto di “negri” che vincono medaglie e che ora va bene che sono italiani, loro. Lo ius soli. L’immondizia culturale che è lo ius soli per meriti sportivi. Di nuovo la mamma nigeriana del velocista nero italiano. La squadra femminile di ginnastica ritmica italiana soprannominata “le farfalle”.
Lo sprint nel medagliere contro Olanda, Germania e Francia per la supremazia europea (avete voluto la Brexit? Manco vi calcoliamo più nelle classifiche). Arriviamo ultimi dopo Olanda, Germania e Francia per ori ma li surclassiamo per totale medaglie. E contano di più gli ori o il totale medaglie? L’enorme ciclica cazzata del pensare che l’Italia multietnica di Tokyo sia un “buon segnale”. Siamo multietnici da almeno due decenni nello sport e non è servito a un cazzo. Lo ius soli, il ddl Zan e i migranti in pericolo di vita che non vengono fatti sbarcare mentre vinciamo la 4x100 multietnica e integrata. I tweet dei politici sulle vittorie italiane. La speranza che Mattarella rimanga in qualche modo presidente almeno fino ai Mondiali del Qatar. I Mondiali del Qatar, tra poco più di un anno, in inverno. Il calendario globale ristretto dall’apnea Covid, la rivincita degli anni dispari, lo spirito olimpico che resiste a tutto. I 12 miliardi di dollari che sarebbero andati persi se non si fossero fatte le Olimpiadi.
Lo spirito olimpico
Per quale motivo alla fine hanno fatto le Olimpiadi? Lo spirito olimpico! Il pugile inglese che vince l’argento ma non indossa la medaglia alla premiazione, se la mette in tasca e non sorride; aridaje. Gli sponsor che si ritirano dai giochi, compositori e direttori artistici delle cerimonie licenziati per abusi su disabili e battute sulla Shoah di trent’anni fa, i materassi dei letti del villaggio olimpico concepiti per impedire incontri sessuali. L’atleta che mostra come si possa fare tranquillamente sesso su quei materassi e il record di preservativi distribuiti gratuitamente al villaggio olimpico, in varie taglie, da usare ovunque ma non sui letti.
La straordinaria olandese Sifan Hassan che nelle eliminatorie dei 1.500 metri casca per terra urtata da una rivale, perde trenta metri dal gruppo ma vince ugualmente la batteria. Il desiderio corroborante quanto insopprimibile di comprare subito ogni tipo di accessorio e vestitino da gara di ogni specialità, eccezion fatta per quelle equestri, perché mi dispiace sempre per gli animali. Le rilucenti mamme degli atleti. I nuotatori britannici e americani, argento e bronzo nei 200 dorso, lamentano la farsa del “bando” alla Russia dopo la condanna per doping tramutata nella concessione di partecipare sotto il nome di Comitato olimpico russo. Niente bandiera e niente inno, il resto uguale. Il capo dell’antidoping americano dice che va bene così. I 200 dorso li vince poi un russo. L’ex atleta di taekwondo Lutalo Muhammad, divenuto commentatore dello stesso sport per la Bbc, è molto felice perché grazie alla sua voce “suadente” ha ricevuto molte proposte di fidanzamento.
Il primo atleta transgender, la sollevatrice di pesi neozelandese Laurel Hubbard, va maluccio. Per partecipare alle Olimpiadi da transgender occorre avere un livello di testosterone compreso in una precisa forchetta. È permesso assumere farmaci per arrivarci. Questo è il vero risultato finale da raggiungere: molecole. Lei c’era e questo è. «Can we have two gold?» dice il qatariota Mutaz Barshim del salto in alto mentre Gianmarco Tamberi pensa di avere già vinto; lo dice abbassandosi gli occhiali come un agente segreto e rivolgendosi al giudice della gara che, forse improvvisando, dice di sì. Lui risponde ok, si riabbassa gli occhiali e abbozza un sorriso compiaciuto, mentre Tamberi viene colto da un attacco di fuoco di Sant’Antonio.
Le medaglie di scorta
Ma soprattutto: quante medaglie di scorta hanno? Forse quello della maratona (ultima medaglia) rimane senza oro per via del doppio oro nell’alto? Mistero. E la patetica e ossessiva scena del gesso usato di Tamberi, dallo stesso esibito continuamente ad alimentare la retorica della resurrezione. Vanessa Ferrari s’era rotta pure lei il tendine d’Achille, ma il gesso lo ha pragmaticamente buttato via. I gruppi di protesta contro i Giochi, appostati fuori dallo stadio, in numero via via minore, inversamente proporzionale a quello delle medaglie vinte dal Giappone. San Marino che vince la speciale classifica di medaglie pro capite (rapporto tra medaglie e popolazione) con tre atleti premiati sui cinque totali della delegazione. L’atleta kenyana che dopo aver vinto si sdraia leggiadra sulla pista coprendosi completamente con la bandiera del suo paese. L’argentino della vela ch’era quasi morto e che ora è ai Giochi. Le storie di redenzione e di salvezza, l’escatologia dei cinque anelli, la fottuta retorica che distrugge come un maglio ogni storia bella.
Gli staffettisti giapponesi che si presentano facendo una mossa sincronizzata da Power Rangers. I nostri fanno ciao con la manina. Simone Biles, grandissima ginnasta statunitense, solleva il tema della consapevolezza sul tema della salute mentale, non ci sta dentro e dice che non vuole più giocare. Lo fa sorridendo, poi gioca e vince un bronzo. La “squadra” del Comitato olimpico russo vince più medaglie della Russia nelle due precedenti edizioni dei Giochi. Le eliminatorie del pugilato, intere notti senza vedere nemmeno un pugno andare a segno. Ma bellissime divise da combattimento. Donald Trump accusa (?!) la squadra di calcio americana, che non vince l’oro, di essere una «accozzaglia di attiviste politiche di sinistra» e che «essere woke fa perdere». La ex fidanzata del neozelandese che vince il bronzo nel triathlon gli fa subito sapere su Instagram che rimpiange di averlo lasciato. Chissà come andrà a finire.
Pizza e salmone
Capire l’arrampicata: dei tizi spazzolano un triangolo che spunta da una parete, lo guardano, rispazzolano, provano a salirci, non ci riescono, rispazzolano, finisce il tempo, avanti un altro. Gli street sport ufficializzati, le lamentele molto parziali su quale nuovo sport introdurre, dal burraco al parkour, al Twitter con voto popolare, alla gara di caponata di melanzane. Il tuffatore britannico (non si sa mai se sono scozzesi, inglesi o che altro) che fa la maglia mentre aspetta il suo turno. L’arcaicità neandertaliana dei lanciatori del martello. Kristina Timanovskaya, sprinter bielorussa, la prima rifugiata politica olimpica – dopo aver espresso scetticismo sulla gestione dei suoi allenatori, viene costretta a tornare a casa. Le dicono di annunciare un infortunio come causa, lei smentisce, dicono allora che è emotivamente instabile. In aeroporto le arriva un messaggio che l’avvisa che non è sicuro tornare in Bielorussia. Ripara all’ambasciata polacca di Tokyo, paese nel quale si trova ora. La kayakista australiana che poco prima della gara danneggia il suo attrezzo e lo ripara con un preservativo. Raven Saunders, getto del peso, americana, parla come Biles della salute mentale e di quanto sia stato difficile per lei crescere da afroamericana Lgbt. Si presenta con una mascherina anti Covid con il disegno di Joker. Vince l’argento, sua madre muore due giorni dopo, prima che lei possa vederla. L’evidente impossibilità fisica di molti dei gesti che abbiamo visto in questi Giochi, il trionfo dei corpi dopo la cancellazione del corpo pandemico, gli atleti transgender, i colori, le nostalgie generazione X per le divise anni 70 e Telfar, marchio ultrastreet e ultrahype newyorchese che ha disegnato le divise della Liberia, ora disponibili online per quelli veramente fighi. Durante il broadcasting della cerimonia di apertura, il canale coreano Mbc introduce l’Italia con l’immagine di una pizza, la Norvegia con un salmone e l’Ucraina con una foto di Chernobyl.
La dolorosa e cattiva invidia della perfezione dei corpi. Le bambine che fanno skateboard. Le bambine che fanno ginnastica. L’incredibile ingiustizia che nelle discipline sottoposte ai voti dei giudici i concorrenti non possano rivolgersi direttamente a loro un po’ come con i professori al liceo: per favore, almeno sette e mezzo, dai! La Gran Bretagna che alla fine vince un botto di medaglie, ma li prendiamo per il culo lo stesso. E contano di più gli ori o il totale medaglie? In ogni caso, ARIGATO, scritto gigante in puntoni vintage nella cerimonia di chiusura.
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