Boss inseguiti, ferimenti, omicidi, sequestri, finte amicizie, chat criptate che svelano nomi di killer, «ubriachi di malavita»; nel lavoro di carabinieri e polizia, coordinati dall’antimafia di Roma, emerge uno spaccato di una città criminale, sempre più capitale del narcotraffico
L’inizio della guerra tra i clan a Roma ha una data: il 7 agosto 2019, giorno dell’omicidio di Fabrizio Piscitelli, noto come Diabolik o “la strega”. Di mestiere ultrà, di professione mercante di stupefacenti, celebrato con un funerale con tanto di slogan e cori da stadio grazie alla debolezza dello stato che continua a ignorare il potere del crimine organizzato nella capitale.
Quell’omicidio è stato un Big bang. I gruppi criminali, prima alleati, si sono sfaldati e sono diventati nemici. Da una parte gli albanesi, fedeli a Piscitelli. Dall’altra gli uomini dell’unico vero re di Roma, il boss Michele Senese, detto “il pazzo”.
In questa storia le parole sono importanti perché nessuno può essere definito “mafioso”, visto che, quando sono stati processati, Senese in primis, tutti sono sempre risultati assolti dall’accusa di associazione mafiosa.
I padroni della città
Ma chi sono gli uomini dei Senese, padroni della città? I loro nomi riempiono le pagine delle cronache locali, ma sono di alto lignaggio criminale: Giuseppe Molisso e Leandro Bennato. Un dettaglio aiuta a capire questa storia.
Tre anni fa alcune ricostruzioni spiegavano che Diabolik era stato ucciso da albanesi e che il killer era stato ammazzato in patria. Erano piste false. In quel periodo Domani aveva pubblicato un indizio che apriva un’altra pista: il ferimento, nel settembre 2019, di Bennato.
Quel ferimento faceva presagire la spaccatura: da una parte i Senese e dall’altra gli amici di Diabolik. La procura di Roma, pm Francesco Cascini, Giuseppe Musarò, Mario Palazzi, e gli investigatori del nucleo investigativo dei carabinieri e della squadra mobile capitolina hanno ricostruito ogni passaggio, con un lavoro certosino confluito in una informativa depositata agli atti del processo a carico di Raul Esteban Calderon, imputato come esecutore dell’omicidio di Piscitelli.
Diabolik sarebbe stato ucciso perché non passava i soldi a Senese, «guadagna 200 mila e ne manda 2 mila», si legge nelle carte. Intercettazioni, chat decriptate e dichiarazioni di collaboratori di giustizia, i fratelli Fabrizio e Simone Capogna, hanno delineato il quadro.
I pugilatori
Il primo elemento che emerge leggendo gli atti è l’intenzione di Elvis Demce, criminale albanese di rango ora in carcere, di ammazzare Molisso attraverso un piano machiavellico. Demce fingeva amicizia, ma in realtà stava pianificando il delitto. Ma chi è Demce? Fa parte del clan degli albanesi, definiti “i pugilatori”, diventati grandi grazie all’alleanza con i napoletani, gli uomini legati al clan Licciardi, e con Fabrizio Piscitelli.
La batteria, che in pochi anni è diventata «gente cattiva», è composta proprio da Demce, Bardhi, Nikolin Shkrepi e Dorian Petoku, il narcotrafficante scappato dalla comunità dove incredibilmente era stato confinato insieme a vecchi amici del crimine, nonostante le denunce di questo giornale.
Contro i Senese
Molisso e Bennato, invece, sono uomini di Senese e hanno imparato dal vecchio capo i metodi per sottomettere i trafficanti di droga a Roma, avvicinarli e chiedere con le buone di rifornirsi da loro così da tenere sotto scacco la città evitando spargimenti di sangue, tranne quando necessario.
«Quando arriva Peppe si risolve tutto, nessuno parla più, rimangono tutti contenti», racconta il pentito Capogna. Demce, dopo l’omicidio di Diabolik, voleva far saltare il tavolo. «Ma poi alla fine da giostra a fra ma chi se incula pure a Michele (Senese, ndr) che se tiene vicino pure gli infami», diceva Demce nel 2021 mentre pianificava l’omicidio di Molisso e mostrava strafottenza nei confronti del boss. «Jo schioppato il genero del fratello Angelo du settimane de ospedale se lecchinava tutto che non se voleva rompe», diceva vantandosi di aver picchiato un congiunto di Senese insieme all’amico Piscitelli (aggressione rimasta però senza riscontri, forse era solo una vanteria). Lo stesso Molisso era stato avvertito di essere diventato l’obiettivo di alcuni fascisti, vicini a Diabolik.
L’agguato a Molisso
Gli albanesi, guidati da Demce, e alcuni esponenti del mondo ultrà decidevano così di eliminare Molisso, ritenuto con Bennato e Alessandro Capriotti, mandante dell’omicidio di Diabolik. Eppure Molisso, Demce e Diabolik un tempo, camminavano sotto la stessa bandiera criminale. Perché questa scelta?
Demce, appena uscito dal carcere, chiedeva in giro e otteneva i riscontri sui mandanti dell’agguato. Iniziava così a pianificare l’eliminazione piazzando telecamere davanti casa di Molisso. Reperiva un’autovettura pulita da utilizzare e uno «squadrone». Gli esecutori dovevano essere Matteo Costacurta, fascista e killer, Alessio Lori, Demce e altri soggetti non indicati. «Dal primo all’ultimo quell’amico me fa veni proprio voglia de fa li reati», diceva Lori.
L’agguato era previsto il giorno 11 febbraio 2021 ma, arrivati davanti casa di Molisso, il progetto saltava per l’arrivo della polizia. «Non ce posso pensa a sta spia de merda […] infame miracolato», diceva Lori dopo aver fallito l’obiettivo. Demce rispondeva: «Guarda te sto balordo come se salvato». Dopo lo sconforto, Demce non arretrava dai suoi intenti, ma saltava il piano per l’arresto dell’albanese e dello stesso Molisso nel gennaio 2022.
Nelle carte viene ricostruita l’ascesa degli albanesi, il clan dei pugilatori, amici di Diabolik, di curva e di vita. A partire da Arben Zogu, detto “Riccardino”, ed Elvis Demce. Tanto amici da avere garantito anche un sussidio ai familiari quando erano finiti in carcere. Lo scontro che si è aperto dopo l’omicidio di Diabolik spiega altri agguati, a partire da quello consumato contro Bennato (opera, secondo un pentito, di Costacurta), così come il tentativo di uccidere Fabrizio Fabietti, socio e alleato di Diabolik, e l’omicidio di Shehaj Selavdi, avvenuto in spiaggia a Torvaianica, per il quale sono a processo il solito Calderon, il fratello di Bennato, Enrico, e Molisso come mandante.
Per l’omicidio di Diabolik ora sono stati iscritti nel registro degli indagati anche gli uomini di Senese, come mandanti. Nelle conversazioni così si parla di quell’agguato: «Guarda loro come hanno fatto diablo (...) Esecuzione perfetta (...) Mafia», dice Fabrizio Mineo. Quest’ultimo è «vicino al gruppo degli albanesi, e figlio di Camillo Mineo, avvocato e procuratore sportivo», si legge nel documento. L’omicidio di Diabolik, nel territorio di Michele “il pazzo”, non poteva essere compiuto senza il suo ok. È la legge del crimine. E lui, Senese, uomo della famiglia criminale dei Moccia, di quella legge, a Roma, è il garante da tre decenni.
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