- A14 anni esatti dalla sua morte, ammazzatto con 24 coltellate a Ugento, in provincia di Lecce, non è ancora stata scritta nessuna verità giudiziaria, sono ignoti sia i mandanti che gli esecutori.
- La notte tra il 14 e il 15 giugno 2008, veniva ucciso sotto casa sua il consigliere comunale dell’Italia dei valori, Giuseppe Basile.
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Dal 2008 l’unica verità giudiziaria di cui si è a conoscenza è quella per la quale furono processati e poi assolti i vicini di casa di Basile: Vittorio e Vittorio Luigi Colitti , rispettivamente nonno e nipote, 65 anni il primo e 17 il secondo all’epoca dei fatti.
La notte tra il 14 e il 15 giugno 2008, veniva ucciso sotto casa sua il consigliere comunale dell’Italia dei valori, Giuseppe Basile. A14 anni esatti dalla sua morte, ammazzato con 24 coltellate a Ugento, in provincia di Lecce, non è ancora stata scritta nessuna verità giudiziaria, sono ignoti sia i mandanti che gli esecutori. Chi volle la morte di quel consigliere, in prima linea contro scandali e malaffare?
Un caso nazionale
Nel 2008 il delitto scuote non solo l’opinione pubblica leccese ma anche quella nazionale. «Un atto che ci turba e ci sgomenta», dice Nichi Vendola, allora presidente della regione Puglia. Si tratta di «un delitto non comune», dice Antonio Di Pietro all’epoca leader dell’Italia dei valori.
Pochi mesi dopo l’omicidio, Di Pietro arriva a Ugento, inaugura la sede locale del partito e ricorda la figura del consigliere scomparso «una persona che non diceva le cose dietro ma davanti e che probabilmente per questo ha perso la vita, chi sa parli».
Peppino Basile difendeva il patrimonio ambientale opponendosi a qualunque tipo di speculazione edilizia o sfruttamento illegale. Subisce diverse intimidazioni: i proiettili sul parabrezza della macchina, una testa di animale mozzata, le lettere minatorie e le scritte sui muri in cui gli veniva augurata la morte.
Il processo ai Colitti
Dal 2008 l’unica verità giudiziaria di cui si è a conoscenza, infatti, è quella per la quale furono processati e poi assolti i vicini di casa di Basile: Vittorio e Vittorio Luigi Colitti, rispettivamente nonno e nipote, 65 anni il primo e 17 il secondo all’epoca dei fatti. I due vicini vengono arrestati a un anno dall’omicidio, ma sul luogo del delitto non vengono riscontrate prove contro di loro, nemmeno nella loro abitazione. L’arma del delitto, invece, non è stata mai trovata.
L’impianto accusatorio si era basato su cinque testimonianze, quattro di una bambina di 5 anni rilasciate tra il 2008 e il 2010, che quella sera dormiva dai nonni, vicini di casa di Peppino, e una rilasciata da una donna di origine thailandese nel 2009.
La bambina viene ascoltata per la prima volta il 22 settembre 2008, ma dall’interrogatorio non emerge nulla. Un anno dopo, il 28 ottobre 2009 viene riascoltata indicando nei Colitti le persone che quella sera «dato le botte a Peppino». Una testimonianza che non ha nulla di riscontrabile, senza contare che in oltre 300 deposizioni, a cui si aggiungono le intercettazioni ambientali, gli investigatori non hanno mai raccolto una testimonianza che lasciasse presagire attriti tra Peppino e la famiglia Colitti.
Ma la testimonianza della bambina avvalora quella rilasciata l’8 settembre 2009 da una donna thailandese, presidente di un’associazione che collaborava con la provincia di Lecce (qui si era conosciuta con Peppino ed erano diventati amici). Secondo la donna, Basile le avrebbe riferito di alcuni screzi tra lui e i Colitti. La bambina venne riascoltata il 23 dicembre 2009 e poi il 17 febbraio 2010, ma anche questa volta le testimonianze si rivelarono poco attendibili.
Vittorio Luigi Colitti, rimasto in custodia cautelare fino a scadenza dei termini, viene assolto con formula piena nel 2010, il nonno invece resta ai domiciliari poiché affetto da cardiopatia ischemica fino all’assoluzione con sentenza definitiva nel 2015.
Si conclude così un iter giudiziario fallimentare, senza colpevoli e senza alcuna verità giudiziaria su quella notte di sangue.
La misteriosa opel corsa
Torniamo a 14 anni fa. La sera dell’omicidio quattro testimoni affermano di aver visto una Opel corsa grigia affacciarsi sul ciglio della strada e vedere un uomo scendere dall’auto, il quale, intimato dalla polizia di fermarsi risale sull’auto e si dilega. Nei verbali di polizia due agenti e un abitante di Via Nizza riconoscono e confermano la presenza di quel modello d’auto.
Ad alimentare il mistero è anche la testimonianza rilasciata da Silvio Ferzini, amico di Basile, che aveva trascorso l’ultima serata in sua compagnia. Ferzini dichiara che nelle ultime ore antecedenti l’omicidio lui e Peppino si erano accorti di essere seguiti proprio da una Opel corsa grigia. La presenza della macchina prima e dopo il delitto nell’area non viene approfondita.
La pista alternativa “Bove-Vaccaro”
Dal 2008 fino all’arresto dei Colitti, le indagini approfondiscono una pista alternativa relativa. Le indagini scattano in seguito alle testimonianze rilasciate da un pregiudicato Giovanni Vaccaro che chiama in causa un altro soggetto Pio Bove. Avrebbero agito per conto di un imprenditore, infastidito dalle battaglie di Basile.
Dal 2008 al 2010 i due si scrivono una serie di lettere. Nelle lettere Bove fa spesso riferimento all’omicidio Basile e parlando dell’arresto dei Colitti afferma: «Contenti loro contenti tutti».
La versione di Vaccaro fa risalire il movente dell’omicidio a due settimane prima del 15 giugno. Peppino in quel periodo avrebbe confidato ad amici stretti, fatto confermato nei verbali delle testimonianze, che di lì a poco avrebbe reso pubblici fatti eclatanti sulla gestione poco chiara della cosa pubblica in quel territorio, «una bomba» diceva.
Nelle deposizioni spontanee Vaccaro afferma che viene a conoscenza delle intenzioni di Peppino Basile di smascherare le attività illecite e speculazioni in corso.
Vaccaro si offre di dare una mano per spaventare Basile coinvolgendo Bove, la cosa però degenera e Basile viene ucciso da assassini stranieri. Vaccaro per due anni conferma quanto detto nella prima deposizione e negli interrogatori aveva inoltre riconosciuto Basile in una foto.
Nel 2010 Vaccaro ritratta improvvisamente e nega tutto. Millantava. Nelle carte della sentenza d’assoluzione di Vittorio Luigi Colitti si legge che nell’aprile del 2010 Vaccaro riceveva una lettera di minacce da Bove. Inoltre, in più occasioni Vaccaro aveva lamentato il fatto di non essere entrato in un programma di protezione, mai ammesso perché ritenuto inattendibile.
La lettera all’avvocato Francesca Conte
L’8 luglio 2010, due settimane dopo l’archiviazione del caso Vaccaro giunge una lettera minatoria presso la casa dei genitori dell’avvocato difensore dei Colitti, Francesca Conte. «Ora non ti resta che essere giudiziosa», si legge nella missiva.
L’avvocata Conte deposita un esposto in procura e il tribunale di Lecce iscrive nel registro degli indagati Giorgio Pio Bove come possibile autore della lettera minatoria, un fatto che contrasta con l’archiviazione per inattendibilità di Vaccaro.
Tramite una consulenza tecnico grafica vengono comparate le lettere scritte tra Bove e Vaccaro e quella indirizzata alla Conte. L’esame conferma che la grafia è la stessa e la lettera sarebbe stata scritta da Bove. Quest’ultimo, ascoltato nel settembre 2010 nega qualunque contatto criminale con Vaccaro e la pista viene definitivamente archiviata.
Dopo la fine del processo a carico di Vittorio Luigi Colitti i giudici del tribunale per i minorenni di Lecce evidenziano a più riprese l’esigenza di approfondire la pista “Vaccaro-Bove”. Bove resta totalmente estraneo all’inchiesta e mai indagato, Vaccaro definito inattendibile. Anche questa pista è senza sbocco.
L’unica verità è che dopo 14 anni, i parenti e un’intera comunità sono ancora in attesa di una risposta.
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