Il dito spezzato. La camera chiusa a chiave. La sorella racconta a Domani il lato oscuro del religioso sloveno. Accusato di molestie, alla Santa sede è ancora molto potente e apprezzato. Le ambiguità del papa sul caso
«Una volta, seduti a tavola uno di fronte all’altra, Rupnik mi disse: “Ora vediamo chi è più forte!”. Mi afferrò le mani sul tavolo e, palmo su palmo, cominciò a premere con grande forza. Io gridai che mi faceva male, ma lui non smise. Cercai di allontanarmi e lo pregai di fermarsi. Continuò a spingere, piegandomi il dito in modo così violento che il mio indice destro si ruppe. Ero sconvolta dal dolore, ma padre Rupnik non si scusò. Rimase calmo e disse: “Ora hai il sigillo permanente della Compagnia di Gesù”. E aggiunse: “L’ho fatto per amore”».
A parlare è Pia (nome di fantasia), entrata a far parte della Comunità di Loyola in Slovenia nel 1990, all’età di 24 anni. Questa scena, che si è svolta quando la ragazza era ancora una novizia della comunità religiosa fondata dall’ex gesuita Marko Rupnik e da Ivanka Hosta, è un’altra testimonianza degli abusi che il famoso artista ha commesso ai danni di diverse religiose e di cui dovrà rispondere in un processo canonico, ora che papa Francesco ha tolto la prescrizione ai fatti avvenuti negli anni Novanta.
Pia racconta a Domani che in quell’occasione Rupnik le impedì di ricevere cure mediche e le proibì di parlare di quello che era successo, e lo stesso fece la superiora Ivanka Hosta. «Rupnik era estremamente arrogante e narcisista. Mi diceva ripetutamente: “Sono il più grande artista e il più grande poeta di questa terra”», ricorda Pia. «Durante il noviziato, abbiamo anche trascorso alcuni mesi a Roma nel 1992», racconta ancora Pia. «Don Rupnik era stato nominato unico direttore spirituale e confessore di tutte le novizie. Io non volevo che fosse il mio confessore, ma non avevamo libertà di scelta. Una volta, durante la confessione, chiuse a chiave la stanza del Centro Aletti in cui eravamo e si mise la chiave in tasca. Ero arrabbiata e spaventata e gli dissi che non avevo nulla da dirgli: rimasi in silenzio per così tanto tempo che alla fine mi fece uscire».
Vessazioni continue
A causa della sua resistenza a Rupnik, suor Pia viene ripetutamente sminuita e messa sotto pressione, sia dal gesuita che dalla superiora. Nonostante tutto, prende i voti insieme ad altre sorelle il 1° gennaio 1993; poco tempo dopo, avviene la rottura fra Rupnik e Hosta, ufficialmente per un disaccordo sulla fondazione della Comunità, in realtà perché un’altra religiosa, Gloria Branciani, aveva detto di essere stata ripetutamente abusata da Rupnik. Rimasta sotto la guida di Ivanka Hosta, suor Pia sperimenta ogni sorta di violenza spirituale, compresa un’istigazione al suicidio – «Dovevo essere disponibile, obbediente e sottomessa: non potevo più seguire la mia coscienza perché solo lei sapeva quale era la volontà di Dio per me», ricorda Pia – finché, nel marzo 1998, l’allora arcivescovo di Lubiana Franc Rodé accoglie la sua richiesta di uscire dalla comunità.
Il dicastero per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica ha sciolto la Comunità Loyola lo scorso 20 ottobre «a causa di gravi problemi riguardanti l’esercizio dell’autorità e della convivenza comunitaria». La superiora generale Hosta è stata rimossa a giugno di quest’anno dal suo ruolo, e le è stato proibito di contattare le ex suore per tre anni.
Nel frattempo don Marko Rupnik, in attesa del processo ecclesiastico, sembra avere per il momento rinunciato a comparire in pubblico. Non lo si vede dire messa, né a convegni o a guidare esercizi spirituali. Anche se continua ad accompagnare gli amici in visita ai suoi mosaici nel Pontificio Seminario Maggiore di Roma e quindi è probabile che graviti sempre intorno al Centro Aletti, nonostante la sua parrocchia sia ora in Slovenia. Il vescovo di Capodistria Jurij Bizjak infatti l’ha accolto a fine agosto 2023, senza curarsi delle accuse a carico del sacerdote e delle conseguenti restrizioni che gli erano state imposte dalla Compagnia di Gesù. «Bizjak ha emanato il decreto di incardinazione senza consultare nessuno, con l’appoggio del nunzio apostolico in Slovenia Jean-Marie Speich», rivela una fonte interna al clero sloveno. Contrario alla nomina è il presidente della Conferenza episcopale Andrej Saje, che ha preso subito le distanze dalla decisione con un comunicato ufficiale in cui dichiarava che la conferenza dei vescovi era estranea al processo di incardinazione di Rupnik.
Omertà nel paese di Rupnik
A Zadlog, paese natale di Rupnik, una manciata di case ai piedi delle montagne, nessuno parla volentieri. Don Iztok Mozetič, il parroco del centro più vicino, Črni Vrh, si sottrae imbarazzato alle domande. La gente del posto serra le fila intorno al sacerdote, artista e teologo di fama: «È un grande», commenta un suo ex compagno di scuola. Nessuna solidarietà per le religiose che l’hanno denunciato, che vengono liquidate con toni sprezzanti. La sorella di Rupnik, che abita ancora nella casa di famiglia, non parla.
Se è vero che ogni vescovo è sovrano nella propria diocesi, è anche vero che certe decisioni non condivise suonano forzate e non possono che portare scontento. Un altro sacerdote sloveno, che si firma con il nome di Karel Fulgoferski, ha diffuso una lettera aperta in cui denuncia l’ipocrisia che circonda il caso Rupnik. A dispetto della tolleranza zero promessa da papa Francesco, scrive il prete, «nei giorni scorsi i superiori religiosi hanno fatto formazione sulla prevenzione degli abusi nella chiesa all’ombra dei dipinti di Rupnik».
Una gestione ambigua che continuerebbe anche con la decisione di papa Francesco di riaprire il processo al sacerdote: la notizia dell’incardinazione di Rupnik, spiega Fulgoferski, è arrivata come «un’onda d’urto nell’Ufficio comunicazioni del Vaticano», e l’improvviso voltafaccia di Francesco su Rupnik sarebbe quindi «solo una manovra per salvare un’immagine pubblica del papa gravemente appannata». Per inciso, ricordiamo che nella segreteria per la Comunicazione della Santa sede lavora come direttrice della Direzione teologico-pastorale Nataša Govekar, che fa parte dell’équipe del Centro Aletti ed è fra le fedelissime di Rupnik. Il papa stesso, durante l’udienza ai vaticanisti del 22 gennaio, ha ringraziato i giornalisti presenti per «la delicatezza» con cui trattano il tema degli abusi: «Un silenzio quasi “vergognoso”», ha sottolineato Francesco. Parole che suonano come una richiesta a essere indulgenti nel trattare un problema che per la chiesa sta diventando sempre più scottante.
Almeno sul fronte dei mosaici del Centro Aletti, però, qualcosa si muove. Jean-Marc Grand, parroco di Saint Joseph-Saint Martin a Troyes, in Francia, ha deciso, dopo un processo di discernimento con testimoni e vittime di abusi, di rimuovere un trittico di Rupnik. Un caso che può diventare un precedente per tutte le commissioni che stanno valutando cosa fare dei suoi mosaici.
In Vaticano, intanto, tutto tace. A Roma l’ex gesuita conserva ancora appoggi: il 10 gennaio è stato diffuso in rete un video della Cei in cui don Fabio Rosini, direttore dell’Ufficio diocesano per la pastorale delle vocazioni della diocesi di Roma, tiene la sua relazione sullo sfondo del Pontificio Seminario Maggiore, con lunghe panoramiche dei mosaici del suo maestro e mentore Rupnik.
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