È il capitano dell’Italia di pallanuoto e della Pro Recco, il campione che due anni fa ha vinto l’equivalente del Pallone d’Oro cioè il titolo di miglior giocatore del mondo (Total Water Player Award 2022). Francesco Di Fulvio, 31anni di Pescara, laureato in Sciente Motorie, una passione per il disegno e il modellismo, è tanto spavaldo quanto altruista, tanto coraggioso quanto umile. Una leadership riconosciuta che non oscura l’essenza del suo sport. «So di essere un Top Player ma amo parlare di riconoscimenti singoli. La pallanuoto è una disciplina dura tra allenamenti e sacrifici. In Italia ha una visibilità mediatica meno ampia di quella che meriterebbe. È soprattutto uno sport di squadra. A me interessa parlare del gruppo». 

Venuto al mondo nell’estate del 1993, 15 agosto, quando sulle spiagge risuonavano le hit degli 883 (Sei un mito) e Raf (Il battito animale), la vita di Di Fulvio è regolarmente accompagnata da melodie italiane, le sue preferite. La colonna sonora della sua estate 2024 ha un ritmo malinconico. L’aveva sognata totalmente diversa, la sua terza avventura a cinque cerchi. L’oro olimpico come un’ossessione: «Sì, lo era. Un pensiero fisso che ha accompagnato quasi tutti i giorni degli ultimi tre anni». Tutto sfumato in un’atmosfera di torti arbitrali, proteste, polemiche, ricorsi e una sanzione che è una batosta.

Sei mesi di squalifica inflitti al Settebello per aver violato il codice 5 del comportamento etico World Aquatics dopo il quarto di finale perso ai rigori contro l’Ungheria. Riepilogando, l’espulsione di Francesco Condemi allontanato per fallo violento dopo aver segnato il gol del momentaneo 3-3. Rete annullata dal Var, rigore per i magiari e quattro minuti da giocare in inferiorità numerica. Un errore madornale poi riconosciuto dagli organi di giustizia che decidono infatti di non squalificare Condemi per la successiva partita.

«Il torto che abbiamo subìto a Parigi è stato enorme. Non era il primo episodio dei Giochi: nella fase a gironi tra Croazia e Grecia viene sanzionata una inesistente brutalità (fallo violento) con due giornate di squalifica poi, con successivo ricorso, per la prima volta nella storia la squalifica viene tolta. La partita con l’Ungheria l’abbiamo persa noi, ma dopo che era stata completamente compromessa. Il danno oramai era stato fatto». 

Dopo le proteste a bordo vasca, è successo molto altro. Nella ricostruzione della sentenza si legge di un’aggressione agli arbitri da parte di alcuni azzurri e del CT Campagna nel parcheggio dello stadio. La pesante punizione per il Settebello viene motivata proprio per questo comportamento. Lei è un uomo di sport, sa bene che davanti ad aggressioni e spinte non c’è alcuna giustificazione che tenga.

«Il termine aggressione è forzato, volutamente. Raccontiamola bene. Nel parcheggio dello stadio, prima di salire sul bus per tornare al villaggio olimpico, ci siamo trovati davanti la terna arbitrale. Eravamo delusi ed amareggiati. Abbiamo esternato il nostro dissenso, ci sentivamo defraudati. L’ho fatto pure io, mi sono rivolto quasi in lacrime ad un giudice di gara: ma ti rendi conto che con il tuo errore hai rovinato il momento che ogni atleta sogna nella vita? Abbiamo sbagliato nell’alzare la voce, e di questo abbiamo chiesto scusa con una lettera ufficiale inviata alla Federazione internazionale, ma da qui a dire che ci sia stato un Far West ce ne passa. Nessuno di noi si è mai permesso di alzare le mani. Se così fosse, sarebbe scattata una squalifica nominale per gli atleti, di una durata maggiore, con l’esclusione da qualsiasi competizione, e ciò non è avvenuto. Adesso nostro dovere è accettare la squalifica, come Italia salteremo la World Cup di gennaio 2025, ma speriamo che tutto ciò serva a migliorare la pallanuoto, perché certi episodi non accadano più». 

A distanza di 48 ore siete tornati in acqua contro la Spagna nel match che valeva il quinto posto. Con un gesto plateale: voltare le spalle durante l’esecuzione degli inni, giocare i primi quattro minuti apposta senza Condemi. Con l’accusa di aver tradito lo spirito olimpico.

«Non è stata una protesta perché avevamo perso o stavamo rosicando. Prima della partita sono andato dal capitano della Spagna per anticipargli ciò che avremmo fatto. E aggiungo che dalla nostra parte avevamo i giocatori delle altre nazionali, quasi tutti ci hanno manifestato solidarietà». 

Con il senno di poi quella protesta la rifarebbe?

«Forse si. Perché non è stata sguaiata. Il nostro è stato un grido di allarme contro il sistema. In un’Olimpiade non è ammissibile un VAR simile, il sistema di telecamere era così scadente che non si riusciva nemmeno a mettere a fuoco le azioni di gioco».

Prima ha detto: mi sono rivolto quasi in lacrime a un giudice di gara. Ha pianto per la delusione olimpica?

«È stato un trauma. Arrivavamo da un percorso in crescita, da un bronzo europeo e un argento mondiale. Ci credevamo. Era la nostra prima Olimpiade in Europa, con le famiglie in tribuna. Dopo la fine del match contro l’Ungheria il primo pensiero è stato: ho deluso mio padre e mia madre. Avevano speso tanti soldi tra l’affitto di una casa a Parigi, i biglietti, le ferie. Ovviamente non me l’hanno fatto pesare, ci mancherebbe. Io non sono facile alle lacrime ma in quel momento mi è sceso giù tutto. Non piangevo così da mai».

FOTO PRO RECCO

Un’estate iniziata già in salita. Un mese prima di Parigi arriva come un fulmine a ciel sereno la decisione di Gabriele Volpi di lasciare la Pro Recco. Dopo 20 anni da proprietario e un palmares record, 50 trofei tra cui 17 campionati e 8 Champions.

«Ero ad Alghero, in ritiro con la Nazionale, quando ricevo la telefonata del presidente Maurizio Felugo che mi comunica tutto, aggiungendo che il budget per l’anno prossimo era pari a zero. Quando mi ha detto: “Francesco, io la società la voglio salvare, se rimani anche tu…”, mi ha commosso. Ho scelto di dargli tempo, di dargli fiducia».

Sul mercato un campione del suo calibro faceva gola a molti. Mi sta dicendo che lei ha rifiutato offerte pesanti di club come Marsiglia o Dubrovnik perché ha scelto con il cuore?

«È la verità. Mi sono detto, io rimango perché voglio dare qualcosa ad una società che per me è stata importante. L’ho fatto per Felugo ma pure per l’allenatore Sandro Sukno perché gli devo molto».

Ed è arrivato, inaspettato, un interessamento da oltreoceano che ha salvato la Pro Recco. La famiglia italo-brasiliana Behring ha un consistente patrimonio economico

«Siamo contenti e onorati di avere la fiducia di una famiglia così importante che da sempre si spende per promuovere il nuoto e la pallanuoto. La loro Fondazione ha tolto migliaia di bambini brasiliani dalle favelas».

Non è più la Recco ammazza-campionato. Non giocate nemmeno la Champions League. Proprio durante i giorni della trattativa con la neo-proprietà scadevano i termini di iscrizione

«Vuole sapere se mi rode? Nemmeno più di tanto. Giochiamo la Euro Cup, paradossalmente l’unico trofeo che Recco non ha mai vinto. Anche in campionato non siamo più i favoriti, abbiamo una panchina corta, ci sono giovani di 16/17 anni da inserire».

Non è rimasto Leka Ivovic, dopo dieci anni ha deciso di tornare a giocare in Montenegro. Le ha lasciato in eredità la fascia da capitano.

«Dico sempre che ho tre fratelli. I miei due naturali, Andrea e Carlo, e poi c’è Ivovic. È la persona che potrò sempre chiamare anche alle 3 di notte. Mi ha ispirato a diventare un giocatore e anche un uomo migliore».

FOTO PRO RECCO

Un capitano non sempre è un leader in acqua

«Io in acqua non mi tiro mai indietro per la squadra. Fuori, ho affinato il senso della disciplina, dell’autocontrollo. Ho imparato il dono di ascoltare. Cerco di farmi seguire dai compagni, ma voglio e devo ancora crescere».

Tornando al Settebello, dopo la squalifica come ripartirà?

«Con umiltà. Senza nemmeno dimenticarci quello che abbiamo fatto. Perché a volte voi dall’esterno guardate il finale mentre solo noi sappiamo il percorso che facciamo. Ripartiamo da un CT come Campagna che tutti il mondo ci invidia. Quello che ci meritiamo ce lo andremo a prendere». 

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