Facile da comporre, sempre a disposizione, è lo spuntino più gastronazionalista d’Italia per colori e ingredienti. Condividiamo questa ricetta anche con i nostri vicini spagnoli, che la servono in apertura di pasto. Anche Manuel Vázquez Montalbán ne era innamorato
«È indispensabile che tutti gli uomini saggi della terra capiscano che pane e pomodoro è un paesaggio fondamentale dell’alimentazione umana. Piatto peccaminoso per eccellenza perché comprende e semplifica il peccato rendendolo accessibile a chiunque».
Con queste parole, lo scrittore, poeta e gastronomo spagnolo Manuel Vázquez Montalbán celebra una ricetta umile, amatissima in Spagna e in molti paesi del mediterraneo. Italia compresa, dove questa merenda sembra un inno alla dispensa italica.
In Puglia, si cresce con il mantra “Pàne e pemedòre mètte sànghe e chelòre!”, più che un proverbio, un grido di battaglia delle nonne per convincere i nipotini a fare merenda. Il detto parla chiaro: pane e pomodoro mette “sangue e colore” sulle guance di grandi e piccini. Panacea per tutti i mali, perfetta contro la canicola estiva, è una pietanza democratica, alla portata di tutti.
Ha bisogno solo di buon pane, anche raffermo, pomodori che inzuppino la mollica con sugo e semi e una “croce” d’olio evo. La misura di questo ingrediente, il più prezioso, sancisce la sacralità di un pasto frugale che fa re chiunque lo mangi.
Il lungo cammino del pomodoro
La ricetta nasce dopo tormentati secoli di diffidenza verso il pomodoro. Ne La favolosa storia delle verdure (add Editore), Michel Onfray racconta che il pomodoro cresceva allo stato selvatico sulle Ande, in Perù e in Cile, in grappoli simili ai pomodori ciliegino. Scoperto dai conquistadores in Messico, viene portato in Spagna, ma senza istruzioni per il suo consumo.
Arriva a Napoli e risale lo stivale per arrivare in Provenza, coltivato come pianta stravagante e potenzialmente tossica. Infatti, il pomodoro appartiene alle Solanacee, come il tabacco, la belladonna e la datura, vegetali che alimentavano la grande ossessione dell’epoca: l’avvelenamento. Assomiglia alla mandragora, la pianta delle streghe.
La prima apparizione culinaria del pomodoro avviene in Italia all’inizio del XVII secolo. Qualche impavido lo usa in insalata. Nel 1962 Antonio Latini lo propone come ingrediente per uno stufato di verdure nel suo ricettario. Linneo lo include nella nomenclatura nel 1750: il pomodoro diventa Solanum lycopersicum, o pesca del lupo.
Nell’Ottocento il pomodoro raggiunge la celebrità grazie alla sinergia con la pasta. All’epoca si contavano sette varietà: dal rosso grosso al piccolo giallo. Oggi in Italia ce ne sono oltre 320.
L’incontro tra il pane e pomodoro non ha origini documentate, ma lo spaccare con le dita un pomodoro maturo per condire alla bell’e meglio una fetta di pane, sembra inciso nel dna umano.
La versione spagnola
Nel suo pamphlet Teoria e pratica di pane e pomodoro (Graphe), Leopoldo Pomés scrive: «Ho la sensazione che l’accattivante, familiare e quotidiano pane e pomodoro sia qui da tutta la vita, perché è legato a noi catalani in maniera naturale, attraverso l’infanzia».
L’autore ha rintracciato la prima menzione del pane e pomodoro nella letteratura catalana in un articolo della Vanguardia del 19 giugno 1984.
La si definisce una ricetta antispreco, creata per ravvivare pezzi di pane secco in inverno e approfittare dell’abbondanza di pomodori nei periodi di raccolta. Pomés celebra l’amore per il piatto, spiegando anche che questa merenda è adatta a qualsiasi momento della giornata.
Non sfigura in un buffet, risolve cene improvvisate quando l’appetito scarseggia. Si adatta a incontrare ingredienti più sofisticati come il pesce crudo o dei peperoni grigliati.
Così il pa amb tomàquet è diventato una tapas comune in Catalogna, dove si serve su fette strofinate da ambo i lati con i tomàquet de penjar, di forma piccola e molto maturi. Il pane deve essere di farina di grano, «non troppo cotto, perché la crosta potrebbe rompersi o accentuare una nota un po’ bruciacchiata».
Il pane migliore
Il pane da usare per preparare questa merenda cambia di regione in regione. La Puglia, dove la panificazione è enciclopedica, ha trovato un minimo comun denominatore, che nell’estate 2023 ha fatto molto discutere per i suoi prezzi: la frisella.
Per Marco Lattanzi, creatore del Panificio Il Toscano (Tre Pani Gambero Rosso), «il pane da usare deve essere di grano duro che, come i pomodori, ha bisogno di molto sole per maturare. Anche l’accostamento cromatico tra questi due ingredienti racconta la stagione migliore per questa merenda».
I pomodori perfetti per l’operazione merenda sono i ciliegini o i datterini, meglio se di dimensioni contenute e appena raccolti. Una varietà local perfetta per la ricetta è il Regina, coltivato tra Fasano e Torre Canne, in provincia di Brindisi. Vanno spaccati con le dita per non ossidare l’ortaggio, mentre sugo e semi condiscono il pane. Per non sprecare nulla, si strofina la polpa sulla fetta, lasciando i resti sulla superficie.
Optional di questa “Ferrari” gastronomica: basilico, origano e sale. Il magico pizzico è inutile se il pomodoro è abbastanza salino. Il gesto finale, il disegno della “croce” di olio, è veloce, quasi invisibile e annuncia che la merenda è pronta.
Per la degustazione Pomés raccomanda: «Questo momento dev’essere rilassato. Pulizia e ordine nei dintorni. Sereno l’animo e sufficiente l’appetito».
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