Il ministro Salvini aveva detto che sarebbe stato meglio non parlare di discriminazione, ma lei ha ribattuto spiegando il razzismo con i bicchieri d’acqua e parlando delle sue «brutte esperienze», ma «amo l’Italia, vesto con orgoglio la maglia azzurra»
«Non sono qui per dare lezioni di vita», ha esordito Paola Egonu, coconduttrice della terza serata di Sanremo. Dopo giorni di polemiche ha fatto il suo monologo seduta sulle scale dell’Ariston: «Spero di trasmettere amore ed empatia». È partita dalla stampa, ha accusato chi ha tagliato e mescolato le sue frasi per «fare titoli» e poi è passata alle difficoltà, quelle difficoltà per cui, ha raccontato alla fine, l’hanno accusata di essere vittimista. Rispondendo così al ministro Matteo Salvini che diceva non avrebbe dovuto parlarne: «È una grande sportiva, ma spero non venga a fare una tirata sull'Italia razzista. Gli italiani hanno tanti difetti, ma non sono razzisti», aveva detto lui.
E invece Egonu ha raccontato (visibilmente emozionata) delle domande che si faceva da bambina. Si è chiesta il perché: «Perché mi chiedono perché sono alta? Perché mi chiedono se sono Italiana?», e sulla sua diversità, ma adesso conclude: «La mia diversità è la mia unicità. Io sono io, perché sono io».
E sul razzismo ha fatto un esempio sui bicchieri d’acqua trasparenti o colorati, molti scelgono quelli trasparenti: «Ma l’acqua è sempre fresca e vita».
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I suoi genitori le hanno insegnato «a fare i sacrifici», così come loro li hanno fatti: «Nessun genitore è felice che sua figlia cresca lontano dai suoi occhi». Della sua esperienza di campionessa ha raccontato le difficoltà delle ambizioni. Egonu, giocatrice di pallavolo (su ispirazione del cartone animato giapponese Mila e Shiro, ha detto all’inizio della serata) ha ricordato che gioca in attacco: «Sto imparando ad accettare gli errori, la palla che scotta, che fa paura». Le critiche «sono inevitabili, alcune sono costruittive, altre sono gratuite, altre sono macigni. Sta a noi dare il giusto peso».
Ha ricordato di essere stata accusata di vittimismo, e di non rispettare il suo paese perché ha raccontato le «brutte esperienze vissute». Durante il festival non ha voluto entrare nei dettagli.
«Amo l'Italia, vesto con orgoglio la maglia azzurra, che per me è la più bella del mondo e ho un profondo senso di responsabilità nei confronti di questo paese in cui ripongo tutte le mie speranze di domani», ha detto in un passaggio del suo monologo.
«Nella mia storia di giocatrice sono infatti più le finali che ho perso di quelle che ho vinto. Eppure questo non fa di me una perdente». Ha concluso ricordando che non è perdente chi arriva ultimo: «Vasco Rossi nel 1983 arrivò penultimo» a Sanremo, ma il suo brano segnò un grande successo «ognuno col suo viaggio, ognuno diverso», la citazione dal testo. E alla fine sono partite le note di quella canzone: Vita spericolata.
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