Il libro postumo di Benedetto XVI è stato pubblicato meno di un mese dopo la morte. Quasi un testamento spirituale, una summa concentratissima del pensiero e della fede di Joseph Ratzinger, papa per otto anni. L’opera raccoglie scritti del papa emerito dal 2014 fino alla primavera del 2022 che trattano di numerosi temi cruciali. Non tutto è altrettanto convincente, ma tutto è da leggere perché tutto è appassionato, intelligente e comunicativo nell’ultimo libro di Benedetto XVI
Il libro postumo di Benedetto XVI andato in libreria a meno di un mese dalla morte è pieno di sorprese. Ben al di là degli inevitabili lanci giornalistici, che sono tornati con superficialità – e stucchevolezza – sull’episodio che nelle memorie del segretario del papa emerito è raccontato, con interessanti dettagli, né più né meno come «il “pasticciaccio” di Sarah», nel senso del cardinale africano autore di un libro in difesa del celibato sacerdotale che nel 2020 coinvolse il pontefice da sette anni non più sulla sede di Pietro. Da altre anticipazioni sulla stampa italiana si è capito invece che il libro è molto diverso. Come la sua lettura integrale conferma: una summa concentratissima del pensiero e della fede di Joseph Ratzinger, che per otto anni è stato papa di Roma.
Il libro
Proprio per questo bisogna andare con ordine e spiegare di che si tratta. Il libro raccoglie infatti un gruppo di «piccoli e medi contributi» scritti da Benedetto XVI tra il 2014 e la primavera scorsa, in parte inediti. Poco meno di duecento pagine per le quali i curatori – Elio Guerriero, a cui il papa emerito riconosce «competenza teologica», e l’arcivescovo Georg Gänswein, segretario di Ratzinger sin dal 2003 – hanno scelto, forse con l’assenso dell’autore, un titolo ricorrente nella teologia tedesca sin dal classico Das Wesen des Christentums (L’essenza del cristianesimo), il libro di straordinario successo pubblicato nel 1900 in cui Adolf von Harnack riversò le sedici affollatissime lezioni tenute nel semestre invernale all’università di Berlino.
Che cos’è il cristianesimo s’intitolano infatti queste pagine che nella premessa Guerriero definisce «quasi un testamento spirituale», come si legge nel sottotitolo del libro che lo stesso Guerriero ha tradotto con cura particolare, anche perché l’edizione italiana di Mondadori sarà, per decisione di Benedetto XVI, quella di riferimento per le altre lingue.
Con la consueta franchezza l’autore spiega nella prefazione l’origine dell’opera: «Quando l’11 febbraio 2013 annunciai le mie dimissioni dal ministero del successore di Pietro, non avevo piano alcuno per ciò che avrei fatto nella nuova situazione. Ero troppo esausto per poter pianificare altri lavori». Poche settimane prima, nel novembre precedente, era poi uscita L’infanzia di Gesù, il terzo volume della trilogia dedicata da «Joseph Ratzinger Benedetto XVI» – così volle firmarla – a Cristo, che «sembrava una conclusione logica dei miei scritti teologici». Ma ecco la grande sorpresa: «Dopo l’elezione di papa Francesco ho ripreso lentamente il mio lavoro teologico». Dunque non solo anni di riposo, preghiera, letture, corrispondenza, incontri con amici e centinaia di persone che l’hanno visitato nel monastero quasi sulla sommità del colle vaticano, ma «lavoro» vero e proprio.
Lo schema dei “due papi”
Alcuni testi erano stati resi pubblici, in quegli anni, ma quasi sempre accolti da polemiche perché ingabbiati nello schema dei “due papi” contrapposti: in sostanza, il regnante, incensato dai media, e il suo predecessore, che se non veniva presentato come “antipapa”, poco ci mancava. Inutile dire che i due interessati non c’entravano con questa contrapposizione, alimentata dai rispettivi fanatici.
Una situazione che già Alberto Cavallari descrisse, da laico qual era, dopo aver intervistato nel 1965 papa Montini, che si voleva in conflitto con il suo predecessore Roncalli: «Il cattolicesimo militante è pieno di lotte di questo genere. Preferisco non interferire in questa discussione tipicamente clericale, divisa in parrocchie contrastanti: quella giovannea e quella paolina». Insomma, come allora Paolo VI contro Giovanni XXIII, così mezzo secolo più tardi Benedetto contro Francesco.
Con l’aggravante degli stereotipi ostili tenacemente applicati soprattutto in Germania a Ratzinger e a Benedetto XVI sin dalla fine degli anni Sessanta del secolo scorso. Critiche arrivarono infatti dal suo paese dopo la pubblicazione nel 2019 di un suo denso e innovativo studio sull’ebraismo e di un successivo scambio di lettere con Arie Folger, rabbino capo di Vienna, nel libro Ebrei e cristiani (edizioni San Paolo); addirittura una bufera suscitò poi il caso Sarah. «Da parte mia, in vita, non voglio più pubblicare nulla. La furia dei circoli a me contrari in Germania è talmente forte che l’apparizione di ogni mia parola subito provoca da parte loro un vociare assassino.
Voglio risparmiare questo a me stesso e alla cristianità» reagì dunque Benedetto XVI all’inizio del 2021, quando Guerriero tornò a proporgli di pubblicare quanto veniva scrivendo. Il consenso venne però dato a un’edizione postuma, conclusa dalla prefazione che il papa emerito ha voluto datare «1° maggio 2022, festa di San Giuseppe», otto mesi prima della morte.
La figura di Giuseppe
E proprio alla figura sfuggente di Giuseppe, lo sposo di Maria ritenuto il padre di Gesù (nonché santo patrono di Joseph Ratzinger), è dedicato il testo che conclude il sesto capitolo del libro. È un’intervista del 2021 dove l’indagine del biblista s’intreccia ai ricordi sereni dell’infanzia bavarese e nella quale il papa emerito descrive il santo, dichiarato da Pio IX patrono della chiesa universale: «Anche questo silenzioso non voler apparire – dice Benedetto XVI – è caratteristico e mostra molto chiaramente che egli con la formazione della Sacra Famiglia ha preso su di sé un servizio che richiedeva una grande capacità decisionale e organizzativa, insieme tuttavia a una grande capacità di rinuncia. Il suo silenzio è al contempo la sua parola.
Esso esprime il “sì” a ciò che egli, legandosi a Maria e a Gesù, ha preso su di sé». In filigrana, e in qualche modo, traspare la via percorsa da Ratzinger, che peraltro moltissimo ha parlato e moltissimo ha scritto. Come mostrano ora gli altri scritti del sesto capitolo che raccoglie «contributi occasionali» (sulla Commissione teologica internazionale di cui Ratzinger fece parte, su Giovanni Paolo II, sul gesuita Alfred Delp impiccato dai nazisti), ma soprattutto i cinque capitoli costitutivi del libro che trattano i temi più caratteristici di Benedetto XVI: il rapporto tra religioni e fede cristiana; gli elementi fondamentali del cristianesimo; il dialogo tra ebrei e cristiani; la teologia dogmatica; la teologia morale.
Sono riflessioni dense queste degli ultimi anni, concentrate, anzi quasi distillate, ma al tempo stesso esposte con una chiarezza impressionante, frutto di una riflessione che è maturata per quasi un settantennio.
Bibbia e tradizione cristiana
Il pensiero di Ratzinger è fondato rigorosamente sulla Bibbia, che è ebraica e cristiana, e sulla tradizione cristiana costituitasi nel confronto con il pensiero greco. Ma secondo il teologo bavarese divenuto papa, questa tradizione è viva e – proprio perché è nutrita dalla storia e con essa si è sempre confrontata e vuole confrontarsi – ha la pretesa e la possibilità di proporre la sua ragione e le sue ragioni a una contemporaneità che nei confronti delle religioni si dimostra intollerante. In qualche modo rinnovando lo scontro tra le pretese idolatriche dell’intolleranza ellenistica e la resistenza della fede monoteista giudaica al tempo dei Maccabei (ma «lo “zelo” autentico prende la sua forma essenziale dalla croce di Gesù Cristo»).
Meritano riflessione le pagine che Benedetto XVI dedica alle ragioni della missione cristiana, al rapporto tra fede e religione, alla critica dello stesso cristianesimo. «Va da sé che la fede cristiana deve sempre di nuovo sviluppare tale forza critica anche rispetto alla propria storia religiosa. Per noi cristiani Gesù Cristo è il Logos di Dio, la luce che ci aiuta a distinguere tra la natura della religione e la sua distorsione» scrive il papa emerito, che riflette persino sulla fecondità di religioni «in attesa» come quelle tribali.
E, ancora, si succedono temi cruciali come monoteismo e tolleranza, il dialogo con i musulmani con il confronto tra Bibbia e Corano, la musica e la liturgia, il valore permanente dell’ebraismo, il sacerdozio cattolico, l’eucarestia, le radici degli abusi sessuali. Non tutto è altrettanto convincente, ma tutto è da leggere perché tutto è appassionato, intelligente e comunicativo nell’ultimo libro di quest’uomo fragile che da anni sembrava spegnersi. E invece no. Perché il suo pensiero ardeva, radicato com’è nella Bibbia, nella ragione – cioè nel Logos che è Cristo, parola divina incarnata – e nella storia degli uomini.
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