Versioni contrastanti, carte e vizi di procedura. La vicenda di Luigi Giacomo Passeri, il giovane abruzzese condannato da un tribunale del Cairo a 25 anni di carcere per traffico internazionale di sostanze stupefacenti, torna a mettere a dura prova i rapporti tra Italia e Egitto.

«C’è un vizio di forma, le indagini sono state fatte senza che lui potesse avere l’assistenza di un avvocato», dice a Domani Said Shaaban, il legale egiziano di Passeri. Lo raggiungiamo per via telefonica al Cairo dove da due giorni è impegnato a preparare le carte per il ricorso che, secondo lui, dovrebbero portare all’assoluzione del suo assistito. «Sono sicuro che verrà prosciolto», dice. «Il fatto che Passeri sia stato interrogato senza essere affiancato da un difensore, è sufficiente per far annullare la condanna».

Condizioni inumane

La Farnesina assicura che la sede diplomatica del Cairo sta continuando a seguire il «caso con la massima attenzione» e ha richiesto una visita consolare d’urgenza. Ma intanto Passeri – originario della Sierra Leone, cresciuto a Pescara e residente a Londra – ha già trascorso un anno in detenzione nella prigione di Badr2, penitenziario che dista 70 km dal Cairo. Il suo arresto era avvenuto in un albergo a Sharm el-Sheikh, il 23 agosto del 2023. Secondo le autorità egiziane era in possesso di una grande quantità di sostanze stupefacenti.

Da allora, è riuscito a telefonare alla sua famiglia solo una volta e a inviare alcune lettere dove ha raccontato le condizioni inumane in cui è recluso: vive in una cella piccola, condivisa con 12 persone, invasa di insetti e escrementi. Ha subìto maltrattamenti dagli agenti e non ha ricevuto l’assistenza medica adeguata dopo aver subito un’operazione di rimozione dell’appendice.

Per nove mesi è rimasto in detenzione preventiva senza la formalizzazione delle accuse, l’udienza preliminare è avvenuta solo a maggio. Un periodo in cui, come sottolinea l’avvocato, Passeri non ha potuto difendersi.

L’unico verbale in possesso della famiglia, ottenuto dalle autorità del Cairo, al momento avvalla le accuse e racconta di grandi quantità di droga, di vario tipo, trovata durante una perquisizione. Un documento che non coincide con la versione dei parenti del 31enne pescarese che, invece, affermano, che al momento dell’arresto, il giovane fosse in possesso soltanto di un «piccolo quantitativo di stupefacenti».

Anche se proprio ieri, il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, dal meeting di Rimini ha affermato: «Purtroppo Giacomo Passeri è stato trovato con un importante quantitativo di droga; il nostro Consolato e la nostra Ambasciata hanno seguito la vicenda fin dall'inizio, quando sembrava che si trattasse soltanto di una questione di fumo. Poi invece si è saputo che si è sentito male all’aeroporto perché aveva ingerito diversi ovuli di cocaina ed è ovvio che la condanna sia stata pesante».

Questa differenza di versioni non è trascurabile perché sarebbe decisiva per individuare il reato di cui Passeri potrebbe essere colpevole. Al momento non è chiaro quale quantitativo di stupefacenti possedesse nell’albergo sul Mar Rosso.

Imbarazzo diplomatico

Il caso è complicato ma la mancata assistenza legale e le condizioni denunciate nelle lettere dal giovane pescarese sono sufficienti a creare un nuovo imbarazzo diplomatico tra l’Italia e l’Egitto. Completamente diverso dal caso Zaki o Regeni ma con un filo in comune: le condizioni disumane, e documentate dai report delle organizzazioni internazionali, a cui vengono sottoposti tutti i detenuti in Egitto.

Proprio nel carcere di Badr, lo scorso aprile, è morto un prigioniero politico. Si chiamava Mohamed Mahmud Jad, aveva 62 anni. È stato colpito da un infarto dopo che gli erano state negate le cure per le sue patologie cardiache. Lo scorso 17 luglio, il sottosegretario agli Affari esteri, Giorgio Silli, ha provato a rassicurare la famiglia Passeri: rispondendo a un’interrogazione parlamentare del deputato di Avs Marco Grimaldi, ha affermato che «il 31 enne italiano stava bene e che non aveva riferito di aver subito violenze o trattamenti degradanti in carcere».

A livello diplomatico, l’epilogo del caso Zaki, conclusosi lo scorso anno con la grazia presidenziale, era stato rivendicato come un successo dal governo italiano. Il caso Regeni resta sullo sfondo – l’Egitto ha continuato a non fornire alcuna collaborazione nel processo in corso a Roma – e i rapporti tra Italia e Egitto restano ottimi. Lo scorso marzo, l’Unione europea e l’Egitto hanno firmato una nuova partnership dal valore di 7,4 miliardi di euro per lo sviluppo di politiche energetiche, agricole e per bloccare i flussi migratori.

Un programma fortemente voluto dalla presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni che, a sua volta, ha firmato con il Cairo 10 accordi bilaterali. È in questo contesto che si decide il destino giudiziario di Passeri. «Sino a ora il console italiano lo ha incontrato 6 volte, ora io avrò la possibilità di visitarlo una volta al mese», spiega Shaaban. «Attendo le motivazioni della sentenza per poter formulare una difesa appropriata e provare a riportarlo a casa».

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