Si chiudono oggi, 6 agosto 2024, tra le polemiche le iscrizioni ai due nuovi albi dei pedagogisti e degli educatori nei servizi per l’infanzia. I due ordini professionali, nati grazie alla legge 55 dell’8 maggio 2024, sono stati al centro di un dibattito infuocato che ha visto da una parte i rappresentanti di categoria, prima tra tutti l’associazione Apei (Associazione pedagogisti educatori italiani), e dall’altra i gestori delle cooperative che si occupano di erogare servizi socio-educativi.

«Se gli albi verranno formati a settembre si rischia che molti asili nido non riaprano», minacciano questi ultimi, suscitando la preoccupazione non solo delle famiglie ma anche dell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani). «È una fake news diffusa appositamente per osteggiare un sogno, che noi pedagogisti ed educatori abbiamo da anni, e per proteggere il proprio tornaconto economico a scapito di un’educazione che possa dirsi di qualità», risponde Alessandro Prisciandaro, presidente di Apei, pedagogista da oltre 40 anni e impegnato nella lotta per l’istituzione degli albi.

Le origini della questione

«All’inizio chi svolgeva questo mestiere lo faceva perlopiù mosso da uno spirito missionario, nessuno aveva fatto degli studi attinenti. Quando ho iniziato io, nei primi anni Ottanta, c’era già l’istituto magistrale, ma un corso di laurea dedicato a chi si sarebbe dovuto occupare dei bambini nella fascia di età 0-3 anni ancora non c’era», continua Prisciandaro.

Il corso di laurea in scienze dell’educazione è stato introdotto solo nel 1998, quello in scienze della formazione nel 1999. Nel frattempo, però, nei nidi avevano iniziato a lavorare persone con una formazione non necessariamente attinente: diplomati al liceo scientifico, agli istituti professionali, ragionieri ed ex studenti con qualsiasi altro titolo di studio.

«Quei lavoratori, nonostante nel corso degli anni numerosi studi psicologici e pedagogici abbiano dimostrato che proprio l’educazione dei primi anni di vita sia fondamentale per definire come sarà l’individuo, hanno continuato, senza competenze specifiche, a operare in ambito educativo. Abbiamo fatto una ricerca come associazione e abbiamo contato ben 47 diversi tipi di diploma per chi lavorava nelle strutture socio-educative», sottolinea Prisciandaro.

Pedagoghi ed educatori

A nulla è valso definire dal punto di vista normativo le due professioni. Secondo la legge 205 del 2017, è pedagogo colui che si occupa del coordinamento dei servizi educativi e formazione degli altri professionisti, svolgendo un ruolo apicale. È, invece, educatore l’operatore che si occupa, a seconda dei casi, della cura del bambino, l’adulto o l’anziano. Il primo ha una laurea magistrale, il secondo una triennale.

«Rispetto a coloro che lavorano senza competenze specifiche e che sono inquadrati nella categoria C del contratto nazionale, educatori e pedagoghi hanno un inquadramento rispettivamente D2 e E2», spiega il presidente Apei. Questo, come è ovvio, ha ripercussioni anche dal punto di vista salariale. Secondo il contratto collettivo nazionale delle cooperative sociali, chi si posiziona nella fascia C può arrivare al massimo a percepire uno stipendio lordo di 1.560 euro, mentre chi è inquadrato in D2 guadagna 1.694 euro mensili (lordi) che diventano 1.986 (lordi) per un E2.

«È un bel guadagno per una grande cooperativa pagare i propri dipendenti tra i 200 e i 400 euro in meno mensili, pur significando questo averne di non qualificati». La creazione dei due albi da una parte permetterà all’utenza di essere certa della professionalità degli operatori, dall’altra garantirà a pedagoghi ed educatori di essere inquadrati adeguatamente e dotarsi di un proprio apparato di rappresentanza.

Esiste il rischio asili chiusi?

«Il rischio che gli asili non riaprano a settembre, perché gli operatori verranno licenziati, non esiste. Quella attuale è una fase preliminare che serve a creare il corpo elettorale che sceglierà consiglieri e presidenti degli ordini regionali e di quello nazionale. Poi bisognerà dotarsi di un codice deontologico, stiamo parlando di procedure che richiederanno almeno due anni. Solo quando tutta la macchina entrerà a pieno regime sarà per tutti obbligatorio essere iscritti agli ordini di riferimento», dice Prisciandaro.

Per difendere il lavoro fatto finora e scongiurare la possibilità, che pure era stata prospettata dalla deputata Carolina Varchi (Fratelli d’Italia), di spostare in avanti il termine per l’invio delle domande di iscrizione al 31 dicembre, facendo così slittare tutti i prossimi appuntamenti per la formazione dell’ordine, Apei ha anche scritto una lettera al ministro della Giustizia, Carlo Nordio.

Nel testo della missiva si legge che «le motivazioni addotte da chi chiede una proroga sono manchevoli di qualsivoglia fondamento». Tra esse rientrerebbe proprio la ristrettezza delle tempistiche per presentare domande di iscrizione. Sono già oltre 100mila, però, quelle che sono arrivate.

Nel frattempo, viste alcune difficoltà a livello locale, i commissari regionali di Lazio, Puglia e Veneto hanno deciso di prorogare la scadenza per la presentazione delle domande, rispettivamente al 12 agosto, al 2 ottobre e al 15 settembre.

E il rischio licenziamento?

Non esisterebbe neanche il rischio di licenziamento, dal momento che la legge 205 del 2017 impedisce che sia sollevato dall’incarico il lavoratore che abbia svolto almeno un anno di servizio. Inoltre, le tempistiche per l’avvio della macchina che, come si diceva, dovrebbero durare fino al 2026, permetterebbero a coloro che non hanno i requisiti di avviare percorsi di formazione in tempi utili per evitare di rimanere senza lavoro.

«Nessun blocco dei servizi, nessun bambino in strada, nessun abbandono dei nostri utenti né comunità chiuse per il licenziamento di migliaia di operatori! Senza considerare che questo, tra l'altro, confermerebbe la circostanza che nei servizi educativi di cura, assistenza e sostegno alla fragilità lavora "la qualunque" come diceva un noto comico, ma è evidente che non esiste alcuna "crisi" e che c'è tutto il tempo per adeguarsi alle nuove norme. È evidente la stizza e la preoccupazione che spinge il mondo imprenditoriale dei servizi educativi e di cura di perdere i propri "operatori a basso costo" e doverli sostituirli con professionisti qualificati per servizi di qualità», si legge ancora nella lettera a Nordio.

Il problema delle caselle mail piene

Tuttavia, alcuni educatori e pedagogisti stanno riscontrando delle difficoltà a finalizzare le domande di iscrizione agli albi. I moduli vanno inviati, infatti, alla casella di posta del tribunale di competenza.

«È da ieri mattina che sto provando a inoltrare la domanda per l'iscrizione all'albo degli educatori al tribunale di Roma, ma mi torna sempre indietro perché la loro casella postale è piena», scrive un utente su Facebook. Un problema riscontrato da più persone.

Anche questo problema, però, secondo Prisciandaro potrà essere aggirato senza spostare al 31 dicembre il termine per le iscrizioni: «In quei comuni, tra cui Roma, in cui il commissario è stato nominato con qualche giorno di ritardo rispetto all’entrata in vigore della legge dell’8 maggio 2024, sarà possibile ritenere valide anche le domande arrivate dopo il 6 agosto. I 90 giorni (previsti per presentare la domanda, ndr) saranno considerati a partire dalla data di nomina del commissario».

© Riproduzione riservata