Regione Lombardia decide di fare una campagna sui propri canali social sulla sicurezza stradale. Iniziativa lodevole. Solo nella città di Milano, lo scorso anno, sono morte in strada oltre 20 persone. Quasi due al mese (ma è un dato più basso rispetto a quello nazionale). L’ultima vittima l’11 dicembre, quando una madre di 34 anni è stata travolta da un camion mentre attraversava sulle strisce pedonali con i suoi due bambini nel passeggino.

A chi ha scelto di rivolgersi il Pirellone? Agli automobilisti? A chiunque guidi mezzi in strada? No, ai pedoni stessi. Nato sicuramente con un’altra intenzione – sensibilizzare (anche) chi è a piedi – il post si è trasformato in un boomerang e ha scatenato un’ondata di polemiche. Tra chi accusa la regione di essere «riuscita a colpevolizzare pure i pedoni che attraversano sulle strisce», e chi di stare scherzando, «ma con il fuoco».

A fine giornata ci ripensa. «Il presidente Attilio Fontana ha disposto la sospensione della campagna social sulla sicurezza stradale», si legge in una nota. Che aggiunge: «Sia chiaro un concetto. L’obiettivo non era in alcun modo colpevolizzare i pedoni ma quello di fornire a tutti i soggetti coinvolti nella circolazione stradale consigli utili per prevenire incidenti».

«Cosa fare per evitare un incidente?»

«Cosa puoi fare per evitare un incidente?», si chiedeva la regione governata dalla Lega sul proprio profilo Instagram. Poi snocciolava i dati consolidati dell’Istat: «Nel 2023 in Lombardia sono morti 58 pedoni e 3.663 sono rimasti feriti in incidenti stradali», sottolineando come la maggior parte di questi avvengano proprio sulle strisce pedonali.

«Sai perché? – ci si interrogava nel post –. Molti pedoni danno per scontato di avere sempre la precedenza, senza tenere conto che la sicurezza dipende anche dalla loro attenzione». E poi elencava una serie di comportamenti utili per evitare il peggio. «Non utilizzare il cellulare o le cuffie», «cerca un contatto visivo con il conducente del veicolo», «non affiancarti mai a un mezzo pesante, camion o autobus, perché questi veicoli non possono vederti a causa degli angoli ciechi».

«Potevate scrivere di evitare di camminare»

La campagna di comunicazione non ha centrato l’obiettivo. Il post è stato preso d’assalto da centinaia di commenti e per questo cancellato, «considerati alcuni passaggi fuorvianti», come specifica la nota del Pirellone. Qualcuno era ironico. «Potevate scrivere direttamente di evitare di camminare a piedi per strada», «ma certo, povere auto, sono i pedoni a dover stare più attenti». Altri erano più critici, come la vicesegretaria del Pd milanese Giulia Pelucchi: «Come può un’istituzione diffondere un messaggio del genere?».

Già dal secondo immediatamente successivo alla pubblicazione del post, il social media manager del Pirellone si era messo al lavoro per provare a chiarire il senso del messaggio. «L'obiettivo del post è far capire ai nostri utenti che l'attenzione non è mai troppa: ognuno, indistintamente, diventa responsabile quando si parla di sicurezza stradale, perciò è fondamentale sensibilizzare – ha scritto la regione in risposta a un commento –. Chi guida deve rispettare i pedoni, ma anche chi attraversa dovrebbe farlo con prudenza». Ma la toppa non è riuscita comunque a coprire il buco.

Nel 2024 morti 475 pedoni

Al di là della polemica social lombarda, il tema esiste ed è urgente. La fotografia più aggiornata relativa al 2024 l’ha scattata qualche giorno fa l’Asaps, nel suo report Osservatorio pedoni realizzato in collaborazione con Sapidata. I numeri non sono incoraggianti: dal 1° gennaio al 31 dicembre dello scorso anno in Italia sono morti 475 pedoni, più di uno al giorno, 35 in più rispetto a quelli contati dall’associazione nel 2023. Circa la metà tra questi (253, il 53 per cento del totale) aveva più di 65 anni, i minorenni investiti e uccisi sono stati 18.

Dal report dell’associazione – che monitora quotidianamente la situazione sulle strade italiane e che qualche giorno fa ha sbugiardato Salvini sui dati (sbagliati) degli incidenti in calo – è emerso che, come ha anche sottolineato Regione Lombardia nel post incriminato, la maggior parte dei decessi avviene «nel luogo più sicuro, quello delle strisce pedonali dei centri urbani, anche con il semaforo che dava loro la possibilità di transitare in sicurezza dall’incrocio». Un eccesso di prudenza va sempre meglio, ma in questi casi il codice della strada è chiaro: sulle strisce i pedoni hanno sempre la precedenza (se non rispettata per l’automobilista è prevista la perdita di otto punti dalla patente). «Ancora troppi i casi di pirateria stradale – continua il report –, oltre 50 con quasi il 10 per cento di tutti gli investimenti mortali, con la fuga del conducente che ha provocato il sinistro».

Andando poi a vedere i dati regione per regione, emerge come sia proprio la Lombardia la più colpita da questa «piaga», con 79 morti, seguita da Campania (53), Emilia-Romagna (41) e Toscana (38). E quest’anno è iniziato nello stesso modo con cui si è concluso lo scorso, visto che secondo le prime stime dell’Asaps dal 1° al 13 gennaio sono morti 13 pedoni. Uno al giorno.

I dati sui ciclisti

Se i pedoni sono «gli utenti più vulnerabili della strada», dietro di loro ci sono i ciclisti. Anche qui i dati di chi perde la vita pedalando sono allarmanti. Sempre secondo la stima preliminare dell’Asaps sul 2024, nello scorso anno sono morte 204 persone in sella alle proprie biciclette. Andando a lavoro, tornando a casa, facendo una passeggiata. E anche in questo caso la Lombardia ha il triste primato di vittime (35), seguita dall’Emilia-Romagna (32) e dal Veneto (31). I picchi di incidenti nei mesi più caldi, a luglio e ad agosto.

Le associazioni che si occupano di questi temi insistono su due binari: potenziare (e mettere in sicurezza) le piste ciclabili e abbassare i limiti di velocità nei centri urbani. Sul primo punto, secondo i dati del dossier «L’Italia non è un paese per bici» di Clean Cities, Fiab, Kyoto Club e Legambiente, l’Italia – con i suoi 2,8 chilometri di ciclabili per 10 mila abitanti – è «maglia nera d’Europa». Il rapporto stima che nel nostro paese, per avvicinarsi alla media europea, servirebbero entro il 2030 altri 16 mila chilometri di strade destinate ad hoc ai ciclisti. Per dare un ordine di grandezza, basta pensare che città virtuose come Modena, Ferrara e Reggio-Emilia hanno tra i 12 e i 15 chilometri ogni 10 mila abitanti, mentre Helsinki e Amsterdam – dove la cultura della bicicletta è già realtà da anni – ne hanno rispettivamente 20 e 14.

Sulle piste ciclabili è intervenuto anche il nuovo codice della strada, entrato in vigore il 14 dicembre scorso, con il divieto di bike lanes «leggere», cioè senza cordoli di protezione. Il comune di Milano, per esempio, per velocizzare la nascita di più piste ciclabili possibili, ha intrapreso da anni questa strada (la questione è estremamente dibattuta: meglio tante piste ciclabili, anche se inizialmente meno sicure, o poche ma fatte bene?). Ora con le nuove norme rischia di «cancellare» solo nel capoluogo lombardo oltre 80 chilometri.

Il nuovo codice della strada impatta anche su un altro aspetto, quello più criticato dalle associazioni di pedoni e ciclisti (qui la loro denuncia sul nostro giornale): i limiti di velocità e l’utilizzo dei rilevatori. Molte città negli ultimi anni hanno istituito aree in cui il limite è di 30 km/h, le cosiddette «zone trenta» tanto odiate dal ministro Salvini. Il primo grande comune a iniziare questa sperimentazione, seguendo l’esempio di molte altre realtà europee, è stata Bologna.

Con le nuove norme entrate in vigore a metà dicembre è stata vietata anche l’istallazione di autovelox per limiti inferiori ai 50 km/h, quelli normalmente previsti per le strade urbane. Finendo così per vanificare gli sforzi di molti comuni che finiscono per essere privati dell’unico strumento a disposizione per far rispettare concretamente i divieti: la rilevazione di velocità (e la sanzione che ne consegue). 

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