La ministra della Giustizia, Marta Cartabia, ha sospeso dal servizio 77 agenti del corpo della polizia penitenziaria, 52 dei quali già raggiunti da misure cautelari per l’«orrenda mattanza» del 6 aprile 2020 nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. Per gli altri indagati, in tutto sono 117, sono stati chiesti atti per valutare le singole posizioni.

Al momento sono ancora in servizio, in attesa degli approfondimenti del ministero e del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Ma confrontando le migliaia di pagine giudiziarie con i frammenti dei video emerge un altro capitolo inquietante di quel massacro: gli impuniti.

Gli inquirenti continuano a tentare di identificare i massacratori senza volto. Ci sono decine di agenti che non sono stati riconosciuti e lavorano ancora a contatto con i detenuti. Intanto, una trentina di detenuti vittime dei pestaggi sono stati trasferiti in altri istituti di pena, soluzione caldeggiata dai familiari che, però, bocciano le destinazioni. Alcuni detenuti sono finiti in Sicilia o in Calabria, rendendo complicate le visite per i congiunti.

La questione degli impuniti resta irrisolta. Guardando i video emerge su tutti un agente che indossa guanti arancioni. Alto un metro e settanta, occhiali e mascherina bianca. Dalle immagini si nota la sua particolare ferocia. L’agente indossa quasi sempre guanti arancioni «da bricolage», scrivono gli inquirenti.

Uno spezzone di quattro minuti disponibile sul sito di Domani sintetizza alcune delle azioni che lo vedono protagonista, a volte munito di manganello, altre volte di un bastone.

È uno dei protagonisti assoluti della mattanza. È lui che si accanisce brutalmente su un detenuto riverso a terra che ha già subito ogni genere di violenza. L’uomo dai guanti arancioni viene fermato dai colleghi: non vogliono che ci scappi il morto. Chi è questo agente? Dove lavora?

I picchiatori senza nome

Per capirlo gli inquirenti hanno interrogato i suoi superiori. Nel novembre scorso la commissaria capo responsabile del reparto Nilo, Anna Rita Costanzo – ai domiciliari e sospesa – ha fornito agli inquirenti un contributo per individuare Antonio De Domenico, finito nel carcere militare insieme ad altri sette agenti.

Le immagini mostrano il suo fanatico accanimento su corpi inermi, e il video è stato mostrato anche a Costanzo. Insomma, tutti sapevano dell’esistenza dei video, anche gli stessi indagati. Costanzo collabora per individuare i sottoposti, ma «la sua ricostruzione dell’accaduto appare lacunosa, laddove non ha ben specificato la dinamica degli accadimenti, con particolare riguardo alle modalità concordate mediante le quali avrebbe dovuto svolgersi la perquisizione, che di fatto non possono non esserle note, avendola lei diretta per l’intero svolgimento, come evincibile dai filmati del circuito di videosorveglianza», scrive il giudice.

Dopo l’individuazione del soggetto gli inquirenti ricostruiscono tutte le azioni violente. Una carrellata di soprusi. «L’agente viene ripreso mentre sferra un calcio al detenuto», «dopo aver indossato dei guanti colore arancione fluorescenti, picchia alla testa un detenuto», «rincorre un detenuto (non identificato) e lo percuote violentemente con degli schiaffi alla nuca», «viene ripreso mentre percuote con schiaffi e calci, rincorrendolo per un tratto del corridoio, un detenuto di colore con la maglia del Barcellona», «rincorre un detenuto (non identificato, con maglione bianco e pantalone nero) picchiandolo violentemente alla testa con degli schiaffi», «per le percosse subite si riversa al suolo, nonostante sia a terra il De Domenico non cessa la sua opera violenta, scagliando violente manganellate all’indirizzo del detenuto, le percosse vengono interrotte». Per gli inquirenti si distingue «per la peculiare pervicacia e l’incomprensibile violenza manifestata nell’accanirsi gratuitamente mediante schiaffi in testa e calci al fondoschiena contro gli inermi detenuti». Nel caso dell’agente De Domenico si è arrivati al riconoscimento, ma in altri casi no. Alcuni sono suoi complici.

«Un agente non identificato munito di casco e guanti blu in lattice si avvicina a De Domenico e dopo averne interloquito con quest’ultimo, gli consegna un manganello in gomma di color nero, il De Domenico lascia a terra il bastone marrone e prende quello in gomma», scrivono gli inquirenti. Chi sia l’agente che gli passa il manganello non è noto. Così come altre decine di agenti, muniti di casco, provenienti prevalentemente da altri istituti.

Aggravare le misure cautelari

Parti consistenti dell’inchiesta che fanno riferimento ad agenti non identificati. «L’agente della penitenziaria – allo stato non identificato – che ivi lo aveva condotto, lo colpiva violentemente con colpi di manganello sferrati alla testa, alla schiena, al bacino, alle costole e sul viso», «un altro agente lo afferrava per la barba stracciandogliela, gli sputava addosso e lo percuoteva con pugni al volto (…) e circa quindici agenti, allo stato non identificati, lo accerchiavano, gli sputavano addosso, lo insultavano e lo minacciavano con espressioni del tipo “… ai romani e ai napoletani oggi abbiamo rotto il culo”». L’inchiesta non si ferma e punta a individuare gli altri responsabili, intanto la procura ha presentato ricorso contro l’ordinanza, firmata dal giudice Sergio Enea, chiedendo al Tribunale del riesame l’aggravamento delle misure cautelari per alcuni indagati.

 

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