- Il ritrovamento del 4 maggio a Roma del cinghiale infetto da peste suina africana nell’area della riserva naturale dell’Insugherata ha portato il sistema veterinario nazionale a un livello di guardia altissimo.
- Fino a oggi i contagi sono stati segnalati esclusivamente nel selvatico e si dovrà fare di tutto per impedire il salto nei domestici. Se il virus dovesse colpire un solo capo di un allevamento dovrebbero essere abbattuti tutti gli animali presenti.
- Dopo la prima segnalazione della Psa, il 7 gennaio, sono stati attivati i sistemi di monitoraggio del territorio, la cosiddetta sorveglianza passiva, e la costruzione di recensioni. Nelle aree colpite sono state vietate le attività venatorie, le escursioni a piedi, in mountain bike, le attività sportive e la raccolta di funghi.
Il ritrovamento del 4 maggio a Roma del cinghiale infetto da peste suina africana (Psa), nell’area della riserva naturale dell’Insugherata a nord della capitale, ha portato il sistema veterinario nazionale a un livello di guardia altissimo.
Le numerose misure di contenimento per arginare il diffondersi del virus, pensate subito dopo le segnalazioni della malattia giunte da Piemonte e Liguria a inizio gennaio scorso, necessitano di un rifornimento in volo immediato, perché nessuno ha il tempo per potersi fermare.
Una lotta verso un nemico invisibile e letale, contro cui si deve rafforzare il cordone sanitario e mettere in sicurezza un comparto che conta 8,5 milioni di suini allevati, per più del 77 per cento tra Lombardia, Emilia Romagna e Piemonte. Un giro d’affari da circa 1,5 miliardi di euro di vendite internazionali, con oltre 500 milioni nei mercati non Ue, dove i salumi rappresentano uno dei punti più alti dell’eccellenza agroalimentare made in Italy.
Fino a oggi i contagi sono stati segnalati esclusivamente nel selvatico e si dovrà fare di tutto per impedire il salto nei domestici. Se il virus dovesse colpire un solo capo di un allevamento dovrebbero essere abbattuti tutti gli animali presenti. La Psa non ha alcun effetto sulla salute dell’uomo ma è invece altamente infettiva e letale per suini e cinghiali, con punte di mortalità, soprattutto nei domestici, intorno al 90 per cento.
Le misure per fermarla
La catena di comando della task force dedicata al contrasto della Psa è stata integrata con l’ingresso del sottosegretario alla Salute, Andrea Costa, delegato dal ministro Roberto Speranza alla gestione dell’emergenza. Costa dovrà porre in essere e monitorare la realizzazione di attività di contenimento ed eradicazione della peste suina nei cinghiali e promuovere azioni di prevenzione della sua diffusione nei suini di allevamento.
Un compito che il rappresentante del governo condividerà con il commissario straordinario nazionale all’emergenza Psa, Angelo Ferrari, con tutte le strutture ministeriali e regionali interessate, facenti capo a Sanità, Agricoltura e Ambiente.
La prima segnalazione della Psa sulla penisola è datata 7 gennaio 2022 con il ritrovamento di un cinghiale positivo a Ovada, in provincia di Alessandria. Nei giorni seguenti si sono attivati tutti i sistemi di monitoraggio del territorio, la cosiddetta sorveglianza passiva, alla ricerca di altre carcasse di animali deceduti a causa della malattia.
Da allora, tra il basso Piemonte e la Liguria, sono stati rinvenuti ben 115 cinghiali positivi. Queste regioni, fortemente sollecitate dalle organizzazioni di categoria agricola, sono intervenute con le proprie strutture sanitarie supportate da provvedimenti emergenziali nel cercare di delimitare la zona infetta.
Si sono quindi vietate le attività venatorie, le escursioni a piedi, in mountain bike, le attività sportive e la raccolta di funghi in quelle aree a rischio, dove con il passare dei giorni venivano rinvenute carcasse positive.
La delimitazione di zone rosse con la massima riduzione della presenza umana ha l’obiettivo di ridurre la possibilità di circolazione della malattia, che spesso si muove più velocemente con l’uomo invece che con i cinghiali. Basta infatti calpestare escrementi infetti per trasportare la Psa con le scarpe; basta sporcare di fango infetto la propria auto per permettere al virus di percorrere decine e centinaia di chilometri.
Il commissario
Alle misure sanitarie locali si sono aggiunti gli interventi governativi emanati dalla presidenza del Consiglio. Passaggio determinante è stato la nomina del commissario Ferrari a cui sono stati affidati i compiti di coordinamento dei servizi veterinari, di verifica sulla regolarità degli abbattimenti e della distruzione degli animali infetti e dello smaltimento delle carcasse, nonché tutte le attività di disinfestazione svolte sotto il controllo delle Asl.
Al commissario è stato inoltre affidato il compito di poter procedere con la messa in opera di recinzioni nelle aree infette così da contenere gli spostamenti dei cinghiali. Altro intervento fondamentale ha riguardato i depopolamenti nel domestico e nel selvatico nelle zone rosse e il blocco alle movimentazioni dei suini.
Tali misure hanno generato forti aumenti nei costi di gestione degli allevamenti, soprattutto intensivi, che hanno accelerato i lavori dell’esecutivo nello stanziare circa 50 milioni di euro di fondi per il comparto.
Il caso romano
L’origine del focolaio romano è tutta da capire: c’è l’ipotesi della provenienza di scarti alimentari infetti dal nord Italia oppure dall’estero. Certo è che le popolazioni fuori controllo di cinghiali che affollano i parchi della capitale (Roma ha il territorio agricolo più vasto d’Italia) e l’emergenza rifiuti sulle strade sono criticità con cui si dovrà fare i conti nell’immediato.
Ora l’emergenza Psa non ha più un taglio regionale, ma fa paura all’intero paese. Unica nota positiva è la sostanziale eradicazione avvenuta in Sardegna, dove era sbarcata nel 1978. Dopo un approccio determinato e innovativo, portato avanti tra il 2015 e il 2019 contro la malattia, sono oltre tre anni che non si ha più alcuna evidenza del virus sia nel domestico e sia nel selvatico. Forse sarebbe il caso di chiedere ai sardi come hanno fatto.
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