Nei 7mila e passa km di distanza tra il sud dell’India e il nord d’Italia, più o meno nello stesso momento del pomeriggio di domenica, Amedeo Della Valle segnava i canestri necessari per portare Brescia in testa al campionato di basket e Simone Giannelli serviva i palloni giusti per dare a Perugia il secondo titolo mondiale consecutivo di pallavolo nella sua storia. Messe assieme fanno meno abitanti di Bologna, 362mila in tutto, ma sono le ultime due cartoline che arrivano a raccontare i miracoli sportivi della provincia italiana. C’è un solo sport di squadra nel quale la maggioranza degli scudetti è di proprietà dei club residenti nelle quattro città italiane più grandi, le sole dagli 800mila abitanti in su. Roma, Milano, Torino e Napoli ne hanno vinti 89 in tutto e minacciano di non fermarsi. È dal 1991 che il titolo non esce dal solito giro, l’anno della Sampdoria, e per trovare una squadra campione in un comune che non fosse capoluogo di provincia bisogna tornare alla Novese del 1922. Anche il calcio femminile va prendendo la stessa piega, con la nuova rivalità al vertice tra Juventus e Roma. Sono sei anni che non si scappa da questo dualismo, nel 2017 vinse Firenze.

Firenze è pure la prima città da 300mila abitanti su nella annuale classifica sull’indice di sportività a cura del Sole 24 Ore. Prende in considerazione l’ospitalità di grandi eventi, il numero di atleti tesserati e di società sportive, i risultati individuali e di squadra, il panorama dello sport paralimpico, gli investimenti, il turismo sportivo, le scuole di formazione. Le eccellenze sono Trento, Trieste e Cremona, 387mila abitanti in tutto, sette volte in meno di Roma. Le quattro grandi città non hanno mai vinto uno scudetto nei campionati femminili di pallanuoto, rugby, hockey su ghiaccio e pallavolo. Ora Milano ha messo a bilancio più o meno un milione di euro per spezzare questa attesa con Paola Egonu. In tutti gli sport di squadra eccelle l’altra Italia, quella che aspetta il sabato nel suo borgo selvaggio (Leopardi) oppure in provincia, dove sembra tutto finito poi ricomincia (questo invece è Jonanotti).

Il Mondiale di Perugia

La pallavolo in Umbria ha una tradizione che passa da Spoleto e da Città di Castello. Adesso Perugia celebra il suo secondo titolo mondiale com’era successo solo al Cruzeiro in Brasile e a Trento. Per una settimana intera, a Bangolore, non ha perso mai un set in quattro partite. È la squadra che stava dominando il campionato finché non sono arrivati i play-off e ha perso così lo scudetto. Ha cambiato allenatore. Ha portato via Angelo Lorenzetti ai campioni d’Italia. Per chi non potesse fare a meno di un riferimento calcistico, Lorenzetti è una specie di Sarri. Anche lui lavorava in banca, otto anni alla Cassa di Risparmio di Fano. Quando c’erano le partite importanti, prendeva le ferie. Fino al giorno in cui Julio Velasco lo chiamò nello staff delle nazionali giovanili e fece il salto, lasciò il posto fisso e si mise a insegnare pallavolo. Lorenzetti è convinto che nel bagaglio di un bravo allenatore debba essersi la capacità di usare le immagini per far passare dei concetti. Lui prende in prestito i personaggi del Mago di Oz. Lo spaventapasseri, l’uomo di latta, il leone. Così parla ai suoi ragazzi di viaggi, di viaggi e di sogni, di sogni e traguardi. I soldi li mette Gino Sirci, titolare di un’azienda che fattura intorno ai 70 milioni nella produzione di prodotti per la prevenzione di infortuni sul lavoro, tute, guanti, calzature, cinture di sicurezza. Nella pallavolo ne investe due e mezzo all’anno. Si è appassionato perché suo figlio giocava nelle giovanili a Bastia e inizialmente fece da sponsor. Adesso nella casa al mare si è fatto un campo di beach volley. Dicono che sia un burbero, lui preferisce serio. Intorno al palleggiatore della nazionale - Simone Giannelli - ha messo insieme un gruppo di giramondo, dall'opposto cubano Jesús Herrera a Wilfredo León - che da Cuba è andato via per fare il professionista, prendendo il passaporto della Polonia. Polacco è lo schiacciatore Kamil Semeniuk, Oleg Plotnitsky viene dall'Ucraina, Wassim Ben Tara ha padre tunisino, madre polacca, lui parla italiano, arabo e francese per via delle precedenti esperienze con il Lione, lo Chamount e l’Ajaccio.

La pallavolo italiana detiene fino alla prossima settimana anche il titolo mondiale femminile, con un altro miracolo costruito in provincia, la squadra di Conegliano, espressione del Nord Est ricco e operoso, con investimenti che arrivano dalle cantine locali. Dal territorio locale alle attenzioni mondiali. È il modello di sport e marketing della pallavolo, ma non può dirsi un’invenzione, se la Ferrari è nata in un posto da 18 mila abitanti alle porte di Modena. Nella pallanuoto sono diventati insuperabili a Recco, meno di 10mila abitanti, nonostante peripezie decennali per avere una piscina coperta. Hanno vinto 11 volte la Champions e 16 degli ultimi 17 scudetti.

Il primato di Brescia

L’unico sfuggito è andato a Brescia, 196mila abitanti, adesso in testa al campionato di pallacanestro per un’eclissi imprevista di Milano e una sconfitta di troppo della Virtus Bologna. Il merito sul campo è del lavoro di Alessandro Magro, assistente allenatore già a 22 anni, coraggioso abbastanza da mettere le sue cose in valigia e andare a mettersi alla prova in Russia e in Polonia. Dopo il suo rientro a Brescia, ha già vinto una Coppa Italia. Gli hanno dato il premio come miglior coach della stagione, lui risponde chge il vero valore è partecipare alla formazione di un ragazzo. Il suo slogan: «Condividere il pallone in attacco, condividere la fatica in difesa». Lo seguono. Così si è arrampicato in cima alla classifica in uno sport che è sempre in mezzo a un guado. Gianni Petrucci, presidente della federazione, quattro anni fa diceva che il suo sogno è il ritorno di Roma e di una seconda squadra di Bologna in Serie A. Ettore Messina, allenatore e presidente di Milano con un’esperienza nel basket NBA ai Lakers e San Antonio, la vede diversamente. «Il campionato italiano - disse in una intervista alla Gazzetta - è storicamente legato all’epopea di club provinciali che hanno vinto tanto: Cantù, Varese, Pesaro, Caserta, Siena. Credo sia giusto che rimanga così. Nella Nba c’è il concetto di small market. Una finale Los Angeles-New York non è determinante per il bene della Lega che invece è florida e dinamica anche se in finale vanno città e franchigie meno famose e popolate». LeBron James ha portato all’anello la sua città, Cleveland, grande quanto Bologna. Gli USA sanno quanto sia prezioso avere la provincia al tavolo con le metropoli. Il calcio italiano deve ancora impararlo. In tutti gli altri sport possono essere beati i piccoli.

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