Andrea Pirlo è un’ombra. Il che, detto di uno che in campo ha illuminato il calcio per una ventina d’anni, è abbastanza paradossale; la vita, però, è fatta di scelte, e quando si sceglie di fare l’allenatore, oltre a rivendicare idee e stile quando si tratta di mettere in tasca il patentino (il titolo della sua tesi a Coverciano era Il mio calcio), bisogna mettere in conto i giorni nei quali, quando una panchina non la si ha e si è su piazza, si finisce per entrare nelle cronache giornalistiche come papabile per sostituire questo o quel collega sotto tiro. Appunto: un’ombra sulla testa di chi sta invece lavorando.

Se oggi Andrea Pirlo è un’ombra, la colpa è della Sampdoria che lo ha sollevato dal proprio incarico di allenatore già a fine agosto, con il campionato di B ancora ai primi vagiti; così, siccome un anno fa è caduta la regola che impediva a un tecnico esonerato da un club di sedersi su un’altra panchina di A e B nel corso della stessa stagione, quello di Pirlo diventa un nome spendibile, appunto l’ombra su color che son sospesi, come d’autunno sulle panchine certi allenatori.

L’Italia del 2006

Quali? Beh, uno su tutti in questo periodo: Alessandro Nesta, dato per pericolante a Monza, dove il plenipotenziario è Adriano Galliani e, almeno questo racconta radiomercato, viene facile fare due più due e ipotizzare Pirlo come eventuale rimpiazzo di colui che era stato suo compagno di stanza al Milan e pure in Nazionale, nel 2006. Vera o no che sia la voce, il punto è che sempre lì si torna: giugno-luglio 2006, l’Italia che diventa campione del mondo.

L’Italia di Pirlo è centrale, e non solo per la cronologia della sua carriera, nell’ultimo libro della collana “Vite inattese” di 66and2nd, dedicato proprio a colui che, scrive con una certa enfasi l’autore di Andrea Pirlo, dalla testa ai piedi, Alfonso Fasano, «ha cambiato per sempre il calcio».

L’Italia del 2006 è la Nazionale di tanti ragazzi di allora che oggi, diciotto anni e spiccioli dopo, si ritrovano allenatori. Nesta vivrà un pomeriggio potenzialmente cruciale per la sua panchina domenica a Monza contro la Roma, quella stessa Roma che ha silurato De Rossi, un altro di quei ragazzi del 2006, un paio di settimane or sono, e in questo momento resiste in A assieme ad Alberto Gilardino; in B si trovano Fabio Grosso e Filippo Inzaghi, mentre Gennaro Gattuso è a Spalato e Mauro Camoranesi, marginale, a Cipro.

Pirlo, s’è detto, è un’ombra, e così pure Fabio Cannavaro, rilanciato a livello di credibilità dalla salvezza con l’Udinese lo scorso maggio. Ma il ruolo di allenatore è infido anche per una testa pensante e raffinata: se un predestinato sul campo si vede, e spesso non ci si sbaglia, in panchina è tutto diverso, e ai miti del 2006 tricolore, per ora, non è andata bene come ai colleghi francesi del 1998, che la bacheca l’hanno riempita anche da allenatori.

Didier Deschamps ha vinto pure un Mondiale, Zinedine Zidane tre Champions League, Laurent Blanc campionati e coppe, ultimamente una soddisfazione – ma qui a livello della percezione siamo sul crinale della delusione, probabilmente – se l’è presa pure Thierry Henry, con l’argento olimpico.

Trovare una dimensione

«Se sono un predestinato anche in panchina? Lo diranno i risultati, me lo dicevano da giocatore e si è avverato», disse Pirlo quando venne presentato come allenatore della Juventus, una frase ricordata anche da Fasano che alla vita attuale di Pirlo dedica le pagine conclusive della biografia, elogiando le sue scelte interessanti perché «inattese, controculturali, lontane dalla sua aura di aristocratico».

Tipo l’esperienza in Turchia, eppure il Maestro – con la maiuscola, perché sulla stampa estera soprattutto il Pirlo calciatore così era chiamato: Maestro, rigorosamente in italiano e con la maiuscola – nella sua seconda vita calcistica una dimensione ancora non ce l’ha, nonostante qualche trofeo alla Juventus l’abbia pure alzato, ma essere stato tanto aulico nella prima non lo aiuta, per una questione di aspettative.

Così, è presto diventato un’ombra, come il sentiero cantato in un tango di Gabino Coria Peñaloza, appunto Caminito, brano che ispirò il titolo di un romanzo di Osvaldo Soriano (Un’ombra ben presto sarai), uno a cui Pirlo sarebbe piaciuto tantissimo e che, in qualche misura, immortalando quel brano ha finito per descriverne l’attualità.

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