- Nella lotta alla mafia e alla corruzione c’è una nuova frontiera: fingere che non esistano, così da depurare da ogni elemento di negatività la narrazione positiva di un paese che deve investire rapidamente i 235 miliardi dei fondi europei del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).
- La riforma Cartabia sul processo penale sconta una lettura arcaica della mafia, che considera clan di mafia solo chi ostenta ferocia e violenza, mentre l’emergenza giustifica interventi straordinari e limature di norme considerate troppo rigide dalle associazioni di categorie.
- Meno regole e una lacunosa interpretazione dei fenomeni criminali. La mafia scompare, la corruzione pure. Chi continuerà a restare sobrio dall’ubriacatura collettiva saranno le vittime, escluse dal mercato inquinato e distorto dalla concorrenza sleale.
Nella lotta alla mafia e alla corruzione c’è una nuova frontiera: fingere che non esistano, così da depurare da ogni elemento di negatività la narrazione positiva di un paese che deve crescere, svilupparsi, e dunque investire rapidamente i 235 miliardi dei fondi europei del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e di altri finanziamenti collegati. La trama del favoloso futuro che ci aspetta però non fa i conti con i poteri criminali, espunti solo dal copione ma non dalla società.
Non c’è la volontà politica di affrontarli, perciò meglio insabbiarli, meglio spuntare le armi ai cacciatori di corrotti e mafiosi. Meno inchieste, meno clamore, maggiore sarà la fiducia dell’Europa nel paese.
Per questo l’architettura di norme che sorregge l’attuazione del Pnrr e la riforma del processo penale devono necessariamente essere interpretate come la seconda funzionale alla realizzazione degli investimenti miliardari previsti dal piano di ripresa finanziato dall’Europa.
La riforma Cartabia sul processo penale sconta una lettura arcaica della mafia, che considera clan di mafia solo chi ostenta ferocia e violenza. Caratteristiche necessarie per configurare il reato di associazione mafiosa prevista dall’articolo 416 bis del codice penale. Lettura che tuttavia mal si concilia con l’evoluzione criminale e culturale delle mafie italiane, strutturate come holding e società di servizi, che di rado oggi usano il piombo dei fucili contro istituzioni o “nemici” esterni, extrema ratio riservata solo ai traditori interni o a regolamenti di conti tra famiglie.
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Nel rapporto con lo stato, con la politica, con l’imprenditoria e i professionisti, le mafie usano metodi persuasivi differenti: la corruzione è il collante tra il loro mondo e quello dell’economia legale. Aver lasciato i reati di corruzione fuori dal regime speciale della riforma della giustizia, quindi soggetti all’improcedibilità se il processo non si chiude entro tempi stabiliti dalla legge, è sintomo di miopia interpretativa del fenomeno mafioso odierno.
Un famoso narcotrafficante palermitano poi pentito con Giovanni Falcone disse al giudice poi trucidato con la bomba di Capaci: «Dottore qui la chiamate mafia, a Milano corruzione». Sarebbe stato sufficiente conoscere questi dati storici per riportare il paese e la lotta ai clan indietro nel tempo.
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Demonizzare le regole
Nel nome del Pnrr una serie di regole sono state cambiate, l’Europa lo esige. Prendiamo la materia complessa degli appalti pubblici, che già nel governo Conte 1 con la Lega al governo aveva aumentato la soglia dei subappalti al 40 per cento dal 30 precedente. Per gli esperti di infiltrazioni mafiose è stato un errore, replicato negli anni successivi con l’arrivo di Draghi.
La soglia inizialmente aumentata al 50 per cento, dal primo novembre è stata eliminata rendendo il subappalto libero. Come chiedeva l’Europa, appunto. A Bruxelles però sono da sempre indifferenti al fenomeno mafioso nella sua versione finanziaria. Proprio per l’assenza di regole stringenti gli imprenditori delle cosche italiane avevano spostato il baricentro dei loro affari in Germania, Olanda, Francia, Belgio e Spagna.
L’Europa ci chiede di eliminare i paletti necessari a frenare la penetrazione dei clan nei cantieri e noi accettando poniamo le basi per un ritorno al passato, quando la giungla nei contratti pubblici ha garantito ai padrini affari d’oro con soldi pubblici.
Un caso di scuola sono stati i cantieri dell’autostrada Salerno Reggio Calabria. Laboratorio dell’illegalità, di corruzione e di ingerenza mafiosa. Regno del subappalto selvaggio, prima che venisse regolamentato, miniera di profitti milionari per le cosche locali, più che tollerate dai colossi delle costruzioni.
Allo stesso modo l’Alta velocità: da Napoli a Roma, da Torino a Milano, da Bologna a Piacenza, non c’è stato cantiere in cui grazie alle norme morbide sul subappalto, solo dopo rafforzate, le imprese di ‘ndrangheta, camorra e mafia siciliana non si siano state chiamate a compiere lavorazioni quali movimento terra, carpenteria, impianti.
Il settore delle infrastrutture, ambito in cui le mafie sono leader, sarà tra i beneficiari maggiori delle risorse del Pnrr: con oltre 25 miliardi attesi è il terzo dopo digitalizzazione e transizione ecologica.
Scudo emergenza
Terremoti, alluvioni, grandi eventi. E pandemie. L’emergenza giustifica interventi straordinari e limature di norme considerate troppo rigide dalle associazioni di categorie. Tuttavia dietro ogni emergenza italiana che si rispetti troviamo i padrini. La ricostruzione post terremoto in Irpinia negli anni Ottanta ha permesso alla camorra il salto di qualità da delinquenza a mafia imprenditrice. Gli appalti post sisma in Abruzzo e Emilia Romagna hanno visto le imprese della ‘ndrangheta e della camorra muoversi fin dai primi giorni, a partire dalla rimozione delle macerie. L’elenco dei disastri che hanno arricchito le mafie è sterminato.
Per la ricostruzione del paese dopo la pandemia gli indizi dell’interesse delle organizzazioni mafiose sono diventati subito prove certe. Alcuni mesi era stata la Direzione investigativa antimafia a mettere in guardia. Poi la guardia di finanza: «In effetti è emerso che la criminalità organizzata si è da subito interessata ai flussi finanziari erogati a sostegno dell’economia», si legge nella relazione del comandante generale dalla guardia di finanza, Giuseppe Zafarana, presentata in commissione antimafia a maggio 2021.
Il generale cita il caso di un imprenditore della ‘ndrangheta in Lombardia che «aveva ottenuto per tre società un contributo a fondo perduto correlato all’emergenza sanitaria». Zafarana ha poi aggiunto: «Le indagini svolte nel pieno del periodo pandemico hanno dimostrato che le organizzazioni mafiose hanno intravisto nell’emergenza sanitaria una ghiotta occasione di business».
Nonostante i segnali indichino che la mafie hanno già iniziato a banchettare con i soldi pubblici stanziati per l’emergenza sanitaria, invece di invocare più controlli e stimolare le indagini su corruzione mafiosa si invocano meno regole per procedere spediti verso l’obiettivo del 2026, l’anno in cui il governo dovrà rendicontare all’Europa i risultati del Pnrr. Meno regole e una lacunosa interpretazione dei fenomeni criminali. La mafia scompare, la corruzione pure. Il paese vivrà l’illusione di essere finalmente libero. Chi continuerà a restare sobrio dall’ubriacatura collettiva saranno le vittime, escluse dal mercato inquinato e distorto dalla concorrenza sleale.
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