- A imporsi è una figura che non ha alle spalle una ‘carriera’ da scrittore, né in generale una esperienza o professionalità letteraria significativa: Come d’Aria è infatti la prima prova narrativa di Ada D’Adamo, che si era occupata di danza e teatro prima di ammalarsi gravemente e morire – un mese dopo la candidatura del suo libro allo Strega.
- Mentre altri finalisti puntano sull’enfasi verbale, sul ‘pieno’ emotivo, sul coraggio e un po’ sull’idealismo, d’Adamo sottolinea il vuoto di senso, la distanza dalle cose, l’assenza di parole, il lasciar perdere: e così facendo svolge il vecchio eterno lavoro del romanzo, che è smascheramento dell’inautentico.
- Se La traversata notturna di Andrea Canobbio gli era forse superiore per qualità artigianale e progetto complessivo, Come d’aria non può e non deve essere ridotto a un referto carico di pathos (in una edizione del premio sovraccarica di traumi)
Assegnato ieri nella consueta cornice del Ninfeo di Villa Giulia a Roma, il premio Strega 2023 va a Ada D’Adamo, con Come d’aria, pubblicato da Elliott: una vittoria per certi versi sorprendente – la favorita alla vigilia, staccata alla fine di quindici voti, era Rosella Postorino, con Mi limitavo ad amare te, edito da Feltrinelli. Nel complesso un’edizione storica, per diverse ragioni.
Storica innanzitutto perché si afferma una scrittrice, circostanza che allo Strega si verifica sempre con parsimonia (anche se quest’anno, per la prima volta nella storia del premio, le donne in finale erano ben quattro, e la vittoria femminile ampiamente preventivata).
Edizione storica, poi, perché vince una casa editrice radicata a Roma ma realmente piccola - dopo il ballon d’essai di Guanda, che era piccola fino a un certo punto (e che nel 2018 vinse con La ragazza con la Leica di Helena Janeczek, fino a ieri l’ultima scrittrice ad aver vinto il premio).
Come dire che la ricerca di inclusività e l’erosione del gender gap incontrano lo sforzo di facilitare l’accesso dell’editoria media e piccola a quel premio – lo Strega – da sempre accusato di escluderla a beneficio di pochi grandi gruppi.
Storica infine questa edizione lo è stata perché per la prima volta, se non erro, a imporsi è una figura che non ha alle spalle una ‘carriera’ da scrittore, né in generale una esperienza o professionalità letteraria significativa: Come d’Aria è infatti la prima prova narrativa di Ada D’Adamo, che si era occupata di danza e teatro prima di ammalarsi gravemente e morire – un mese dopo la candidatura del suo libro allo Strega.
Il solo parziale precedente è forse quello di Mariateresa Di Lascia, ed è in effetti un doppio precedente: anche Di Lascia vinse uno Strega postumo (nel 1995, con Passaggio in ombra); anche lei – attivista politica – aveva scritto e pubblicato poco o nulla.
La metamorfosi dello Strega
Se la valorizzazione delle scrittrici e l’inclusione della piccola e media editoria sono fenomeni coerenti con la metamorfosi ‘democratica’ che il premio porta avanti da qualche tempo – non senza riguardo alla valorizzazione dell’immagine e quindi dell’appeal commerciale del brand Strega – cosa dobbiamo pensare della repentina promozione in serie A di una scrittrice-non-scrittrice?
A maggior ragione poi in una edizione, quella di quest’anno, in cui la ‘dilettante’ Ada D’Adamo competeva con quattro superprofessionisti dell’editoria – due poligrafe di lungo corso (Romana Petri e Maria Grazia Calandrone) e addirittura due scrittori-editor (Rosella Postorino e Andrea Canobbio, entrambi redattori per Einaudi)? Anche questa ‘sorpresa’ si può in realtà considerare parte di una strategia – e di una metamorfosi della nostra società letteraria?
Certamente nell’esito finale il contesto ha inciso, sull’onda dell’emozione suscitata dalla morte prematura e tragica di Ada D’Adamo e dal contenuto stesso del suo terribile romanzo (la malattia mortale che ha colpito l’autrice, e il rapporto con una figlia gravemente disabile vista attraverso la lente di questa malattia).
Ma andrà ricordato che i contenuti di altri libri in cinquina non erano potenzialmente meno lacrimevoli e toccanti: basti pensare ai bambini orfani di guerra di Rosella Postorino e alla madre suicida e all’orfanezza di Maria Grazia Calandrone. E d’altra parte, erano scritte e raccontate tanto meglio, le storie dei professionisti? Credo non abbia avuto torto il vedovo di D’Adamo, sul palco del Ninfeo, quando ha parlato di un premio «inaspettato e meritato»: Come d’aria è un libro ruvido ma onesto, tragico ma non sentimentale, imperfetto nella costruzione ma ricco di sorprese e di livelli; trova una sua identità stilistica nella rabbia e soprattutto nel pudore.
Mentre altri finalisti puntano sull’enfasi verbale, sul ‘pieno’ emotivo, sul coraggio e un po’ sull’idealismo, d’Adamo sottolinea il vuoto di senso, la distanza dalle cose, l’assenza di parole, il lasciar perdere: e così facendo svolge il vecchio eterno lavoro del romanzo, che è smascheramento dell’inautentico.
Se La traversata notturna di Andrea Canobbio gli era forse superiore per qualità artigianale e progetto complessivo, Come d’aria non può e non deve essere ridotto a un referto carico di pathos (in una edizione del premio sovraccarica di traumi). Resterà al tempo stesso come esempio del nostro attuale, paradossale bisogno di una ‘letteratura senza letteratura’, e insieme come opera riuscita, nata da una lucidità e da una disperazione estreme.
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