Le transenne e i cantieri che lambiscono piazza della Repubblica ricordano che Roma si prepara a ospitare il Giubileo tra un anno, l’anno della remissione dei peccati e della riconciliazione. Ma forse nessuno ci fa caso. In piazza del resto non c’è alcun talare nero, solo gli striscioni coloratissimi dei carri del Pride che quest’anno fa trent’anni. «Libera frociaggine in libero stato», c’è scritto sul grande camion targato +Europa.

E il parlamentare Riccardo Magi, quando lo incrociamo lungo il serpentone che rivendica i diritti delle comunità arcobaleno, ce lo fa notare. «Ha visto il nostro carro?», domanda. Per poi aggiungere che quella scritta, oltre a essere un chiaro riferimento alle parole di papa Francesco, sta a significare «che la laicità dello stato è importantissima», ma anche che la «salute di un paese passa per la tutela che decide di garantire in tema di diritti Lgbtqia+».

L’impegno di Schlein

È lunghissima l’onda rainbow che s’è radunata al Roma Pride. Il primo, di Pride, è datato 1994, l’ultimo è di sabato: ma tra passato e presente la strada per l’affermazione di libertà e diritti sembra ancora in salita, assai ripida da percorrere. «Oggi più che mai Roma è capitale di una società libera e solidale, a dispetto della presidenza del governo italiano del G7 che verrà ricordata per aver attenuato il riconoscimento dei diritti Lgbtq e di quelli delle donne», conferma la parlamentare del Partito democratico Cecilia D’Elia.

E sui carri – ci sono quelli dei sindacati, degli sponsor, di Amnesty International e del mondo associazionistico – sale anche la segretaria del Pd Elly Schlein. «Il governo Meloni è riuscito a far scivolare l’Italia alla trentaseiesima posizione, su quarantotto, sui diritti Lgbtqi+ e non lo accettiamo – dice Schlein – Vogliamo portare l’Italia nel futuro. Nella dichiarazione del G7 abbiamo visto sparire magicamente riferimenti al diritto all’aborto, all’identità di genere e all’orientamento sessuale. Noi del Pd continueremo a insistere per matrimoni egualitari e tra le altre cose per facilitare le adozioni, come anche per riconoscere pienamente i diritti dei figli delle coppie omogenitoriali. Possono cancellare», conclude la segretaria, «qualche parola da un documento ma non possono farlo coi nostri corpi».

«Roma è davvero inclusiva?»

“Bella ciao” si canta nel quartiere Esquilino, una volta che la parata si muove per raggiungere le Terme di Caracalla. Il “partigiano” della canzone di lotta e resistenza sostituisce per un attimo il “sexy boy” della ballata di Annalisa, madrina della manifestazione. Il sindaco Gualtieri, intanto, indossa il tricolore e dichiara: «Questa è una festa ma anche una lotta. Siamo qui per sottolineare che bisogna cancellare le disuguaglianze, quelle di tutti i tipi. Legislative e sociali».

A questo proposito al Pride partecipa anche il Disability Pride, la comunità che lotta in tutta Italia per affermare i diritti delle persone con disabilità. Martina Pasquale, attivista dell’associazione, racconta a Domani del lavoro svolto nelle ultime settimane per garantire accessibilità al Pride proprio alle persone con disabilità e neurodivergenze. «Noi facciamo tutto quello che possiamo – spiega – ma non possiamo sostituirci alle istituzioni e Roma non è affatto inclusiva, considerate le barriere architettoniche e i problemi per chi, in carrozzina o non vedente per esempio, l’attraversa. Abbiamo comunque fatto del nostro meglio per garantire a tutti la presenza».

Libera informazione

Sono tanti i temi che affiorano durante il corteo. Matrimonio egualitario, gestazione per altri, autodeterminazione dell’identità di genere, necessità di abolire le terapie di conversione e diritto alla salute. E poi diritto alla pace, diritto alla libera informazione.

Su un carro, quello degli organizzatori del Pride – il circolo Mario Mieli – campeggiano ad esempio i volti di giornalisti vittime di censure e analoghi casi. «Grazie a questa parata, quella a cui la Regione Lazio – chiosa il presidente del circolo, Mario Colamarino – ha revocato dall’anno scorso il patrocinio, vogliamo rivendicare tutti i diritti, anche quelli alla libera informazione che ci sembra, oggi, minata. Siamo spaventati da un governo che non ascolta».

Le polemiche

Non mancano le polemiche. L’attivista Sara Grimaldi, responsabile delle politiche di genere per Arci Roma e Lazio, è chiara. «Qui per rivendicare i diritti di tutte e tutti – dice – È un giorno importante, ma non possiamo non sottolineare che siamo critici davanti ad alcune scelte compiute dall’organizzazione: la sponsorizzazione da parte di multinazionali e poi il fatto che sia stata assunta una timida posizione nei confronti del genocidio in Palestina». Ma Colamarino è pronto a ribattere: «Noi siamo contrari alla guerra e per quanto riguarda le sponsorizzazioni, che dire, menomale che ci sono. Finiamola con questa retorica anti-tutto: così facendo non potremmo mai organizzare nulla».

Se da un lato si parla di «timida posizione verso la Palestina», dall’altro anche l’associazione queer Keshet Italia è polemica. «L’organizzazione ebraica queer ha deciso di non partecipare ai Pride nazionali per paura di aggressioni – si legge in una nota – Ci sentiamo abbandonati e traditi dalla comunità di cui facciamo parte. Continueremo a lottare insieme a tutte le persone che ci dimostrano alleanza e supporto».

Ed è ancora Colamarino a ribattere: «Qui sarebbero stati i benvenuti, con loro abbiamo interloquito fino all’ultimo per garantirne la presenza ma l’associazione ha ritenuto che ci fossero dei pericoli troppo grossi».Nonostante qualche polemica, dunque, e i vasi della città imbrattati dai militanti di Militia Christi, la parata procede. È una festa: non c’è, certo, neanche un prete per chiacchierare, ma le voci degli “invisibili” eccome se ci sono.

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