Si conclude oggi, con la richiesta delle pene, la dura requisitoria del promotore di giustizia. Gli imputati sono dieci. E per il cardinale la richiesta di condanna potrebbe sfiorare i 10 anni
Si concluderà mercoledì 26 luglio la prima parte del maxi processo in corso in Vaticano sull’utilizzo dei fondi della Segreteria di stato per la compravendita dell’immobile di lusso situato al 60 di Sloane Avenue, a Londra.
Il promotore di giustizia, Alessandro Diddi, procederà infatti con le richieste delle pene per i numerosi imputati coinvolti. Diddi solleciterà il tribunale a comminare pene pesanti, almeno dai 10 anni in giù, per tutti gli accusati. D’altro canto i reati di cui sono chiamati a rispondere sono estremamente gravi: si va dal peculato e abuso d’ufficio anche in concorso e di subornazione per il cardinale Giovanni Angelo Becciu, al finanziere Raffaele Mincione, al quale l’accusa contesta i reati di peculato, truffa, abuso d’ufficio, appropriazione indebita e autoriciclaggio.
Il coinvolgimento di un cardinale, in passato con un ruolo di primo piano in Segreteria di stato, ha attirato l’attenzione dei media di tutto il mondo su un procedimento che si è rivelato più complesso e alla fine controverso, incerto e discutibile nelle conclusioni, di quanto non potesse apparire in un primo momento.
La vicenda, in estrema sintesi, è legata a un investimento immobiliare realizzato con fondi della Segreteria di stato. Una manovra messa in atto da diversi soggetti, accusati di voler ottenere dei vantaggi personali, che avrebbe provocato una forte perdita alle casse vaticane. La storia ha preso il via da una denuncia fatta dallo Ior e dall’ufficio dl revisore generale, che ha aperto una faida interna alla chiesa. Fra ottobre e dicembre la parola passerà alla difesa e si vedrà allora se l’impianto accusatorio reggerà alla prova dei fatti.
Imputazioni gravi
Oltre a Becciu e Mincione ci sono altri otto imputati: l’avvocato Nicola Squillace, deve rispondere dei reati di truffa, appropriazione indebita, riciclaggio e autoriciclaggio (Squillace avrebbe fornito assistenza legale sia al Vaticano che al broker Torzi); Fabrizio Tirabassi, ex funzionario dell’ufficio amministrativo della Segreteria di stato, è accusato di corruzione, estorsione, peculato, truffa e abuso d’ufficio; il broker Gianluigi Torzi, è stato chiamato in causa per i reati di estorsione, peculato, truffa, appropriazione indebita, riciclaggio e autoriciclaggio.
Enrico Crasso, che è stato per oltre vent’anni gestore esterno delle finanze della Segreteria di stato, deve rispondere, fra gli altri, dei reati di peculato, corruzione, estorsione, riciclaggio e autoriciclaggio, truffa. C’è poi “l’esperta di intelligence”, Cecilia Marogna, accusata di peculato (la donna avrebbe utilizzato per sé fondi della Segreteria di stato affidatigli per favorire la liberazione di ostaggi); quindi monsignor Mauro Carlino, ex segretario personale di Becciu, all’epoca in cui era sostituto della Segreteria di stato; il successore del cardinale, monsignor Edgar Peña Parra, al quale sono stati contestati i reati di estorsione e abuso d’ufficio. Infine sono imputati nel processo l’ex presidente dell’Aif (Autorità d’informazione finanziaria, l’organismo che si occupa di antiriciclaggio in Vaticano) Reneé Brülhart, e l’ex direttore dello stesso organismo, Tommaso Di Ruzza, entrambi citati in giudizio per abuso d’ufficio (per quest’ultimo è caduta invece l’accusa di peculato).
Becciu il “regista”
Per Diddi il cardinale Becciu è stato il regista di un’operazione di carattere speculativo capace di provocare «un danno alla Segreteria di stato fra i 139 milioni e i 189 milioni di euro, a seconda degli scenari da prendere in considerazione». «Una voragine enorme – ha detto il promotore di giustizia del Vaticano durante la requisitoria – per di più fatta in spregio alle regole della costituzione apostolica Pastor Bonus sulla Curia romana e alle norme del Codice canonico».
Non è ben chiaro come investimenti immobiliari o mobiliari possano essere del tutto coerenti col codice di diritto canonico. In sostanza non di capisce se il processo ha valore per violazioni che riguardano il diritto civile e i contratti sottoscritti su un piano squisitamente finanziario (per altro con implicazioni internazionali sia sotto il profilo dell’investimento che investigativo) o se, invece, gli imputati debbano rispondere alla legge della chiesa.
Per Diddi, in ogni caso, «l’atteggiamento di Becciu verso l'autorità giudiziaria è stato quello di una “guerra”, di un atteggiamento conflittuale nei nostri confronti...E la migliore difesa era attaccare quelli che rappresentavano l’autorità giudiziaria». Tanto il cardinale è diventato protagonista del processo, che gli sono stati contestati altri fatti e reati emersi in corso d’opera: come la sottrazione di fondi della Segreteria di stato inviati alla Caritas di Ozieri, in Sardegna, e da lì girati a una cooperativa del fratello; oppure i fondi pervenuti su una società che faceva riferimento a Cecilia Marogna, collaboratrice di Becciu, che avrebbe dovuto utilizzarli per organizzare attività di intelligence come la liberazione di ostaggi e invece sono stati spesi, secondo l’accusa, per beni di lusso personali.
Tutti sapevano
Stupisce, però, come la posizione di prelati di primo piano nella gestione dell’affare di Sloane Avenue, come monsignor Alberto Perlasca, a lungo capo dell'Ufficio amministrativo della Segreteria di stato del Vaticano e teste chiave del processo in corso, possa essere escluso da ogni responsabilità nell’intera vicenda. Così come risulta incerto, a occhi esterni, il ruolo avuto da monsignor Edgar Peña Parra (successore di Becciu), nell’intricata vicenda.
Le difese spiegano che l’investimento era un affare dal quale il Vaticano poteva ottenere un vantaggio economico, se avesse gestito con un minimo di oculatezza le cose, ma soprattutto contestano la ricostruzione dell’accusa sottolineando che tutti i passaggi formali e contrattuali sono stati verificati e firmati dai rappresentanti della Segreteria di stato. Quindi al massimo si può parlare di scarsa attitudine manageriale, di assenza di professionalità nella gestione dell’operazione, anche perché non sarebbe chiaro chi e come ne avrebbe tratto vantaggio.
Staremo a vedere. Va detto, tuttavia, che l’intero processo, cade in una stagione delicata per il Vaticano: da una parte, infatti, le riforme finanziarie in nome della trasparenza portate avanti dal papa stanno progressivamente entrando in vigore, dall’altro la riorganizzazione dei diversi enti finanziari vaticani ha trascinato con sé tutta una serie di piccoli e grandi conflitti e rivalità fra Segreteria di stato, Ior, Apsa, Asif (ex Aif) sulla titolarità della gestione delle risorse finanziarie d’Oltretevere, già ridotte a causa della crisi finanziaria degli anni scorsi e dall’introduzione delle regole sulla trasparenza.
In un contesto simile il processo per l’immobile di Sloane Avenue, è deflagrato come una bomba che ha ulteriormente sconvolto equilibri e rapporti di potere. Per il presidente del tribunale vaticano, un magistrato esperto come Giuseppe Pignatone, non sarà una matassa facile da sbrogliare da qui alla fine dell’anno. Entro Natale infatti si prevede che si arrivi alla sentenza.
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