Secondo i legali dell’ex ministro dell’Interno, non era l’Italia lo stato competente a indicare il porto sicuro alla Open Arms, ma la Spagna, paese di bandiera della nave. L’operato di Salvini è da ricondurre a scelte politiche e di governo, che sono insindacabili in sede giurisdizionale. Quella di oggi è la terza udienza del processo: nelle precedenti, gli ex ministri Toninelli e Trenta e l’ex premier Conte hanno preso le distanze dalle scelte politiche del leader leghista
In vista dell’udienza prevista per sabato 17 aprile sul caso Open Arms, la difesa dell’ex ministro dell’Interno, Matteo Salvini, ha depositato una memoria di 110 pagine.
I fatti risalgono all’agosto del 2019, quando il rimorchiatore dell’Open Arms rimase 21 giorni in mare in attesa di raggiungere un porto sicuro dopo aver soccorso 147 persone durante tre diverse operazioni di salvataggio. Nello specifico, Salvini è accusato di sequestro di persona e omissione di atti d’ufficio. Nell’udienza del 20 marzo il procuratore capo di Palermo Francesco Lo Voi ha chiesto il rinvio a giudizio per l’ex capo del Viminale.
La difesa
Tra i punti principali del documento depositato dai legali di Salvini c’è quello in cui viene specificato come «l’Italia non era lo stato competente ad indicare il Pos» (ovvero il cosiddetto “Place of safety”) per Open Arms. Nel testo si legge che «secondo il diritto internazionale» sarebbe dovuta essere responsabile la Spagna «quale stato di bandiera della nave Open Arms, e, limitatamente al terzo episodio, Malta».
Inoltre, «l’individuazione dello Stato su cui gravano gli obblighi derivanti dalla Convenzione Sar non dipende dalla scelta della nave privata che effettui il salvataggio. Del resto, diversamente opinando, oltre ad attribuirsi tale identificazione alla discrezionalità illimitata di un soggetto privato, si rimetterebbe a quest’ultimo anche il potere di porre limiti alla sovranità dei singoli Stati contraenti, vincolandoli oltre quanto previsto dalle norme di diritto internazionale pattizio e di diritto internazionale generale».
La convenzione Sar
Per quanto riguarda la Convenzione Sar il team di avvocati riporta la normativa internazionale secondo la quale uno stato ha la responsabilità di fornire un luogo sicuro quando l’evento sia avvenuto nella propria area Sar; quando lo stato interviene direttamente coordinando i soccorsi in una diversa area Sar; oppure quando assume la responsabilità del coordinamento delle operazioni.
«Nel caso di specie – scrivono – la realizzazione di tutti gli eventi in questione avvenne nelle zone Sar di responsabilità della Libia e di Malta, escludendo un collegamento “territoriale” con l’Italia» e, inoltre, lo stato «non assunse il coordinamento» delle operazioni di soccorso.
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L’accusa del sequestro
Inoltre, in quel periodo «non sarebbe comunque potuto sorgere l’obbligo di sbarco immediato per effetto della sola richiesta di Pos da parte della nave Open Arms, visto che il Presidente del Consiglio allora in carica aveva avviato la procedura di redistribuzione dei migranti in sede europea». Per questi motivi, la difesa di Salvini rileva che «l’inconsistenza dell’ipotesi di reato è stata già evidenziata in punto di insussistenza in capo all’Italia dell’obbligo di fornire un “luogo sicuro” secondo le citate norme internazionali e, quindi, di inesistenza di una posizione di garanzia in capo al Ministro dell’interno». Nella sua difesa, Salvini afferma che essendo un’imbarcazione privata, la Open Arms avrebbe potuto navigare verso qualsiasi altro porto di destinazione, visto che le era stato interdetto soltanto l’accesso a quello di Lampedusa. «Dunque, la libertà di movimento dei migranti a bordo della Open Arms non è stata mai limitata per effetto di condotte riferibili al Ministero dell’interno o ad altre autorità italiane, avendo la nave possibilità di navigare verso altre destinazioni».
L’assunto sulle limitazioni delle libertà su cui si basa la difesa è che siccome i migranti irregolari non hanno diritto a fare libero ingresso nel paese non potrebbe esservi stata alcuna privazione illegittima della libertà personale. Perciò «l’espletamento delle necessarie procedure propedeutiche allo sbarco (compresa quella di redistribuzione in sede europea) non può comportare alcuna lesione di diritti fondamentali».
La politica nella difesa
«L’oggetto della contestazione investe il complesso della politica adottata dal Governo cosiddetto Conte I e dal governo cosiddetto Conte II in materia di gestione dei flussi migratori» si legge nel documento. Salvini ribadisce che praticamente è sotto accusa il nuovo approccio per gli sbarchi che è conforme a un preciso indirizzo di governo. «Tale approccio – affermano – afferisce a temi di primario interesse nazionale, che riguardano altresì i rapporti con l’Unione europea e con gli altri Stati membri, e costituisce la concretizzazione di un atto politico, per ciò solo insindacabile in sede giurisdizionale». Tuttavia, già nel processo analago per il caso della nave Gregoretti l’ex ministro Toninelli e l’ex presidente del Consiglio Conte hanno preso le distanze dalle scelte politiche di Salvini, il quale ha sempre dichiarato di aver agito in conformità alle linee guida del governo.
Respingimenti
«L’Italia non ha mai ordinato alla nave Open Arms di dirigersi verso il Paese non europeo di provenienza dei migranti (la Libia) ovvero verso altri Paesi non appartenenti all’Unione europea, né sono stati impartiti ordini o adottate misure coattive a tale scopo» scrivono gli avvocati.
Il processo
Quella del 17 aprile sarà la terza udienza del processo. Nel caso Open Arms state 18 richieste di costituzione di parte civile che sono state presentate durante la prima udienza del 9 gennaio scorso. Tra questi anche il comune di Palermo.
Qui il testo della sintesi della difesa di Matteo Salvini nel processo:
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