- Non c'è pace per il processo che vede alla sbarra i protagonisti del pestaggio di stato, avvenuto il 6 aprile 2020, all'interno del carcere di Santa Maria Capua Vetere, Francesco Uccella.
- Il dibattimento non è ancora iniziato, visto che alla terza udienza, sono ancora in corso le valutazioni sulle richieste di costituzione di parte civile e le eccezioni sollevate dagli avvocati di difesa.
- E per una di queste eccezioni, il processo rischia di saltare con rinvio degli atti in Corte costituzionale.
Non c’è pace per il processo che vede alla sbarra i protagonisti del pestaggio di stato, avvenuto il 6 aprile 2020, all’interno del carcere di Santa Maria Capua Vetere, Francesco Uccella. Il dibattimento non è ancora iniziato, visto che alla terza udienza, sono ancora in corso le valutazioni sulle richieste di costituzione di parte civile e le eccezioni sollevate dagli avvocati di difesa. E per una di queste eccezioni, il processo rischia di saltare con il rinvio degli atti alla Corte costituzionale.
Eccezioni e prime udienze che raccontano anche quale potrebbe essere la strategia difensiva degli imputati eccellenti: differenziare la loro posizione da quella di chi ha materialmente eseguito il pestaggio puntando sul contesto, sulle proteste (pacifiche) del giorno precedente, il 5 aprile, per salvarsi dalle accuse più gravi come la tortura pluriaggravata.
La mattanza
Il 6 aprile 2020, nel carcere Francesco Uccella, quasi 300 poliziotti penitenziari, provenienti anche da altri istituti, sono entrati in carcere e per oltre quattro ore hanno massacrato di botte e colpi di manganello i detenuti, una mattanza documentata dai video che Domani ha pubblicato nel giugno del 2021.
I reclusi protestavano e chiedevano, dopo il primo caso di contagio in carcere, mascherine e dispositivi di sicurezza, ma hanno ricevuto botte, sputi, gomitate, bastonate e violenze. Sono 77 gli agenti che sono stati sospesi dal servizio, altri hanno continuato a lavorare con tanto di avanzamento di carriera.
Nell’aula bunker del tribunale di Santa Maria Capua Vetere davanti alla corte d’Assise, a novembre scorso, si è aperto il processo a carico di 105 persone, uomini e donne dello stato, coinvolte a vario titolo nel pestaggio. Sono accusati di tortura pluriaggravata, lesioni, falso, calunnia, depistaggio e altri reati.
A processo c’è l’intera catena di comando dell’istituto di pena Francesco Uccella: c’è l’ex provveditore regionale, Antonio Fullone, il commissario coordinatore della polizia penitenziaria del carcere, Gaetano Manganelli, il comandante del nucleo traduzioni, Pasquale Colucci, le comandanti dei nuclei operativi e parte del gruppo di supporto e interventi, Tiziana Perillo e Nunzia Di Donato, queste ultime mai sospese dal servizio.
Un procedimento che balla
Il processo, esaurita la disamina delle richieste di costituzione di parte civile, si è avvitato attorno alle eccezioni sollevate dagli avvocati. In pratica i legali lamentano la violazione del diritto di difesa per la presunta assenza di alcuni atti nel fascicolo, circostanza che viene smentita da una memoria del pubblico ministero.
I legali sollevano la questione di legittimità costituzionale chiedendo di invalidare il decreto che dispone il giudizio, l’atto che di fatto avvia il processo. La prossima udienza, prevista per il 9 gennaio, sarà decisiva visto che il 28 dicembre scorso il presidente della corte, Roberto Donatiello, ha annunciato la risoluzione della questione in modo da poter avviare finalmente il dibattimento o, in caso contrario, sospenderlo in attesa della Consulta.
Sono tre gli elementi sulle quali si appoggiano le due questioni di legittimità costituzionale sollevate dagli avvocati. Il primo elemento è il mancato deposito dei brogliacci, anche se il codice di procedura penale non ne disciplina le modalità.
Il secondo elemento posto è l’impossibilità di accedere ad alcune conversazioni presenti sui cellulari degli imputati; gli stessi legali, però, ammettono l’esistenza degli audio, ma l’ascolto è «disagevole» per questioni tecniche. Un’altra questione, l’ultima, sembra quella sulla quale gli avvocati poggiano le maggiori aspettative.
I video del 5 aprile
Riguarda l'assenza dei video del 5 aprile nei materiali depositati. Eppure nella memoria delle difese ci sono le indicazioni del minutaggio, elemento che farebbe supporre la disponibilità degli stessi da parte dei legali.
All'interno della memoria, tra le questioni poste per sollevare l’incidente di costituzionalità, c’è un riferimento all’ex provveditore regionale, Antonio Fullone, colui che ha disposto la perquisizione e principale imputato del processo.
All'imputato sarebbe stato negato l'accesso ad alcuni audio delle intercettazioni, ma la procura cosa risponde? In una memoria, la pubblica accusa ha già risposto che tutto è stato riversato negli atti negando quanto sostenuto dalle difese.
«La questione di costituzionalità è prematura, tanto tempo è stato impiegato per valutare la costituzione delle parti civili, il 9 la corte deciderà se far partire il processo ammettendo le prove oppure trasmettere gli atti della Corte costituzionale. A mio avviso la richiesta è infondata, quanto meno intempestiva e quindi ho chiesto alla corte di ritenere inammissibile la richiesta», dice Michele Passione, avvocato che rappresenta il garante nazionale per i detenuti.
I riferimenti, nelle memorie, ai filmati del 5 aprile tracciano e indicano una possibile linea difensiva da parte degli avvocati dei vertici imputati, quella di ricostruire il contesto di quanto accaduto e separare le colpe di chi ha ordinato la perquisizione-pestaggio da chi materialmente l’ha eseguita.
Il tutto si inserisce in un cambio di contesto, dentro e fuori dall’aula, dove il governo vuole modificare il reato di tortura e revocare le sospensioni agli agenti imputati. Più si allontanano gli effetti della visione di quelle immagini di violenza più c’è il rischio di normalizzare quanto accaduto quel 6 aprile nel carcere Francesco Uccella.
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