- «Se il Ministro interpellato intenda sollecitare da parte del direttore generale dell’amministrazione penitenziaria il conferimento dell’encomio solenne al corpo di polizia penitenziaria in servizio presso l’istituto penitenziario di Santa Maria Capua Vetere che, in operazione di particolare rischio, ha dimostrato di possedere, complessivamente, spiccate qualità professionali e non comune determinazione operativa».
- Il primo firmatario era Andrea Delmastro Delle Vedove che, nel nuovo governo di Giorgia Meloni, è diventato sottosegretario alla Giustizia.
- ‘Pestaggio di stato’ è il libro di Nello Trocchia, in uscita l’11 novembre, editore Laterza, che ricostruisce l’inchiesta e svela le menzogne di stato.
«Se il ministro interpellato intenda sollecitare da parte del direttore generale dell’amministrazione penitenziaria il conferimento dell’encomio solenne al corpo di polizia penitenziaria in servizio presso l’istituto penitenziario di Santa Maria Capua Vetere che, in operazione di particolare rischio, ha dimostrato di possedere, complessivamente, spiccate qualità professionali e non comune determinazione operativa».
Recitava così l’interpellanza parlamentare, presentata nell’aula della camera dei Deputati, il 15 giugno 2020, dai deputati di Fratelli d’Italia che chiedevano l’encomio solenne per i poliziotti penitenziari coinvolti in una delle pagine più buie della storia carceraria italiana. Il primo firmatario era Andrea Delmastro Delle Vedove che, nel nuovo governo di Giorgia Meloni, è diventato sottosegretario alla Giustizia, il ministero che decide sulle sospensioni degli agenti.
L’interpellanza, rimasta senza risposta, era destinata proprio al dicastero dove l’allora deputato oggi occupa la poltrona di sottosegretario. Il deputato criticava l’operato della magistratura, arrivava a proporre un premio e ricostruiva le vicende seguendo le indicazioni dei vertici dell’amministrazione, dell’allora governo M5s-Pd e dei sindacati, ricostruzioni che si sono rivelate totalmente false e che erano già state messe in discussione dall’avviso di garanzia notificato a 44 agenti. Il reato contestato era quello più grave per chi indossa la divisa: tortura.
Il giorno della mattanza
Il 6 aprile 2020, nel carcere Francesco Uccella, 283 poliziotti penitenziari entrarono e massacrarono di botte i detenuti inermi del reparto Nilo. Nell’aula bunker del tribunale di Santa Maria Capua Vetere è iniziato il processo a carico di 105 persone accusati di tortura pluriaggravata, lesioni, falso, calunnia. In 77 sono stati sospesi dal servizio, altri hanno continuato a lavorare con tanto di avanzamento di carriera. Decisioni che spettano al dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e proprio al ministero della Giustizia. Ma cosa c’era scritto in quell’interpellanza?
I deputati di Fratelli d’Italia ricostruivano i fatti così: «Il giorno 5 aprile 2020 è esplosa una violentissima rivolta nell’istituto penitenziario di Santa Maria Capua Vetere nel corso della quale circa 150 detenuti, dopo aver occupato alcuni reparti, hanno minacciato gli agenti della polizia penitenziaria con olio bollente e alcuni coltelli». Non era andata così. Nessuna protesta violentissima era esplosa, il dato era facilmente desumibile dalle parole pronunciate all’esterno del carcere dal magistrato di sorveglianza, Marco Puglia. «Il profilo dell’ordine e della sicurezza è sotto controllo, c’è stata solo una protesta, rientrata», aveva detto al tg regionale della Rai.
La ricostruzione dei deputati continuava riferendo dei fatti accaduti l’indomani. «Il giorno 6 aprile 2020, a seguito di una perquisizione straordinaria disposta dalla amministrazione penitenziaria, sono state ritrovate e sequestrate diverse spranghe, bacinelle piene di olio, numerosi pentolini per far bollire l’olio e altri oggetti contundenti nella disposizione dei detenuti; nel corso della predetta perquisizione gli animi si sono surriscaldati e vi sono stati alcuni contusi che, comunque, non hanno riportato conseguenze tali da essere ricoverati in ospedale fra i detenuti mentre 50 agenti della polizia penitenziaria sono stati refertati».
Le bacinelle piene d’olio non c’erano e neanche le spranghe, le fotografie erano state manipolate. I poliziotti erano stati refertati, ma le ferite erano le conseguenze dei pugni, degli schiaffi e delle botte sferrate ai detenuti inermi.
Quattro giorni prima della presentazione dell’interpellanza c’era stata la notifica di 57 decreti di perquisizione e di 44 avvisi di garanzia ad altrettanti agenti del carcere. Ma anche l’atto della magistratura, la perquisizione, veniva bollata come un’operazione «spettacolare di dubbia utilità investigativa», veniva citato anche l’intervento del procuratore generale di Napoli, Luigi Riello, che «ha avvertito la necessità di intervenire sulle modalità spettacolari dell’azione diretta dalla procura».
Gli altri firmatari
Gli interroganti concludevano ricordando anche un’aggressione avvenuta, il 12 giugno 2020, ai danni di alcuni agenti prima di sottoporre all’attenzione del ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, l’insolita richiesta perché «è necessario riaffermare, oltre alla indipendenza della magistratura, che nel caso di specie condurrà le indagini, anche l’indipendenza della politica». Il 6 aprile veniva definita «una necessaria operazione di contenimento della rivolta carceraria».
Abbiamo contattato il sottosegretario per chiedergli se intende promuovere l’iniziativa dell’encomio oppure si è pentito, ma non ha risposto. Tra gli interpellanti, oltre ad Andrea Delmastro Delle Vedove, c’erano Wanda Ferro ed Emanuele Prisco, diventati sottosegretari al ministero dell’Interno; Alessio Butti, nominato sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri e Galeazzo Bignami, diventato sottosegretario alle Infrastrutture. Sono stati tutti promossi.
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