Il processo sull’investimento immobiliare londinese in corso nei sacri palazzi è alle battute finali, ma rimangono i dubbi. L’indicazione del papa è ricominciare da capo e limitare le perdite
Mentre il processo sul presunto uso illecito dei fondi della segreteria di Stato vaticana si avvia alla conclusione, non si diradano le ombre che circondano l’intera vicenda. Anzi, via via che gli avvocati delle difese intervengono sorgono nuovi dubbi sulla fondatezza almeno di parte dei capi d‘imputazione.
Di certo c’è che tra l’11 e il 16 dicembre, secondo quanto ha detto il presidente del tribunale vaticano Giuseppe Pignatone, si dovrebbe arrivare alla sentenza. Nell’affare della compravendita dell’immobile di prestigio situato a Londra al 60 di Sloane Avenue spicca il ruolo negativo svolto dall’ufficio amministrativo della segreteria di Stato, diretto all’epoca dei fatti da Alberto Perlasca, che risultò responsabile di numerosi gravi errori nella conduzione della vicenda, come, per esempio, quello di «andare a cercare il peggio della finanza internazionale ed entrare con loro in business».
È quanto scriveva nel 2020, nel suo memoriale consegnato al tribunale vaticano, Edgar Peña Parra, sostituto per gli affari generali della segreteria di Stato, nominato dal papa nell’agosto del 2018 al posto di Giovanni Angelo Becciu, successivamente “creato” cardinale dal pontefice e diventato poi imputato eccellente al processo in corso oltretevere.
Perché quelle firme?
Certamente la testimonianza e il memoriale dell’arcivescovo Peña Parra hanno rappresentato un momento di svolta nel procedimento giudiziario, mettendo di fatto in crisi una parte considerevole delle tesi dell’accusa guidata dal promotore di giustizia Alessandro Diddi.
Non solo perché dalla dettagliata ricostruzione del sostituto emerge la superficialità complessiva con cui è stata gestita la vicenda dagli uffici vaticani, fra l’altro con l’apposizione di firme, da parte dello stesso Perlasca, sotto contratti capestro per la Santa sede, in modo improvvido e senza prima essersi consultato con i suoi superiori; scrive in proposito il prelato nel suo memoriale: «Mi sono domandato come era possibile tutto questo, e a chi effettivamente rispondeva Perlasca. Come ha potuto procedere alla firma di contratti tanto importanti e di impatto sul patrimonio della segreteria di Stato, senza rendersi conto di ciò che ne sarebbe conseguito?».
In particolare, risulta grave per le implicazioni successive l’aver sottoscritto un accordo con il broker Gianluigi Torzi, in base al quale il palazzo londinese non usciva – come promesso – dalle mani di un altro finanziere, Raffaele Mincione, per rientrare nella disponibilità del Vaticano attraverso una nuova società, ma restava nella mani dello stesso Torzi, il quale manteneva il controllo dell’immobile grazie a 1.000 azioni che gli davano il diritto di voto, mentre le 30mila acquistate dalla segreteria di Stato non avevano, di fatto, alcun valore.
Un bel guaio, anche perché sull’immobile gravava un mutuo importante, che sarà anch’esso decisivo nel far esplodere lo scandalo. D’altro canto è evidente che, col passare del tempo, la figura di Perlasca quale supertestimone dell’accusa si è andata ridimensionando. La sua posizione processuale pare sospesa in una sorta di limbo, di certo non figura fra gli imputati.
Tuttavia, dalle parole dell’arcivescovo di origine venezuelana emerge senza incertezze che il papa, informato a più riprese del problema venutosi a creare, aveva chiesto di «perdere il meno possibile», di «voltare pagina e ricominciare da capo».
A questa richiesta, indicata dallo stesso Peña Parra, come «superiore volontà», cercherà dunque di adeguarsi tutta la macchina vaticana che proverà a porre rimedio al pasticcio-incubo creato dall’azzardato investimento immobiliare, un autentico inganno ai danni del Vaticano, stando alle parole del sostituto.
Conflitto con lo Ior
Per questo, fra le altre cose, Peña Parra si rivolgerà allo Ior per ottenere un prestito in grado di estinguere il mutuo e far perdere così meno denari possibili alla Santa sede. La “banca vaticana” non concederà quel prestito, che sul piano regolamentare poteva permettersi, come è emerso dalle udienze di inizio ottobre, e denuncerà al promotore di giustizia l’intero affare sospettando che il tutto servisse a mascherare forme di riciclaggio finanziario.
«Dopo il no dello Ior al prestito, a fine 2019», ha spiegato nel marzo scorso Peña Parra testimoniando al processo, «mi mossi per trovare un’altra banca per estinguere il mutuo di Londra, per noi troppo oneroso. L’Apsa (Amministrazione patrimonio sede apostolica, ndr) subentrò all’inizio del 2020…L’Apsa ha trovato una linea di credito, e siamo passati dal pagare un milione al mese a 800 mila euro l’anno. Tutto si è concluso dopo l’estate del 2020, in settembre».
«Non bisognava essere Einstein», ha detto ancora l’arcivescovo nel corso della sua testimonianza, «per capire che quel mutuo comportava grossi problemi, non solo sul piano economico». Il rischio reputazionale incombeva infatti sempre di più sulla Santa Sede. Ma, anche qui, c’è di più: «Ero molto sorpreso dall’atteggiamento dello Ior», ha spiegato il sostituto, «farci aspettare tutti quei mesi facendoci spendere così tanti soldi e poi negarci il mutuo! Avevo il sospetto che l’atteggiamento dello Ior fosse dovuto a qualche contatto col gruppo avverso a noi, cioè con Gianluigi Torzi».
Allora «chiesi alla Gendarmeria di farci un rapporto sullo Ior: non sulla vita delle persone, per esempio del direttore generale, di cui non mi interessa. Ma per vedere se lo Ior fosse stato in qualche modo coinvolto in questa faccenda, visto il suo atteggiamento anomalo».
Dunque, altro che collaborazione fra le diverse istituzioni vaticane per il bene superiore della Santa sede, di fatto il processo ha delineato un Vaticano in cui si muovono diverse fazioni, personaggi non sempre limpidi, e comunque in cui il principio dei compartimenti stagni resta quello prevalente.
Mentre dal punto di vista giudiziario sembrano prevalere la confusione e un certo livello di approssimazione, per esempio non è stato chiarito fino ad ora chi ha portato Torzi in Vaticano, presentandolo addirittura al papa e accreditandolo come persona fidata. Ora c’è attesa per la difesa del card. Becciu, che prenderà la parola il 21 e il 22 novembre prossimi.
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