- A 24 ore di distanza dal deposito delle motivazioni della sentenza del processo Eni-Shell Nigeria, nella quale tutti gli imputati sono stati assolti dall’accusa di corruzione internazionale legata all’acquisizione del campo petrolifero Opl 245, la procura di Brescia ha iscritto nel registro degli indagati i pubblici ministeri Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro, autori di quell’inchiesta.
- Il procuratore di Milano Francesco Greco con una nota difende la professionalità dei colleghi. Il processo contro la società petrolifera di stato e il ruolo dell’avvocato Amara scuotono ancora la magistratura.
- L’iscrizione nel registro degli indagati dei due pm risalirebbe a una decina di giorni fa ma la notizia è emersa solo dopo l'arrivo delle motivazioni.
La notizia è di quelle destinate a fare molto rumore. A 24 ore di distanza dal deposito delle motivazioni della sentenza del processo Eni-Shell Nigeria, nella quale tutti gli imputati sono stati assolti dall’accusa di corruzione internazionale legata all’acquisizione del campo petrolifero Opl 245, la procura di Brescia ha iscritto nel registro degli indagati i pubblici ministeri Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro, autori di quell’inchiesta. Gli atti di questo fascicolo sono stati inviati anche al procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi, membro di diritto del Csm e al ministero della Giustizia per eventuali profili disciplinari. In questa vicenda, incredibile se osservata dai corridoi del palazzo di Giustizia di Milano e che finirà per minare ancor di più una magistratura già azzoppata, le notizie verificabili e incontrovertibili si fermano a qui.
Il fascicolo sarebbe stato aperto con l’accusa di «rifiuto d’atti d’ufficio» dopo il 28 maggio, giorno nel quale è stato sentito dai magistrati bresciani il pm milanese Paolo Storari. Ovvero il sostituto procuratore che ha innescato un terremoto nella magistratura, scuotendo perfino il Csm, con i famosi verbali nati dagli interrogatori di Piero Amara, arrestato qualche giorno fa dalla procura di Potenza per corruzione, nei quali l’ex avvocato dell’Eni ha svelato l’esistenza della presunta loggia Ungheria, una sorta di comitato d’affari nato per mettere a sistema conoscenze, relazioni e potere di uomini della finanza e dell’economia, della politica, della magistratura e delle istituzioni.
Storari ha consegnato nel marzo del 2020 quei verbali – secretati – all’ex membro del Csm Piercamillo Davigo brevi manu e per questo è indagato per rivelazione di atti d'indagine sempre dai pm bresciani capitanati dal procuratore capo Francesco Prete (ex collega a Milano di De Pasquale) e dal sostituto pm Donato Greco.
Per quel che si è capito finora i problemi per i due pm del caso Eni-Nigeria nascerebbero sempre da un’inchiesta della procura di Milano: quella per il presunto depistaggio che sarebbe stato architettato dai vertici dell’Eni proprio verso coloro che li stavano indagando per le presunte tangenti nigeriane, e prima di quelle anche quelle algerine che avrebbe pagato Saipem (tutti assolti in appello dopo la condanna in primo grado).
Il ruolo di Armanna
I pm Laura Pedio e Paolo Storari indagando su questo presunto complotto si sarebbero imbattuti in alcuni fatti molto pesanti che riguardavano Vincenzo Armanna, ex manager Eni imputato nel processo nigeriano e, allo stesso tempo, accusatore, ritrattatore e poi di nuovo accusatore dei vertici Eni che trattarono l’acquisizione dei diritti del campo Opl 245. Gli stessi vertici per i quali l’accusa in giudizio sosteneva il pagamento di una tangente da 1,09 miliardi di dollari a pubblici ufficiali nigeriani.
Armanna, risulterebbe dalle indagini di Storari, avrebbe pagato 50 mila euro a un suo testimone nigeriano e avrebbe depositato nel processo contro Eni delle chat compromettenti che in realtà sarebbero state manipolate ad arte. Elementi che ne avrebbero screditato la sua posizione di accusatore nel processo e che Storari avrebbe fatto pervenire a De Pasquale e Spadaro, i quali non li hanno mai portati nel dibattimento, facendo perdere così una chance di giustizia agli altri indagati, tra cui l'attuale amministratore delegato Claudio Descalzi e l’ex Paolo Scaroni, poi comunque assolti.
C’è poi il caso del video girato da Piero Amara all’interno dei locali torinesi della società di Ezio Bigotti dove si ritraeva Vincenzo Armanna che, già espulso dall’Eni, parlando con altre persone, avrebbe dichiarato di potersi attivare per acquisire alcuni asset di Eni in Nigeria e di poter minacciare in qualche modo gli attuali vertici raccontando segreti in suo possesso, come poi effettivamente fece. Quel video, secondo alcune difese degli imputati nel procedimento nigeriano, entrò nel processo solo su loro richiesta e tardivamente, nonostante fosse già conosciuto dalla procura e contenesse informazioni importanti favorevoli a coloro alla sbarra. I giudici hanno stigmatizzato questo comportamento nella sentenza, ma c’è da dire che lo stesso collegio dopo l’emersione del video ha respinto la richiesta della procura di sentire come testimone proprio Amara, che avrebbe potuto raccontare molte cose, incluso il contenuto del video.
Sono stati perquisiti i pc di De Pasquale e Spadaro su ordine della procura di Brescia. Una nota del procuratore di Milano Francesco Greco ribadisce «l’assoluta professionalità dei colleghi» e segnala l'invio a Brescia di una nota datata 5 marzo 2021 (prima della fine del processo Eni Nigeria) riguardante le contestazioni sui fatti di Armanna.
Abbiamo quindi un processo, un inchiesta su un presunto complotto ai danni dei pm di quel processo e un inchiesta su un presunto complotto dei pm ai danni degli imputati di quel processo. Pacco, contro pacco e doppio paccotto avrebbe detto Edoardo De Crescenzo. Ma così a finire incartata sarà tutta la magistratura.
© Riproduzione riservata